Capitolo 6 - La luna nel pozzo - Parte 5
12 Luglio 2150, ore 08.00 - Prigioniera
Nemesi. Cicero. Quello era l'assassino di Kyle Laszlo. L'uomo che aveva messo la parola fine ad anni di ricerche, ai suoi sogni e alla speranza di costruire un mondo migliore, era lì e andava avanti ed indietro come un predatore. Poteva vedere il suo sguardo di fuoco che di tanto in tanto si posava su di lei, come se potesse attraversarla con la sola forza della sua intensità.
Elizabeth rimase in silenzio. Attendeva di sentirlo pronunciare la sua accusa, di udire la sua condanna a morte. Era una donna, forse con lei sarebbero stati più clementi, forse le avrebbero concesso una fine rapida. Ma la marcia silenziosa del suo aguzzino sembrava non avere fine e questo la rendeva nervosa. Doveva sapere. Era rimasta troppo tempo senza avere risposte.
«Avete raggiunto il vostro obiettivo, Laszlo è morto, che cosa volete ancora?» gridò, snervata dall'attesa. Voleva conoscere gli oscuri pensieri che attraversavano la mente di quell'uomo, quello che aveva in serbo per lei.
Come obbedendo ad un suo comando telepatico, Cicero si arrestò e rimase a fissarla con la sua espressione feroce. «Abbiamo fatto giustizia» disse infine, parlando lentamente come se dovesse spiegare un'equazione complessa ad una allieva poco capace, «ma siamo ancora lontani dal riparare i danni causati dalla follia del tuo maestro.»
Lei lo fissò ma non lo interruppe.
«Il mondo è ancora infestato dalle sue creature infernali, ma noi le troveremo tutte e le elimineremo, una ad una, ripristinando le leggi che Laszlo ha violato.»
Elizabeth avrebbe voluto replicare, chiedere se intendevano fare una carneficina, se si rendeva conto che i cyborg erano creature di carne e sangue, che avrebbe compiuto un eccidio, ma qualcosa nell'atteggiamento di Cicero le diceva che il peggio doveva ancora arrivare e che avrebbe fatto meglio a tacere.
«Ma il mio scopo è un altro. La sfida che ho accettato è ben più grande ed ambiziosa e tale da togliermi il sonno.» Ora era tornato a divorarla con gli occhi, come se avesse il potere di leggerle nella mente.
«Io farò in modo che nessun cyborg veda più la luce e che i segreti di Laszlo muoiano con lui e restino sepolti per sempre» proseguì, con una luce malevola che gli accendeva lo sguardo rendendolo febbricitante. «Ed è per questo che l'ho fatta portare qui, dottoressa Grey.»
Trasalì, consapevole della minaccia nascosta in quelle parole. «Non saprei come potervi essere di aiuto» lo schernì.
Cicero sorrise. Le sue labbra si incurvarono lentamente in un ghigno che rendeva ancora più orrenda la sua guancia sfregiata. «Sono sicuro che lei lo sa perfettamente, Elizabeth» scandì le sillabe del suo nome che risuonò come una bestemmia alle sue orecchie. Quell'uomo la odiava, odiava tutto quello che lei rappresentava.
«Laszlo ha messo al sicuro i suoi progetti. Non avrebbe mai rischiato di vederli andare in fumo con il Darwin.»
«Tu non lo conosci! Come fai ad esserne così sicuro?»
Cicero sputò la saliva che aveva in bocca. «Le assicuro dottoressa che conoscevo il dottor Claudio Farinelli molto meglio di lei e del suo collega. Come si chiama? Ian Moore se non sbaglio.»
«Facciamola finita! Falla parlare.» Una voce risuonò nell'ombra, seguita da un brusio di altre voci. Commenti, imprecazioni sussurrate. Elizabeth si guardò intorno. Non si era resa conto che le ombre nascondevano altre presenze. Decine di uomini che la fissavano impazienti di ottenere la sua confessione. Non riusciva a vederli chiaramente, ma poteva percepirne la presenza.
«Silenzio!» Cicero zittì le voci con un gesto della mano senza distogliere lo sguardo da lei, mantenendola inchiodata al suo posto.
«Io e i miei uomini sappiamo che Kyle Laszlo ha passato i progetti ai suoi collaboratori. Nisi amissa est, nulla è perduto, sapeva che queste parole sono sempre state il suo motto?» chiese, avvicinandosi minaccioso.
Elizabeth chiuse gli occhi per sfuggire alla vista del suo volto sfregiato.
«L'unica cosa che non sappiamo è "come", ma questo ce lo direte lei o il suo amico Ian Moore.»
«Ian?» Sentire il nome del suo amico le trasmise un senso di urgenza. Moore era la sua unica speranza, il solo che poteva ancora preoccuparsi di lei, denunciarne la scomparsa. Avrebbe fatto di tutto per cercarla. «Il dottor Moore è al sicuro a Nova Polis!»
