Capitolo 7 - Oneroi - Parte 6
Pura follia! Non c'erano altre parole per descrivere quello che stava accadendo. Forse era un segno dei tempi, sintomo del rovesciamento di ogni regola che si stava registrando nella società, altrimenti sarebbe stato impossibile giustificare gli eventi che avevano segnato gli ultimi giorni. La morte di Laszlo, la sparizione di Elizabeth e adesso l'attacco ad una delle basi militari meglio armate di Empyrios, e ... Abel, il "soggetto zero", l'unica speranza che aveva di proseguire il lavoro del suo maestro era stato portato via perché sospettato di aver compiuto una strage.
Non c'erano altre possibilità, doveva parlare con Price, spiegargli che non aveva autorità su quel cyborg. Più facile a dirsi che a farsi. Eppure non c'erano altre soluzioni.
Il filo dei suoi pensieri lo accompagnò nel tragitto verso gli appartamenti del Comandante dandogli la forza di cui aveva bisogno e alimentando la sua forza di volontà. Avrebbe tirato Abel fuori di lì e insieme avrebbero cercato Elizabeth. Price aveva sicuramente più di un'idea su dove l'avevano portata!
«Stia attento a dove mette i piedi, maledizione!» L'imprecazione lo riportò alla realtà giusto qualche secondo prima di andare a schiantarsi contro un drappello di militari. Gli uomini stavano traslocando degli scatoloni dall'ufficio del comandante. Moore non fece in tempo a formulare la domanda che aveva in mente che Price stesso uscì dalla stanza, scortato dal suo codazzo di fedelissimi.
«Comandante, le devo parlare. È urgente, una questione di sicurezza nazionale!» intervenne in modo scoordinato prima che i tirapiedi potessero fermarlo.
«Non è il momento!» Perry si intromise facendo da scudo al suo superiore nemmeno dovesse proteggere una star dall'assalto dei paparazzi.
«Non capisce, deve ascoltarmi!»
Price si fermò senza darsi la pena di voltarsi a guardarlo. «No, dottore, è lei che non capisce» replicò usando le sue stesse parole. Solo in quel momento gli occhi di Moore caddero sul trolley che il militare si trascinava dietro fingendo indifferenza.
«Va da qualche parte?» chiese, senza pensare all'ovvietà della domanda e alla reazione che avrebbe potuto provocare.
Finalmente l'uomo si voltò a guardarlo. I suoi occhi cerchiati di nero, le borse gonfie e livide dicevano che doveva aver passato una notte insonne. Una pessima notte!
«Non penso di dover rendere conto a lei dei miei spostamenti, giusto?» scandì le parole con tono sarcastico. Certo era logico, ma la sua risposta lo mandò comunque in collera. Quell'uomo era l'incarnazione stessa della prepotenza di una classe militare che si credeva onnipotente! Moore sentì il sangue andargli al cervello ed infiammargli il volto, mentre il desiderio di stampargli un pugno in faccia rischiava di metterlo nei guai, per cui fece violenza su se stesso e cercò di placare il proprio carattere irascibile.
«Ho bisogno di sapere dove è stata portata Elizabeth Grey» si limitò a rispondere.
Price rimase impassibile, solo il suo sopracciglio destro si inarcò tradendo il fastidio di sentirsi porre quella domanda. «Perché non lo chiede ai suoi capi?» rispose, brusco.
«Maledetto figlio di puttana!» Lo spirito irlandese del medico ebbe la meglio sul suo buonsenso. Allungò una mano per afferrargli il collo e tirarlo verso di se ma i militari furono più rapidi: nella frazione di un secondo si trovò diverse pistole spianate contro. Alzò le mani, consapevole che non avrebbe ottenuto risposte da quel bastardo. Il comandante sembrò leggergli nel pensiero. «Non ho idea di dove sia la dottoressa» scandì le parole come se l'uomo di fronte a lui fosse uno stupido dotato di poco intelletto, «ma sono certo che prima o poi lo scoprirà!» con un sorriso e un cenno del capo Price lo salutò e riprese il suo cammino verso l'ascensore, lasciandolo da solo nel corridoio silenzioso.
«Lo capisca. Non è una delle sue giornate migliori!» Una voce profonda proprio dietro di lui lo costrinse a voltarsi verso la porta dell'ufficio da cui erano usciti il comandante ed i suoi uomini. Non aveva notato il militare che se ne stava appoggiato allo stipite con l'aria di divertirsi della sua aria smarrita e forse anche della scenetta che aveva appena improvvisato.
