Capitolo 8 - John Sparta - Parte 10
Quando Price aveva lasciato la base a Sparta era stato proposto di insediarsi nel suo ufficio, ma l'uomo aveva detestato quel posto, fin dal primo sguardo. L'ambiente era pieno di ombre proprio come il suo precedente inquilino. Per questo motivo aveva scelto di spostare il suo quartier generale nella sala comandi e fu lì che Moore lo raggiunse.
I suoi uomini lo avevano già informato che il cyborg era stato portato in infermeria e che secondo Evans era fuori pericolo. Aveva avuto un'ischemia e un arresto cardiaco, ma il suo cuore era giovane. Aveva superato la crisi e le nanotecnologie mediche avrebbero fatto il resto.
«Capitano, mi ha fatto chiamare?» Moore, se ne stava in piedi sull'arco della porta, in cima alla piattaforma da cui si scendeva nel cuore della sala comandi. Le braccia conserte e l'atteggiamento di qualcuno a cui era appena stato pestato un callo. Lo scienziato riteneva che gli fosse stato fatto un torto. Ovvio! Non lo aveva chiamato ad assistere all'interrogatorio e ora, con la sua sola presenza era lì per ricordargli che era stato un coglione.
«Si, venga Moore, ho bisogno del suo aiuto» disse per tutta risposta.
L'uomo aggrottò la fronte e alzò un sopracciglio. «Si rende conto di quello che ha fatto, vero?» gli chiese, mentre scendeva le scale. Evidentemente non era ancora soddisfatto.
Sparta annuì, invitandolo a sedersi. «Si, ma non ho capito quello che è successo. Che cosa ha causato quella crisi?»
«Se mi avesse consultato, le avrei detto che è molto pericoloso rinchiudere un Omega in una cella di deprivazione sensoriale, per anche solo un'ora, figuriamoci per tutto il tempo che Abel ha passato in quel posto.»
Le parole dell'uomo ebbero lo stesso effetto di uno schiaffo e gli fecero salire il sangue al volto. «Quelle celle sono destinate ai cyborg. Non credo che sia necessario il parere di un medico per poterle usare, altrimenti che senso ha averle costruite?» chiese. Iniziava a stancarsi di quel gioco.
«Questo perché non le avete mai usate in realtà. Non ne avete mai avuto bisogno, quindi non potete conoscerne gli effetti» replicò, con la stessa nota di superiorità che aveva caratterizzato le sue parole dall'inizio di quella conversazione. Probabilmente si riteneva molto più intelligente di lui.
«Mi illumini!»
«Lei non ha alcuna idea di ciò che si trova davanti, vero?» continuò. «Certo che no! Altrimenti non si darebbe la pena di chiedermelo mandando giù il suo orgoglio di militare, in barba ai suoi gradi e a tutto quello che le hanno insegnato!»
Sparta guardò l'orologio. Erano passati poco meno di tre minuti da quando Moore era entrato nella sala comandi. Gliene avrebbe concessi altri due, dopodiché se non avesse parlato avrebbe gettato lui in quella maledetta cella e avrebbe ordinato ai suoi uomini di malmenarlo fino a che non avesse reso una dichiarazione completa. Sorrise e lo invitò a proseguire.
«Gli Omega sono connessi con la base oltre che con i loro simili. Questo crea una rete di informazioni che consente ai cyborg di intervenire, prevenendo guasti e rotture e mantenendo gli impianti in piena efficienza. Per un Omega il mondo è costantemente pieno di informazioni, notizie, rumori, input. Anche quando dormono il loro sonno è sempre in qualche modo vigile. Gettare Abel in una camera di deprivazione sensoriale ha causato la sua disconnessione dal sistema. Improvvisamente il ragazzo si è trovato nel silenzio più assoluto. Un pò come per un astronauta trovarsi nel vuoto cosmico.»
