Capitolo 7 - Oneroi - Parte 3

Socrates aveva pianificato l'attacco ad Omega nei minimi particolari senza trascurare alcun dettaglio. Sapeva di poter contare sull'effetto sorpresa ma soprattutto confidava che nessuno avrebbe ostacolato i suoi piani. Il Settimo Livello era isolato da tutto il resto dell'edificio, sepolto nelle viscere della terra, sarebbe bastato disattivare il sistema d'allarme e per quello, potevano contare su una talpa. Non ne conosceva il nome, ma Cicero lo aveva rassicurato sulla sua fedeltà.

Ora quegli esseri immondi erano a pochi passi da lui, rinchiusi dentro una scatola di legno e cartone che stava bruciando come una pira funebre. Non avrebbero resistito a lungo, ancora pochi istanti e sarebbero usciti di corsa dritti tra le sue braccia. Guardò negli occhi i suoi uomini con un sorriso compiaciuto. «Il primo è mio!» disse, rivendicando il suo diritto di prelazione.

Tornò a puntare il fucile di precisione contro la porta illuminata dalle fiamme e appoggiò leggermente il dito sul grilletto. «Venite da papà, stelline!»

«Eccoci! Ci siamo! Si muove qualcosa!» Il tiratore che gli uomini chiamavano Spyke, si preparò per il tiro, mentre il fumo davanti a loro si separava e una pioggia di scintille cadeva sul pavimento. 

Doveva essere una caccia facile, qualche tiro libero contro dei cyborg inermi. Nessuna resistenza. Eppure la figura pallida, illuminata solo dalla luce del fuoco che si intravedeva tra le fiamme raccontava tutta un'altra storia. Era un uomo e puntava dritto contro di loro.

Per un istante Socrates pensò di essere in preda ad una allucinazione.

Il giovane guerriero lanciò un grido di battaglia e iniziò a correre, armato solo di uno scudo e di una lancia. Era completamente nudo. L'uomo sbatté gli occhi cercando di cancellare quell'incubo, l'immagine di un Oplita Spartano uscito dalle pieghe del tempo. Poi, all'improvviso realizzò: doveva essere uno di quei mostri che si avventava contro di loro nel tentativo disperato di sfuggire alle fiamme. Aveva sempre sostenuto che erano pericolosi, assassini potenziati a cui dei pazzi pensavano di affidare il futuro dell'umanità. Adesso ne aveva la prova.

«Fate fuoco!» gridò con quanto fiato aveva in corpo, svuotando l'intero caricatore contro la sagoma del cyborg. Il rumore assordante del ferro che colpiva altro ferro riempì l'enorme magazzino. «Abbattete quel maledetto figlio di puttana!» Gli ordini di Socrates si susseguirono rapidi, alternati da imprecazioni, mentre l'ultimo eco delle pallottole si perdeva in lontananza e la polvere delle esplosioni si diradava di fronte al manipolo di uomini.

Il cyborg sembrava svanito nel nulla.

«Dove cazzo è ...» non fece in tempo a finire la frase che i suoi occhi misero a fuoco un guizzo di muscoli e tendini proprio sopra la sua testa. La figura di un giovane teso nello sforzo del salto, mentre brandiva uno scudo improvvisato in una mano e una spranga. Il metallo lo colpì sul volto con tutta la sua forza scaraventandolo sul pavimento e per Socrates tutto diventò nero e confuso.

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Abel era rimasto ad osservare l'oscurità oltre le fiamme per alcuni istanti, mentre la sua logica gli diceva di tornare indietro e di non fare pazzie.

Poi si era mosso.

Di corsa, rapido, per sfruttare la luce ed il fumo sprigionato dal fuoco, si era lasciato dietro la sicurezza di tutto quello che conosceva per lanciarsi verso l'ignoto. Era la cosa più folle che avesse mai fatto nella sua breve vita, eppure una serenità improvvisa aveva preso il posto della paura. Non conosceva le ragioni di quella sensazione, ma era stranamente calmo, come se nulla potesse toccarlo. Si scagliò contro il commando, animato dal desiderio di mettere fine alla minaccia. I suoi compagni dovevano riuscire a salvarsi. Vide arrivare le prime pallottole, la sua IA gliele mostrò al rallentatore come tante scie chimiche. Abel saltò, lasciando sfilare i proiettili sotto di lui. Il loro capo era lì a portata di mano, una preda fin troppo facile. Sapeva che doveva abbattere lui per mettere fine alla minaccia. L'uomo stava gridando qualcosa, ordini che gli arrivarono confusi alle orecchie ma furono immediatamente decodificati dal suo cervello digitale: "sterminate quelle macchine". Non esitò, inclinò in orizzontale lo scudo e lo fracassò sulla testa di quel mostro.

