Capitolo 7 - Oneroi - Parte 2
13 Luglio 2150, ore 04.30 - Sotto attacco
Aveva il petto e la gola in fiamme e non era in grado di stabilire quanto fossero gravi i danni che aveva subito, non al momento almeno, dato che era troppo impegnato a sopravvivere. Abel cercò di inspirare e di fare arrivare ossigeno ai suoi polmoni ma ogni respiro gli causava una nuova fitta di dolore, l'aria sembrava lava ed era talmente densa da togliergli il fiato. Tossì nel tentativo di liberarsi da quel senso di soffocamento.
«Abel! Svegliati!» Una voce aveva continuato a martellargli nelle orecchie durante tutti gli ultimi cinque minuti, insistente e fastidiosa come lo stridío di una sega elettrica. Odiava quel suono che violentava il suo udito ipersensibile e avrebbe pagato qualsiasi cosa pur di farlo smettere. Sentì le lacrime salirgli agli occhi, ma la tortura invece di cessare aumentò quando il suo aguzzino iniziò a strattonarlo e a colpirlo sul volto, senza curarsi delle sue ferite.
Abel si raddrizzò di scatto e inspirò tutta l'aria di cui era capace.
«Grazie a Dio ti sei svegliato! Pensavo fossi morto. Dobbiamo uscire da qui! Sta andando tutto a fuoco!» La voce di Isac raggiunse la sua coscienza prima ancora che la sua vista fosse in grado di metterne a fuoco il volto. Era in piedi accanto al suo letto e continuava a scuoterlo.
Fuoco.
Si passò una mano sul viso e fu sorpreso di trovarlo ancora lì, intatto.
«Un incubo ...» mormorò.
Isac lo guardava perplesso. «Non so di cosa stai parlando, fratello, ma ti assicuro che tutto questo è dannatamente reale» disse, indicando con un ampio gesto il fumo che era ormai arrivato nella loro stanza.
«Fuori di qui! Brucia tutto!» Gabriel era sull'arco della porta, il volto contorto mentre cercava di coprirsi la bocca.
Il sonno che lo aveva avvolto come una cappa era ormai sparito, Abel saltò in piedi e non perse tempo a vestirsi. Quello non era un sogno. Gli alloggi bruciavano e loro dovevano uscire al più presto.
«Dove sono gli altri?» chiese mentre radunava Gabriel, Isac ed Eva. La sua cerchia. Un unico lotto di produzione avrebbe detto il Darwin, ma loro preferivano definirsi in un altro modo. Fratelli.
Adam, uno dei cyborg della cerchia di Darius agitò una torcia indicando la porta. «La luce è andata e il sistema di allarme non è entrato in funzione. Vado a vedere se riesco ad azionarlo manualmente dal magazzino.» Era un manutentore esperto e nessuno pensò di obiettare.
Il cyborg non aveva fatto più di due passi fuori dal Cubo quando il rumore assordante di proiettili che si infrangevano contro il pavimento e le pareti fecero sobbalzare il resto del gruppo, già pronto a seguirlo. Il suo corpo massiccio ruotò su se stesso e Adam rovinò a terra. Disteso, in una postura scomposta, occupava gran parte del corridoio.
«Non ditemi che ci stanno sparando addosso?» la voce di Eva spezzò il silenzio improvviso. Sembrava più sorpresa che impaurita. Si guardarono senza parlare. Nessuno aveva il coraggio di verificare le condizioni del compagno: il buco sulla sua fronte e il sangue che colava a terra indicava chiaramente che era morto.
«Soggetto ADM214809132. Parametri vitali assenti. Stato: "terminato"» l'intelligenza artificiale di Abel confermò quello che la sua logica gli aveva già suggerito.
Sentì chiaramente l'ondata di panico investire lui ed i suoi compagni nello stesso momento. Nonostante la morte fosse un'opzione costante nella loro esistenza quotidiana, un evento possibile con cui avevano imparato a convivere, le fiamme che iniziavano ad intaccare le pareti erano qualcosa di completamente nuovo ed inatteso. I cyborg le guardavano con meraviglia, mentre bruciavano il legno trasformandolo in una cascata di scintille simili a stelle. Non per Abel, lui aveva già sperimentato quella sensazione di impotenza, di fronte ad un elemento molto più grande di lui.
«Non possiamo restare qui. Moriremo soffocati ancora prima di finire carbonizzati», la voce di Gabriel lo riscosse dai suoi pensieri cupi. Il giovane lo stava guardando, con una determinazione nuova negli occhi. La voglia di vivere stava prendendo il sopravvento sul condizionamento. D'altronde le fiamme avevano svegliato i cyborg, interrompendo il processo di rimozione dei ricordi "anomali". Forse Gabriel, Isac, Eva e gli altri non erano mai stati tanto lucidi quanto in quel momento.