Sparta si trovò a fissarlo, rapito da quelle parole. Il suo cervello viaggiava già per la sua strada, valutando le implicazioni di ciò che lo scienziato gli aveva appena rivelato.
«Poi lo avete tirato fuori, senza dargli il tempo di abituarsi alla nuova situazione. Tutte le informazioni, le voci, si sono riversate nuovamente nella sua testa, mentre il suo cervello digitale cercava di ristabilire una connessione con tutti gli ID che ha in memoria. Solo che la componente più importante di quelle identità digitale era ormai persa per sempre: gli altri Omega, che nel frattempo lo avevano dimenticato. La coscienza umana di Abel si è ribellata a questa consapevolezza. Poteva impazzire, diventare violento. Chi può saperlo. Invece il suo organismo ha ceduto e ha rischiato di morire. L'equilibrio nella testa di queste creature è molto delicato. È il bilanciamento perfetto tra il digitale e la biologia umana. Questi esseri sono stati costruiti per integrarsi nelle reti, negli impianti, mantenendo la logica superiore di un essere umano. Non si può giocare con il loro cervello in questo modo!»
Il militare quasi non lo ascoltava più, perso com'era nei suoi ragionamenti. «Mi scusi, Moore, quindi lei mi sta dicendo che Abel è una specie di ... "virus", in grado di penetrare in qualsiasi rete?»
L'uomo sbuffò. «È quello che le sto ripetendo da un pò di tempo» rispose scocciato, «gli Omega sono allo stesso tempo hacker naturali e uno dei firewall più potenti che sia mai stato costruito. Sono il firewall che protegge Base Omega e i suoi server da ogni attacco proveniente dall'esterno.»
Sparta cadde a sedere. Si chiese se la Difesa fosse consapevole di avere tra le mani un'arma così potente. Chissà fino a che punto poteva spingersi quell'abilità. Se lui avesse potuto sfruttarla, la sua squadra di Guastatori, hacker e informatici, sarebbe diventata ... non riusciva nemmeno a pensarci!
«Ha sentito, capitano?» Moore sembrava aver perso la pazienza e lo fissava con aria canzonatoria. Beh, quella che aveva avuto dal primo momento che aveva messo piede in quella stanza.
Il militare si stirò prima di alzarsi in piedi. «Forte e chiaro» gli rispose, «ora può andare. La ringrazio della sua pazienza» lo liquidò. Doveva rimanere solo per poter riflettere in pace, senza essere disturbato.
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«Il ragazzo è sveglio, ma è sedato e non è in grado di affrontare un interrogatorio!» La voce petulante di Evans gli confermò una volta ancora quanto medici e scienziati fossero fuori contesto in quel luogo. Per loro regole e gerarchie non valevano e questo lo costringeva, una volta di più, a perdere tempo prezioso in chiacchiere inutili.
«Voglio solo vederlo. Non mi fermerò a lungo dottore» lo tranquillizzò. «Dov'è?»
Sparta aveva deciso di non rimandare ancora, voleva venire a capo di quel vero e proprio mistero che era Abel. Sul suo tavolo c'erano decine di tessere del puzzle, sparse senza un ordine logico e questa era una di quelle cose che di solito gli facevano perdere il sonno. Se il ragazzo sapeva qualcosa doveva dirgliela e subito.
Incapace di obiettare Evans gli indicò la porta che si apriva in fondo al corridoio. «Cinque minuti.»
Con un cenno del capo il militare lo superò e si diresse nella direzione che gli era stata indicata. Non aveva riflettuto su quello che avrebbe trovato, ma gli avevano detto che era sveglio, nel suo inconscio ciò significava che doveva essere immobilizzato e reso inoffensivo. Si arrestò quando vide che il ragazzo era seduto sul letto, le braccia avvolte intorno alle gambe e la testa appoggiata sulle ginocchia. Sembrava inoffensivo, eppure il militare per un attimo desiderò di voltarsi e tornare da dove era venuto. Non fece in tempo.
