Capitolo 7 - Oneroi - Parte 5

Le mani di May avevano continuato a tormentare la sua pelle troppo sensibile e i lividi che la ricoprivano. La donna lo aveva pulito, disinfettato, cercando di non mostrare raccapriccio per la sua diversità, mentre Abel fissava l'acciaio che spuntava dalle ferite aperte, là dove la carne era stata strappata via, perso nei suoi pensieri.

I lamenti di Gabriel gli dicevano che il cyborg aveva appena compreso la sua vera natura. Non aveva visto Darius bruciare vivo come lui, non conosceva l'orrore. Ora, dopo una notte insonne, era finalmente privo da condizionamenti e poteva ragionare con lucidità. Una vera vittoria di Pirro!

In quel momento la sua stessa sanità mentale rischiava di essere seriamente compromessa. Tutto quello che gli era capitato nelle ultime ventiquattro ore era la prova che qualcosa non andava, che la realtà era diversa da come l'aveva immaginata e che forse non poteva dire nemmeno di conoscere se stesso. Il sogno che aveva tormentato il suo sonno era ancora vivido nella sua memoria e lo aveva lasciato con una domanda: chi era ABL215005021?

La voce di Ian Moore lo riscosse dai suoi pensieri colpendolo con una rivelazione: solo due persone potevano aiutarlo a trovare le risposte alle sue domande ed erano proprio il dottor Moore e la dottoressa Grey.

La donna sapeva qualcosa, si era comportata in modo strano con lui, risvegliando il suo istinto di sopravvivenza. Gli aveva fatto troppe domande confermando i suoi sospetti. Poi era partita senza fornire altre spiegazioni. Non che Abel ne avesse volute. Solo qualche giorno prima era felice della sua mancanza di coscienza. Era come un guscio in cui si sentiva protetto. Il suo unico desiderio era quello di essere lasciato in pace, con la sua diversità. Ora però, la ragazza della fotografia aveva aperto una crepa in quella corazza. Una breccia che dopo la notte a cui erano sopravvissuti era diventata una voragine. Doveva parlare con il dottor Moore.

«I militari!» Eva, nel lettino accanto al suo, gli lanciò uno sguardo carico di tensione, mentre i suoni ovattati dell'ambulatorio lasciavano il posto allo scalpiccio degli stivali e dei passi marziali sul pavimento di linoleum.

Gli uomini entrarono senza alcun rispetto per il luogo in cui si trovavano e spianarono le loro armi contro i cyborg. Qualcuno alzò le braccia, qualcun altro, come Gabriel, era troppo confuso per farlo.

«Tutti i cyborg ci seguano fuori da qui!» L'ordine di Owens comunicò la decisione che era stata presa dopo una breve trattativa con il dottor Evans. L'uomo non era riuscito a proteggerli e forse non ci aveva nemmeno provato con convinzione.

Owens. Il militare sembrava guardarsi intorno alla ricerca di qualcuno in particolare. I suoi occhi di ghiaccio scrutavano i volti, le ferite, le ustioni cercando una risposta. Abel lo vide guardare dalla sua parte e aggrottare la fronte. Forse aveva trovato quello che cercava.

«Mettiti questi!» La voce di Moore lo fece trasalire. Il ricercatore era in piedi davanti a lui ora e lo stava coprendo con la sua sagoma, nascondendogli la visuale.

«Non deve vedere quelle» disse, indicando le sue ferite, la voce un sussurro appena percepibile. Lasciò cadere un mucchio informe di stracci sul lettino, ma non si mosse. I suoi occhi continuavano a fissarlo esprimendo urgenza. Solo in quel momento Abel si rese conto di essere completamente nudo, coperto di sangue e lividi. Il suo corpo raccontava una storia e probabilmente era proprio quella che Owens voleva sentire.

Diavolo! Il giovane afferrò gli abiti che il medico gli aveva passato e si infilò una maglia ed un paio di pantaloni senza perdere tempo a replicare. Il militare era lì perché stava cercando il cyborg che aveva sterminato il gruppo di assalto e le sue ferite lo avrebbero condannato.

Aveva appena fatto in tempo a saltare giù dal lettino che delle mani forti lo afferrarono spingendolo verso l'uscita senza troppe premure.

Dietro di lui Moore non lo aveva mai perso di vista. Abel lo cercò con gli occhi. Vide le sue labbra muoversi in un sussurro che solo lui poteva udire: «Stai attento. Non dire niente.»

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Owens aveva continuato a camminare avanti ed indietro. Ogni tanto si fermava a guardare i cyborg che erano stati disposti in fila, quasi un gruppo di condannati a morte di fronte al plotone d'esecuzione, poi riprendeva il suo percorso come un generale intento a passare in rivista le proprie truppe.