Atterrò leggero sui talloni, proprio dietro la prima linea dei militari e si girò su sè stesso con un movimento fluido colpendo i primi due, mettendoli fuori gioco prima ancora che potessero riorganizzarsi, poi si liberò del pesante sportello che lo aveva protetto fino a quel momento lanciandolo lontano.

«Fermatelo!» Le grida scomposte degli uomini tradivano la loro sorpresa. Abel si raddrizzò, con quella strana calma che continuava ad accompagnare i suoi gesti e con una grazia che non sapeva di possedere fece ruotare la spranga sopra la sua testa. Doveva essere una visione che quei bastardi non si aspettavano perché restarono ipnotizzati a guardarlo mentre preparava il suo prossimo attacco. Con un balzo saltò più in alto del suo avversario e lo colpì con la spranga spazzandolo via come un fuscello. I proiettili continuavano a fischiare cercando la loro preda ma la sua IA era più rapida a calcolarne le traiettorie. Abel si piegò sulle ginocchia, schivando un colpo che poteva essere mortale e usò ancora la spranga infrangendola contro le caviglie di uno dei militari del commando. L'uomo imprecò e cadde a terra con un tonfo sordo. Ora ne rimaneva solo uno. Quello che chiamavano Spyke.

«Vieni qui, mi piacciono i ragazzini!» L'uomo si passò la lingua sulle labbra mostrandogli una fila di piercing, il corpo ricoperto di inchiostro come una tela. In un'altra occasione gli avrebbe risposto con una battuta, ma non in quel momento. Voleva solo una cosa, cancellarlo dalla sua vista. Il pensiero prese forma nella sua testa folgorandolo come una rivelazione, una verità che gli fece paura. Abel gettò via anche la spranga prima di scagliarsi contro il suo avversario.

«Tre secondi all'impatto, due, uno», una voce che solo lui poteva udire scandì i suoi passi e lo guidò con i suoi consigli freddi e analitici, mentre il cyborg si preparava a spazzare via l'ultimo ostacolo.

Non sarebbero morti lì sotto.

Un tonfo sordo annunciò l'impatto del suo pugno contro il corpo di Spyke e il militare stramazzò a terra privo di conoscenza. Il silenzio avvolse l'intero magazzino, disturbato solo dal violento crepitare delle fiamme e dal suo respiro spezzato.

«Abel ... che cosa hai fatto?» Il tocco leggero di una mano sulla sua spalla ed il tono con cui erano state pronunciate quelle parole lo spinsero a voltarsi. Gabriel lo stava fissando senza preoccuparsi di nascondere il suo disgusto, d'altronde aveva appena violato tutti gli articoli del Giuramento: obbedisci, difendi l'uomo, non uccidere.  Aprì la bocca come per rispondere, ma il sibilo acuto dell'allarme non gliene diede il tempo.

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Price non era riuscito a chiudere occhio e questo era già un evento inatteso. Nelle situazioni più pericolose non aveva mai perso un'ora di sonno, eppure la sera prima era andato a letto con la sensazione precisa che qualcosa quella notte sarebbe andata storta e di solito il suo sesto senso non sbagliava mai. Aveva un talento innato per capire quando il tempo stava per cambiare ed in quel caso il suo istinto gli diceva che era in arrivo una vera e propria tempesta. Così dopo ore passate a girarsi sotto le coperte, senza alcuna speranza di prendere sonno, si era alzato ed era tornato a sedersi alla sua scrivania. Si stava accendendo un sigaro quando la sirena dell'allarme lo fece scattare in piedi, mandando all'aria una pila di documenti.

«Che cosa sta succedendo?» chiamò a gran voce, per attirare l'attenzione della sentinella di turno. La guardia, un ragazzone rasato a zero, poco più che ventenne, aprì la porta e scattò sull'attenti, cercando di apparire sveglio.

«Ha chiamato, Signore?» chiese, come di rito.

Price avrebbe dovuto saperlo, ma questo non gli risparmiò il suo sarcasmo. «No, soldato. Volevo solo vedere se eri ancora sveglio!» Il giovane sbatté le palpebre e si guardò intorno, senza dare segno di comprendere. Non c'era speranza!

«Voglio un rapporto sull'allarme! Immediatamente!» gridò l'ordine trattenendo a stento il nervosismo. «E mi trovi Perry!»

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