Il cyborg doveva aver sentito i suoi passi o il suo respiro, o forse l'aumento improvviso della temperatura nella stanza e aveva alzato gli occhi verso di lui. Le sclere rosse erano impressionanti e il suo volto inespressivo. Sparta non fu in grado di dire che cosa in quel momento avesse messo in allerta i suoi sensi, forse un cambiamento nell'illuminazione della stanza. Qualcosa all'estremità del suo campo visivo aveva emesso un bagliore improvviso. Si voltò a guardare e si accorse dello schermo digitale che copriva parte della scrivania. Doveva essere uno schermo medico. Senza perdere d'occhio il cyborg Sparta si avvicinò. Lo schermo era diventato nero proprio mentre lui entrava nella stanza e ora il logo di Base Omega campeggiava sul salvaschermo. Forse una coincidenza ma il suo sesto senso gli diceva qualcosa di diverso.
«Che cosa stai facendo?» Sibilò, toccando lo schermo con due dita per riattivarlo. Quello rimase nero. Il militare si voltò a guardarlo. «Attivalo!» gli ordinò. Abel sospirò distogliendo lo sguardo e lo schermo si riaccese rivelando un flusso di codice che scorreva ad una velocità tale da rendergli impossibile capire che cosa fosse. «Che cos'è?» chiese.
Il ragazzo ora lo guardava, con la testa inclinata sulla spalla, con quell'aria riflessiva che sembrava un marchio di fabbrica dei cyborg "omega". Lo stava valutando.
«Ho provato a connettermi con i miei fratelli, quando mi avete fatto uscire dalla cella, ma non ci sono riuscito. Il loro IP continua a cambiare.»
«Perché è così maledettamente importante per te?»
«Perché sono in pericolo. Devo avvertirli» disse, come se se quella verità fosse troppo difficile da capire per l'umano che era davanti a lui.
«In pericolo? E perché mai, finché continuano a fare il loro dovere, nessuno gli farà del male».
«Non è sicuro quando ti lasciano morire in un magazzino ammuffito, né quando i tuoi creatori ti affamano. Non è sicuro quando ogni notte qualcuno ti porta via i ricordi impedendoti di imparare dagli errori. Non c'è sicurezza in tutto questo Comandante Sparta.» Il suo sguardo era improvvisamente diventato penetrante, come se il cyborg volesse trattenerlo mentre il suo codice continuava a diffondersi come un virus nel sistema.
«Ferma questo codice!» gli ordinò, la tensione che iniziava a trapelare dalla sua voce. La sua mano scivolò sulla fondina e toccò il calcio della pistola. «Se speri di scatenare una ribellione nella mia base ti sbagli, ragazzino!» gli disse mentre sfilava l'arma e gliela puntava contro, mirando alla testa. «Fermati finché sei ancora in tempo, non voglio farti del male.»
L'espressione di Abel non cambiò quando gli rispose. «Voi mi avete cancellato dalla loro memoria e io gliela sto ridando.»
Cosa diavolo stava facendo? Moore gli aveva detto che era impossibile. Sparta guardò ancora una volta lo schermo.
«Non riesco a comunicare con loro, ma posso trasmettere un messaggio attraverso i sistemi della base. Queste sono macchine primitive» disse, indicando il pannello digitale. «Posso sempre condividere in rete i miei ricordi.»
Il militare sentì il suo stomaco contrarsi. Questo era quello Moore gli aveva spiegato: un hacker naturale, con la capacità mentale di un giocatore di scacchi, che li aveva appena messi tutti nel sacco.
«Comandante Sparta?» La voce di Evans lo fece sussultare. Il medico era sull'arco della porta e lo stava guardando con gli occhi vuoti di chi aveva appena assistito ad una apparizione. «Qui fuori ci sono Isac, Gabriel ed Eva. Sono qui per vedere Abel» balbettò, il tono di chi non credeva alle proprie parole. Anche a lui avevano raccontato che i cyborg perdevano la memoria ogni mattina e Abel era un ricordo proibito, un cyborg che aveva ucciso degli esseri umani. Ormai era stato dimenticato da giorni.