Abel non si mosse dalla sua posizione. In piedi, impalato sull'attenti, fingeva indifferenza mentre il suo cuore batteva furioso, minacciando di fermarsi da un momento all'altro.

«Attenzione, frequenza cardiaca massima raggiunta.» Il suo sistema di controllo biometrico lanciò l'ennesimo messaggio di allarme, intimandogli di calmarsi. Impresa impossibile quando sapeva di essere proprio lui quello che Owens cercava.

Quanto sarebbe durato quel gioco? Il militare sembrava intenzionato a prenderlo per sfinimento. I suoi uomini li avevano scortati attraverso la base, scendendo nelle profondità della terra. Ora erano in un magazzino scavato nella roccia, al livello "meno otto". Non erano mai scesi tanto in basso, anche perché li sotto non c'era nulla. Niente a cui lavorare, nessun impianto, solo qualche cassa impalata e umidità, il tanfo della muffa che pervadeva tutto cancellando ogni altro odore.

Guardò Gabriel alla sua destra. Il ragazzo aveva gli occhi e le guance arrossate ma sembrava essersi calmato. Gli occhi di Eva invece raccontavano un'altra storia. La ragazza sembrava pronta a scattare e a colpire se ce ne fosse stata l'occasione. Solo Isac, le braccia incrociate dietro alla schiena mostrava il suo solito distacco, come se niente fosse stato in grado di colpirlo.

«Ascoltatemi bene ... » Owens smise di camminare e si voltò a guardarli. «So che siete abbastanza intelligenti da immaginare il motivo per cui siete qui quindi non fatemi perdere tempo prezioso e ditemi chi è stato; gli altri saranno liberi di andarsene.»

«Abel?» La coscienza dei suoi fratelli si confuse con la sua, grazie alla loro capacità di condividere le informazioni che era una caratteristica di tutti i cyborg Omega: connessi alla rete e tra loro.

«Non avrai intenzione?»

«Non pensarci!»

«Devo

«È una cazzata e tu lo sai!»

«Non lo ripeterò una seconda volta! Se non c'è un colpevole sarete tutti ritenuti responsabili allo stesso modo e oggi avremo otto cyborg in meno!» Owens estrasse la sua pistola di ordinanza dal fodero e la punto contro il gruppo.

«Chi vuole essere il primo?» chiese, senza rivolgersi a nessuno in particolare. Era una domanda retorica. Avrebbe sparato al primo che capitava, Abel ne era certo. La sua mente aveva spaziato per la rete poco prima e si era imbattuta negli ordini impartiti da Price: trovare il colpevole e terminarlo a vista. Il comandante aveva firmato la loro condanna a morte e nessuno si sarebbe opposto, tantomeno Owens che sembrava felice di eseguire la sentenza.

Deglutì cercando di rallentare il suo battito, senza successo. Pensò che anche Darius avrebbe fatto lo stesso, per ognuno di loro quindi fece un passo avanti.

«Sono stato io!» Accanto a lui Gabriel lo anticipò rubandogli le parole che stava per pronunciare.

«Sono stata io!» Anche Eva uscì dalla fila, lo sguardo orgoglioso fisso sui militari in segno di sfida.

«Io!» Isac si unì ai suoi fratelli, mentre gli altri quattro cyborg sopravvissuti restavano un passo indietro, colti di sorpresa dal loro coraggio o piuttosto dalla loro incoscienza.

Owens avanzò lungo la fila. Il suo sguardo si posò distrattamente su Gabriel, poi su Eva. Quando raggiunse la sua altezza si fermò.

«Non lo guardare. Gli uomini odiano essere fissati. Gli ricorderesti quello che ha fatto, suonerebbe come un atto di accusa! Tieni gli occhi bassi. Ti ha tolto tutto. Ti hanno rubato la libertà. I tuoi ricordi, ma non si deve dire. Ssssst.» Una voce insistente continuava a risuonare nella testa di Abel e a ripetere le stesse parole di avvertimento come un mantra. Non sapeva dire a chi appartenesse ma aveva qualcosa di vagamente familiare.

Senza volere scosse la testa, come per cancellare quel pensiero e i suoi occhi incontrarono quelli del militare. Per qualche secondo si persero in quelle due pozze di ghiaccio.

«Dammi le mani Abel» gli ordinò, senza smettere di inchiodarlo con lo sguardo.

Le sue dita si contrassero come per obbedire al comando mentre la sua parte razionale gli intimava di rimanere fermo. Eppure non aveva altra scelta o i suoi amici avrebbero pagato per colpe che erano solo sue.

«Le tue mani!»

Lentamente il cyborg alzò i palmi davanti a sé.

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