Abel fece un cenno di assenso e rientrò nella sua stanza. Ne uscì poco dopo con un cuscino. Senza parlare si avvicinò alla porta e lo lanciò all'esterno. Anche se non aveva bisogno di quella conferma, la raffica di pallottole che ne seguì stabilì una volta per tutte la gravità della situazione.
«Non voglio essere pessimista, ma l'incendio da solo sarebbe stato già un evento abbastanza anomalo ...», Isac incrociò le braccia sul petto mentre osservava con apparente distacco l'oscurità oltre la porta. «Se poi consideriamo anche che l'allarme non è scattato, che siamo al buio e che ci sono degli uomini armati nel magazzino ...»
«Sarebbe logico dedurre che qualcuno ha deciso di liberarsi di noi» proseguì Gabriel.
Si, possibile, certamente non così semplice, ma plausibile. Abel si sfregò gli occhi che avevano iniziato a lacrimare senza sosta.
«Forse qualcuno ci verrà a cercare» provò a dire uno dei cyborg più anziani, senza crederci davvero.
«Certo! Quando domani mattina Perry non ci vedrà scattare sull'attenti al contrappello!» Eva uscì dall'angolo in cui era rimasta fino a quel momento e si piegò a raccogliere la spranga con cui la porta degli alloggi veniva chiusa durante la notte. Chi si era accorto dell'incendio doveva aver aperto in fretta e furia e l'aveva gettata sul pavimento. Ora la lunga asta di ferro arrugginito giaceva a terra, accanto alla testa di Adam.
Il sesto senso di Abel fece suonare un altro campanello di allarme. «Che cosa hai intenzione di fare?» le chiese, gli occhi spalancati per il terrore. L'immagine di Eva che si scagliava contro il nemico in agguato nell'oscurità lo fece rabbrividire.
«Cerco una via di uscita!» La risposta piccata della cyborg non si fece attendere, ma lui si era già mosso e le aveva strappato di mano l'arma ancora prima che Eva riuscisse a completare la frase. Lei lo incenerì con lo sguardo, i suoi occhi due lampi di azzurro illuminati dal chiarore del fuoco. Abel si chiese quanto potesse essere pericolosa senza alcun condizionamento a trattenerla.
«Quella porta è l'unica via di uscita che abbiamo e dobbiamo fare qualcosa in fretta» lo rimproverò, come una maestra può rimproverare un alunno indisciplinato e forse anche un pò stupido.
«Non ho dubbi» le rispose superandola e puntando verso la cucina, «ma con questa da sola ti farai ammazzare e non sarai utile a nessuno.» Poteva figurarsi la sua espressione piccata mentre le dava le spalle, ma sapeva di avere ragione. «Inoltre non credo che la fuori ci siano androidi o cyborg e il tuo blocco di sicurezza ti impedirà di alzare anche un solo dito su degli esseri umani.»
Abel entrò nello stretto locale in cui i cyborg consumavano i loro pasti e si guardò intorno. Trovò subito quello che cercava. Con due falcate si avvicinò al guardaroba in cui tenevano le loro attrezzature e le tute di lavoro. Era un vecchio armadio blindato, di quelli che venivano usati per conservare armi e munizioni.
Con un gesto preciso fermò il mobile con un piede e con la mano destra strappò via uno degli sportelli. Gli stipiti saltarono con un suono sinistro.
«Che diavolo hai intenzione di fare con quello?» Eva si era avvicinata e lo guardava senza nascondere il suo stupore.
Abel non le rispose. Testò la presa sulla maniglia, alzando ed abbassando lo sportello. Era dell'altezza giusta. Se lo teneva abbassato poteva vedere davanti a sé, alzandolo rimaneva quasi interamente coperto. Fece ruotare l'asta di ferro con la mano destra, verificandone il peso ed il bilanciamento. «Cercherò di tenerli impegnati abbastanza a lungo per consentirvi di uscire di qui.» Nessuno obiettò.
«Bene.» Isac infilò le mani nelle tasche dei pantaloni che aveva indossato in fretta e furia. «In tal caso io cercherò di dare l'allarme, ma tu bro, vedi di non farti uccidere.»
La mente di Abel era già lontana da quel posto, tesa verso l'esterno, mentre analizzava le possibilità. Avrebbe dovuto rimanere esposto pochi istanti, giusto il tempo di consentire alla sua intelligenza artificiale di analizzare la traiettoria dei colpi ed identificare le postazioni degli assalitori. Poi ... poi non ne aveva idea. Per quello confidava nel suo istinto umano, lo stesso che lo aveva portato a prendere la decisione di andare là fuori.
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