Sparta si voltò a guardarlo e vide il sorriso che gli illuminava il volto. Ora poteva fare due cose, sparargli e mettere la parola fine a quella storia o lasciarli assaporare la sua piccola vittoria, anche se non era in grado di prevederne le conseguenze.
«Solo un attimo, Evans. Li faccia aspettare. Ho bisogno di scambiare due parole con Abel.»
Il Medico rimase dov'era.
«Da solo.»
«Uh? Si, mi scusi» balbettò prima di uscire dalla stanza chiudendosi dietro la porta.
«Bene. Hai ottenuto quello che volevi» disse mettendosi seduto sul letto, accanto a lui. Il ragazzo si ritrasse istintivamente verso la parete. Il suo sorriso si era già spento, consapevole che avrebbe pagato cara la sua mancanza di disciplina.
«Voglio solo sapere una cosa, sai che dovrei terminarti per quello che hai appena fatto? Non posso mandarti al Darwin per il ripristino perché qualcuno lo ha fatto saltare in aria, quindi non ci sono molte alternative, non trovi?»
Il ragazzo non rispose ed evitò il suo sguardo.
«Hai violato ogni protocollo di sicurezza, mettendo in pericolo la popolazione di questa base. Hai valutato le conseguenze del tuo gesto?» chiese. Avrebbe voluto gridagli contro e sfogare la sua rabbia, ma il ragazzino si fissava i piedi ed era tornato ad abbracciarsi le ginocchia con quell'aria inoffensiva che aveva quando era entrato nella stanza. Forse non si era reso conto della gravità del suo gesto.
«Mi dispiace, ma dovevo avvertirli, signore. Era mio dovere perché sono l'unico che ricorda» rispose dopo un pò. «Faccia quello che ritiene giusto.» La sua voce si incrinò appena. Era coraggioso e stava proteggendo i suoi uomini. Lo aveva sempre fatto, fin dal primo momento. Sparta lo guardò con rispetto.
«Potrebbe esserci un'altra soluzione.»
Abel non si mosse.
«Potresti entrare nella mia squadra, servire il governo e ripagare il tuo debito. Non avresti gradi né puoi aspettarti un compenso o ruoli di comando.»
Il cyborg fece spallucce.
«Pensaci.»
«Morire o combattere ... » mormorò.
Sparta non aveva riflettuto che forse era la stessa alternativa che qualcuno aveva offerto ad Abel ed alla sua cerchia anche in passato, in un'altra vita e si sentì in colpa per questo. Non era molto diverso da quegli ufficiali corrotti che avevano manomesso i cyborg per farli macellare nell'arena in un giro di scommesse clandestine. In fondo anche la sua era una scommessa.
«Va bene» rispose, cogliendolo di sorpresa.
«Bene!» Il militare si alzò.
«Ma ad una condizione. Isac, Gabriel ed Eva faranno parte della squadra e il loro blocco di sicurezza sarà rimosso.»
«Questo non è possibile! Non sei nella posizione di dettare condizioni!» Sparta fece tre passi lontano da lui per guardarlo meglio. Non poteva essere serio: o non aveva creduto alle sue minacce o l'ictus gli aveva bruciato i neuroni rimanenti, o ... non c'erano altre spiegazioni possibili.
«Forse non ci siamo capiti, non ti sto offrendo una crociera alle Maldive ragazzino! Io sarò la tua spina nel fianco, ti terrò d'occhio, non sarai libero di andare dove vuoi, rischierai la pelle per qualche mese in più di vita. È questo che vuoi per i tuoi fratelli?»
«Voglio una possibilità, anche una sola di guadagnarci una vita migliore, Signore!»
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