Capitolo 6 - La luna nel pozzo - Parte 4

12 Luglio 2150, ore 07.30 - Frammenti di memoria

«Tu e tu, sul tetto. C'è da riparare una guaina. Isac oggi prendi ordini dalla Squadra Guastatori. Gabriel, Eva, ...»

Abel prese il suo posto nella fila e sperò con tutto sé stesso che Perry non si fosse accorto della sua assenza. Altri cinque minuti e non ci sarebbero state scuse! Si asciugò il sudore gelato dalla fronte con il dorso della mano e cercò di calmare il battito del suo cuore che minacciava di uscirgli dalla cassa toracica a furia di colpi.

«Abel ...» udire il suono del suo nome lo fece sobbalzare. Il giovane scattò sull'attenti, pronto a ricevere i suoi ordini per la giornata.

«Ho bisogno che tu vada a controllare l'impianto di areazione dell'alloggio dell'ufficiale Owens. Ti consiglio di trovare una soluzione al più presto o finiremo tutti sulla graticola.» Il militare gli stese una cartella con il suo ordine di servizio e proseguì nella litania di ordini e battute idiote che caratterizzava l'inizio di ogni loro giornata.

Fu felice di togliersi da lì, come se Perry avesse potuto leggergli nel pensiero e scoprire quello che aveva fatto. Sapeva che non era possibile, almeno che il tenente non avesse poteri psichici o più semplicemente un body scanner a cui collegarlo, ma il suo spirito di sopravvivenza era più forte di lui ed in quel momento gli diceva che era meglio tenere un profilo basso. I cyborg non mentivano e se lo facevano, come nel suo caso, di solito erano dei pessimi mentitori.

L'alloggio di Owens era al primo livello, come tutti quelli degli ufficiali più alti in grado. Uomini simili a divinità per i cyborg del Settimo Livello, creature quasi mitologiche con cui avevano pochi contatti, se non nessuno e Owens era il vice comandante di Base Omega, il secondo di Price. Abel cercò di mettere a fuoco i suoi dati, ma a parte la fotografia che era presente nel database ufficiale della base, il volto dell'uomo gli era perfettamente sconosciuto. Non lo aveva mai incrociato, neppure per sbaglio. Gli ordini di Perry erano chiari, mantenere lo sguardo a terra, evitare di guardarsi troppo intorno, risolvere il problema e togliersi dalle palle. Quello era stato il termine esatto che aveva usato.

«Risolvo il problema e mi tolgo di torno.» Abel ripeté un'ultima volta le raccomandazioni che gli erano state date, prima di bussare alla porta dell'alloggio.

Un uomo sudato ed in canottiera gli aprì sporgendosi sul corridoio. Guardò a destra e sinistra prima di fissarlo, come se volesse assicurarsi che era da solo e che non c'erano minacce. Poi torno a guardarlo. Fino a quel giorno i militari con cui Abel era entrato in contatto erano stati i pivellini che frequentavano l'accademia o burocrati come Perry, uomini che facevano applicare le regole, ma che non avevano mai partecipato ad un'azione o preso in mano una pistola per sparare davvero, non aveva idea di come fosse un soldato vero quindi l'uomo in piedi davanti a lui gli sembrò il prototipo del perfetto militare. Era alto quasi due metri, il fisico scolpito dalla palestra e dagli allenamenti, lo guardava dall'alto con i suoi occhi di ghiaccio e la mascella contratta come se potesse annientarlo e spazzarlo via con un solo sguardo.

«Sono qui per il guasto all'impianto di areazione, signore» disse, cercando di sventare la minaccia incombente. L'uomo non si mosse di un millimetro, continuava a presidiare l'ingresso del suo alloggio, difendendo il suo territorio dall'assalto del nemico.

«Ti manda Perry?» chiese bruscamente, senza toglierli gli occhi di dosso.

Abel annuì, altrettanto consapevole del pericolo e del fatto che ignorava il motivo di quel comportamento. La sua risposta non sembrò tranquillizzare l'ufficiale che si passò una mano sulla barba incolta, improvvisamente pensieroso. «Qual'è la tua matricola?»