«Price è appena stato richiamato a Nova Polis per rispondere ad alcune domande sull'attacco di questa notte.»
Il medico osservò l'uomo che ora si era raddrizzato e torreggiava sopra di lui. Poteva essere alto due metri e il suo corpo massiccio lo rendeva simile ad un colosso. L'uniforme nera e il basco non lasciavano dubbi sul corpo a cui apparteneva: antiterrorismo.
«Lei è?» chiese, sospettoso.
«Capitano John Sparta.» Gli occhi del militare lo scrutarono dall'alto al basso. «Sono qui per assicurarmi che l'ordine sia ripristinato e mantenuto fino al termine dell'inchiesta.»
Inchiesta? Ah, certo. Price doveva essere nei guai. Forse la Difesa si era posta le sue stesse domande e aveva qualche dubbio su come un commando armato fosse riuscito ad entrare indisturbato in una base considerata imprendibile.
«Quindi lei farà le veci del comandante fino al suo ritorno?» chiese, improvvisamente consapevole della svolta che gli eventi avevano preso.
Il gigante fece un cenno con la testa.
«Bene, in tal caso ho bisogno del suo aiuto.»
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Abel aveva visto arrivare lo schiaffo ma non fece niente per evitarlo. La mano di Owens lo prese in pieno volto mandandolo a terra. Quello che non vide arrivare fu il calcio allo stomaco, un colpo così violento da togliergli il respiro. Sputò sangue mentre tossiva alla ricerca disperata di aria. Non doveva difendersi, aveva violato ogni regola e avrebbe protetto i suoi fratelli, anche contro se stesso.
«Sei un mostro pericoloso e stanotte lo hai dimostrato. L'unica cosa che non so è come li hai uccisi!» il militare sbraitò quelle parole di accusa che fischiarono nelle sue orecchie troppo sensibili.
È stata legittima difesa, pensò, ma preferì tenerlo per sé. Sentì caricare la pistola che Owens ora puntava contro di lui.
«COME. LI HAI. UCCISI!» gridò, ancora più forte.
Abel si portò le mani alle orecchie, rannicchiato in posizione fetale contro il pavimento, poteva vedere i volti cadaverici dei suoi fratelli, curvi sopra di lui. Gabriel si era voltato dall'altra parte, incapace di guardarlo mentre soffriva. Di tutti loro era il più indifeso, quasi fragile.
«Non volevo» piagnucolò, sperando di farlo smettere. Era la verità. Non aveva mai voluto uccidere, ma non ne aveva potuto fare a meno. Gli esseri umani erano troppo fragili, le loro ossa si spezzavano con facilità e quegli uomini erano armati. Era una questione di vita di morte. Lui o loro. Evidentemente ad Owens questo non interessava. Sentì la canna della pistola contro la sua tempia, mentre scansava i suoi capelli sudati.
«Non farmi ripetere la domanda un'altra volta» ringhiò, cercando di ottenere la risposta che voleva.
Che cosa doveva dirgli? «Erano armati ... mi sono solo difeso.»
Owens lo afferrò per i capelli strattonandolo in modo da poterlo guardare in volto. «Avrei dovuto ucciderti quando ne ho avuto la possibilità» disse, senza nascondere l'odio che nutriva per lui e per i suoi simili. Le parole del militare rimbalzarono nella sua coscienza, riproponendosi decine di volte come un'eco senza fine.
Abel cercò il suo sguardo, tentò di decodificare la sua espressione, di leggere il linguaggio del suo corpo. Niente era in grado di spiegare il significato nascosto in quella frase.
«Non mi farò sfuggire l'occasione una seconda volta». Il click del grilletto confermò la sua minaccia.
«Perché?» chiese, senza ottenere risposta.
L'uomo lasciò la presa e si rialzò, allontanandosi da lui. Così avrebbe potuto sparare il colpo di grazia senza sporcarsi l'uniforme. Nella stanza ora c'era solo silenzio ed il rumore dell'acqua che gocciolava a terra da un tubo rotto. Doveva rialzarsi in qualche modo, non voleva morire sul pavimento, come un verme. Provò a fare forza con le mani strette a pugno, puntandole contro il freddo cemento, ma sapeva che Owens l'avrebbe preso come un tentativo di fuga o peggio di ribellione e gli avrebbe sparato prima ancora di riuscire a mettersi in piedi. Forse gli conveniva restare dov'era. Valutò le alternative.
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