Il sorriso di Cicero si allargò ancora di più, trasmettendo una strana luce ai suoi occhi. «Ancora per poco» disse. «Quanto a lei può decidere di collaborare di sua spontanea volontà e forse potrei decidere di lasciarla andare, oppure io le caverò la verità dalla bocca con ogni mezzo Elizabeth Grey.» L'uomo si allontanò all'improvviso, come se avesse perso ogni interesse. Con un gesto distratto la indicò ai suoi uomini. «Perquisitela e controllate il suo bagaglio. Non trascurate nessun particolare. Quello che cerchiamo potrebbe essere molto piccolo.» La guardò un'ultima volta con aria divertita. «Spero che lei non sia timida dottoressa. I miei ragazzi dovranno controllare ogni centimetro del suo corpo.»
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«Volevi parlarmi?» Cicero non riuscì a nascondere una nota di irritazione, mentre si rivolgeva al giovane nascosto nell'ombra del magazzino. Aveva dato disposizioni affinché i suoi soldati si occupassero di Elizabeth Grey. Per il momento intendeva lasciarla macerare nel dubbio che l'avrebbe torturata. Sperava di non essere costretto a farlo. Non aveva nulla contro quella donna, niente di personale. Lei non era suo fratello. Eppure molti dei suoi uomini non erano disposti a concedere alla dottoressa alcuna pietà, avrebbero voluto vederla espiare le sue colpe.
Kane era uno di quelli.
Lui ed il suo gruppo venivano da New York, si erano uniti a Nemesi da alcuni mesi e Cicero sapeva che erano poco propensi a seguire le regole. Avrebbe fatto volentieri a meno di loro se avesse potuto.
«Ti ringrazio di avermi concesso udienza!» Il sarcasmo di Kane lo colpì come uno schiaffo in pieno volto, nonostante questo finse di non notare l'offesa. Quel ragazzino gli metteva i brividi, con i suoi occhi di un azzurro mare sempre cerchiati di scuro, come se il sonno gli fosse sconosciuto. Aveva poco più di sedici anni, o almeno li dimostrava, ma Cicero era sicuro che non avrebbe esitato ad uccidere come un assassino esperto chiunque si fosse messo sulla sua strada. Forse lo aveva già fatto.
Ad essere sinceri, nessuno dei suoi uomini era uno stinco di santo. In fondo rappresentavano lo scarto della società: banditi e derelitti, anarchici poco inclini a sopportare le imposizioni del governo. Si erano uniti a lui per motivi diversi, tutti però condividevano lo stesso obiettivo che era quello di riportare la democrazia ad Empyrios. Su quali fossero le reali intenzioni di Kane non era altrettanto sicuro.
«Non ti riconosco più! A quella donna è bastato sbattere le ciglia per farti dimenticare perché l'hai portata qui!»
Cicero sentì il sangue ribollire nelle sue vene. Avrebbe dato una lezione a quel moccioso, ma non ora. Era troppo vicino al suo scopo per rovinare tutto. Non poté evitare però il tic nervoso che iniziò a tormentargli l'angolo della bocca. Odiava quella sua debolezza che rendeva ancora più evidente il suo volto sfregiato.
«So bene quello che faccio Kane» ringhiò in risposta. Un ringhio sordo che sperò fosse sufficiente a mettere il ragazzino al suo posto.
«Se stanno spostando i suoi archivi, dobbiamo saperlo subito!» Il tono della sua voce non ammetteva repliche e lasciava trasparire l'urgenza di carpire i segreti di Laszlo e forse anche una vena di follia.
«Non c'è nessun archivio» rispose lui, seccato. «Almeno non nel senso tradizionale del termine.» Conosceva le manie di suo fratello ed era consapevole che non avrebbero trovato la copia dei suoi progetti sul server della Difesa. Laszlo non si fidava di nessuno. Per questo aveva pensato che la chiave dell'enigma fosse stata divisa in più parti. Due. Forse tre. Cicero sorrise. «Lasciamo che la dottoressa ci dorma su. Questa è stata una giornata pesante per lei» dopodiché si voltò e lasciò Kane a meditare sulle sue parole.
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«Che facciamo?» La voce di Achan, accanto a lui contribuì a risvegliarlo dai suoi pensieri omicidi. Cicero si sentiva onnipotente, padrone delle loro vite, ma lui avrebbe cancellato per sempre quel ghigno dal suo volto. Si sentiva schiumare di rabbia.
«Non possiamo fidarci!» Lilith emerse dall'ombra in cui era rimasta nascosta fino a quel momento. I tatuaggi che le coprivano il braccio destro sembrarono prendere vita, animati da un raggio di luce che filtrava tra le assi sgangherate della catapecchia.
I suoi uomini avevano ragione. Cicero era debole. Era il leader di una organizzazione importante, infiltrata a tutti i livelli della società ma Kane era consapevole che non avrebbe mai varcato certi confini. Lo aveva messo in conto. La sua stessa umanità avrebbe rappresentato il suo limite più grande.
«Tenetelo d'occhio» disse dopo un po'. «E se la dottoressa non parla entro domani, ci penseremo noi.»
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