La sua matricola? Doveva essere abituato a quella domanda. Gli veniva posta continuamente, eppure il modo in cui Owens la stava chiedendo, il sospetto che poteva leggere nei suoi occhi, per un attimo pensò di scusarsi, voltarsi dall'altra parte e scappare. «ABL215005021» rispose, invece, consapevole che una sua fuga avrebbe destato più di un sospetto. 

«Fammi vedere il codice a barre.» La mano tesa verso di lui, l'ufficiale rimase in attesa mentre Abel si rimboccava la manica del braccio destro e scopriva il tatuaggio identificativo con cui l'avevano marchiato il giorno del suo risveglio. Udì l'altro borbottare qualcosa, forse un'imprecazione, poi l'energumeno si scansò dalla sua posizione lasciandogli lo spazio per passare. «Fai in fretta.»

«Secondo la diagnostica si tratta di un problema al suo quadro comandi, signore. Non ci metterò molto.» Si avvicinò alla parete accanto al letto e la sfiorò con il palmo della mano. Al suo tocco un pannello d'acciaio si sbloccò con un click e scorse verso l'alto. Sfilò un cacciavite dalla cintura e iniziò a smontarlo, veloce, silenzioso, senza guardarsi troppo intorno, anche se poteva sentire gli occhi dell'uomo su di sé. Si asciugò una goccia di sudore che minacciava di entrargli negli occhi.

«È un guasto ad uno dei circuiti. Ora lo sostituisco e tra cinque minuti potrà accendere l'aria condizionata.»

Owens aveva in mano la cornetta del telefono ed era impegnato in una accesa conversazione con qualcuno. Sembrava essersi dimenticato di lui e questo gli fece trarre un sospiro di sollievo. Abel estrasse i cavi dalla loro guaina e girò rapido il cacciavite facendo cadere a terra una vite, la seconda, la terza. Avrebbe dovuto rimuovere il circuito e sostituirlo e ... rimettere a posto. In un gesto quasi involontario si inginocchiò a raccogliere le viti e appoggiò la mano sul comodino per raddrizzarsi. In quel momento la vibrazione impressa al tavolino fece cadere qualcosa. Il rumore di una cornice che si rovesciava sul piano di cristallo lo gelò nella posa in cui si trovava. Si voltò a guardare l'ufficiale. L'uomo continuava a parlare al telefono e a dargli le spalle, non si era accorto di quello che era successo.

Tirando un respiro di sollievo Abel raddrizzò la cornice, grato al dio dei cyborg per averlo protetto. Il sorriso di una ragazzina sembrò salutarlo dalla fotografia, quasi a volerlo ringraziare per averla rimessa al suo posto. Doveva avere più o meno la sua età. Il suo sguardo si fece più attento mentre si avvicinava per guardarla da vicino. Per un istante il tempo divenne una bolla in cui lui credette di galleggiare: aveva già visto quegli occhi e quel sorriso. Non riusciva a dare un nome a quello che gli stava capitando. Il ritratto lo attirava a sé con la forza di un magnete, facendogli dimenticare le regole più basilari della sopravvivenza, mentre la sua testa gli restituiva immagini e sensazioni che sembravano dannatamente reali.

"Chi sei?" Si trovò a pensare, incurante di quello che stava facendo e di Owens che poteva vederlo.

All'improvviso, la ragazza nei suoi ricordi stava piangendo e le sue labbra si muovevano, come in un film muto, pronunciando delle parole che non riusciva ad udire. Abel si avvicinò ancora di più, come per vedere meglio, ma l'immagine nella foto era immobile

Come era possibile che la sua fantasia gli giocasse uno scherzo di quel tipo, proprio nel momento in cui doveva finire un lavoro importante ed andarsene?

«Cosa diavolo stai facendo?» Il ringhio di Owens gli arrivò impietoso. L'uomo incombeva su di lui, il telefono tra le mani, quasi volesse usarlo come un'arma per abbatterlo. Abel lasciò la cornice che cadde goffamente sul tavolino, producendo un suono sinistro e strisciò all'indietro fino a trovarsi con le spalle al muro.

«Mi perdoni, signore, ho finito» balbettò rialzandosi lentamente, senza perdere di vista il militare che lo stava guardando in cagnesco.

«Vattene!» gli intimò, mentre il giovane raccoglieva le sue poche cose e lasciava l'alloggio di corsa.

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