Capitolo 3 - Elizabeth Grey - Parte 1

«La situazione è sotto controllo, Signore». Perry percorse le poche centinaia di metri che lo separavano dall'ambulatorio medico mentre aggiornava il comandante sull'esito dell'operazione. In una situazione normale, niente avrebbe scalfito la sua calma, frutto di un talento innato a farsi scivolare ogni cosa addosso. Ma quella non era una situazione normale. Avevano rischiato di scomparire in un istante, come ogni altro abitante della costa nell'arco di qualche chilometro, e quella certezza aveva fatto circolare tanta adrenalina nel suo sistema nervoso da lasciarlo stordito. E non tutto era andato come dovuto.

«Perdite?» chiese il superiore dall'altro capo del telefono, pronunciando la domanda che più di tutte Perry aveva temuto.

«Si signore, DRS214809131» disse pronunciando la matricola di Darius. Chissà perché pensava che non nominarlo avrebbe minimizzato la gravità della sua scomparsa. Un cyborg di due anni valeva almeno venti volte di più di un pivello di due mesi e quello in particolare era senza prezzo. Oltre al suo spirito di sacrificio e alla sua abnegazione, era un esperto guastatore che aveva partecipato a decine di missioni, accrescendo in modo progressivo le sue competenze. Nessuno, tra i cyborg della base era al suo livello. Avrebbe parlato di sacrificio necessario se l'altro fosse morto con lui. Invece il fatto che Abel fosse sopravvissuto poteva alimentare il dubbio che qualcosa fosse andato storto, che la morte di Darius poteva essere evitata e che forse la responsabilità di quell'errore era sua. Cercò mentalmente una giustificazione da dare nel caso in cui il comandante lo avesse accusato. Price invece non commentò. 

«L'altro?» chiese, dopo alcuni attimi di silenzio.

«E' vivo» rispose. Tirò un sospiro di sollievo quando il superiore chiuse la comunicazione senza aggiungere altro. Aveva molto a cui pensare ora. Presto sarebbero arrivati quelli del Darwin per prelevare i resti del cyborg e lui doveva farsi trovare pronto. Non voleva che ficcassero troppo il naso nei suoi affari. 

Evans si aggiustò l'uniforme e controllò per la seconda o terza volta il suo riflesso nello specchio. «La puntualità è la virtù di chi si annoia» borbottò guardando l'orologio e avviandosi a passo svelto verso l'eliporto per accogliere gli scienziati del Darwin mentre cercava di dominare il proprio nervosismo. Non poteva rimproverarsi niente, Darius era arrivato sul tavolo del suo ambulatorio chiuso in un pesante sacco di plastica nera, troppo tardi e troppo danneggiato per tentare qualsiasi cura, eppure l'ansia gli aveva chiuso la bocca dello stomaco e rischiava di fargli vomitare quel poco che era riuscito a mangiare durante l'emergenza. Una tensione incontrollabile che lo aveva assalito nel momento stesso in cui gli avevano comunicato che Elizabeth Grey faceva parte dell'equipaggio.

Conosceva bene la dottoressa Grey anzi, poteva dire di conoscerla intimamente. Si erano frequentati ai tempi del College, quando lei era una matricola e lui un giovane assistente di Anatomia. Le cose tra loro erano sembrate perfette fin dal primo momento, pura alchimia. La mente brillante della ragazza lo aveva attratto come una falena richiamata dalla luce dei lampioni, in una notte buia.

Per un certo periodo avevano condiviso tutto: la stanza nel dormitorio, la mensa, i circoli culturali; poi lei era diventata insofferente e la loro storia aveva iniziato a naufragare. O almeno quella era la scusa che Evans si era continuato a raccontare.

La verità era diversa e parlava di una storia di pochezze che aveva un nome ben preciso: invidia. Lui aveva iniziato ad essere geloso della sua intelligenza e aveva cercato di metterla in ombra. Elizabeth era un vulcano di idee, una passionaria della scienza e affascinava tutti quelli che incontrava. La sua carriera scolastica era proseguita in modo brillante a dimostrazione che non aveva bisogno né del suo aiuto né della sua protezione e dopo la laurea le era stato offerto un dottorato di cibernetica all'istituto di ricerche biologiche Darwin. Così si erano persi di vista.

Eric rimase a guardare mentre l'elicottero volteggiava sulla pista, prima di vederlo planare leggero come un grosso insetto, chiedendosi quale sarebbe stata la reazione della donna nell'incontrarlo dopo tanto tempo. Non impiegò molto a riconoscere la sua testa rossa tra le uniformi bianche del personale medico.

La donna scese dall'aereo aiutata da un militare galante. Era talmente occupata dallo sforzo di mettere un piede dietro l'altro e di non perdere l'equilibrio che quasi non si guardò intorno.

«Liz!» Eric la chiamò cercando di attirare la sua attenzione, sbracciandosi come un idiota.

Elizabeth sollevò il viso cercandolo con lo sguardo e impiegò qualche istante a mettere a fuoco. Il medico aveva sperato di vedere quegli occhi verdi illuminarsi nel riconoscerlo e le sue labbra curvarsi in un sorriso, ma la realtà era spesso diversa dalla fantasia. La donna gli fece un cenno con il capo e gli rivolse uno dei suoi sguardi più gelidi. «Evans» rispose, ricambiando appena il suo saluto.

Almeno non lo aveva aggredito insultandolo come l'ultima volta che si erano visti.

«Dov'è il cyborg?» tagliò corto, andando dritta al motivo per cui era lì.

Il medico le fece cenno di seguirlo, ormai consapevole delle scarse possibilità che aveva di recuperare agli errori del passato. «E' nel mio laboratorio.»

Il piccolo drappello di scienziati aveva terminato di raccogliere le proprie attrezzature e si accodò ai due diligentemente, senza fare domande. Era ovvio chi, del gruppo, fosse il leader.

«Ti sei assicurato di aver seguito il protocollo di conservazione?» gli chiese con un tono di accusa mal celato, come se avesse già fatto il processo alle sue azioni e deciso, per qualche motivo che gli risultava difficile capire, che era colpevole.

«Ho seguito ogni istruzione alla lettera» rispose piccato. Avrebbe voluto dirle che non aveva mai avuto difficoltà né di apprendimento, né di lettura e il protocollo inviato dal Darwin era chiaro e non troppo distante da quello che lui avrebbe fatto per un normalissimo cadavere umano. A parte le procedure di sicurezza che gli avevano imposto. Era chiaro che il Governo voleva che fosse assicurata la massima segretezza intorno a quel progetto.

Evans accostò l'occhio al dispositivo di riconoscimento del laboratorio e lasciò che scansionasse la sua retina. Le porte si aprirono silenziose facendo filtrare la luce e l'odore di disinfettante che impregnava le pareti di quel luogo.

«Di qua» disse, più per spezzare la tensione e l'imbarazzo che perché fosse necessario, guidando gli uomini verso la sala operatoria e la parete d'acciaio e vetro che ne delimitava il lato più lungo. Senza perdere altro tempo appoggiò la mano destra in una fessura ricavata tra i monitor e digitò un codice che fu subito seguito da leggeri rumori di dispositivi pneumatici ed aria compressa. La parete sembrò prendere vita e mentre i display restituivano dati medici ed informazioni sulla temperatura e l'umidità, la cella frigorifera si aprì, rivelando il corpo di Darius, composto alla meglio su una fredda tavola d'acciaio.

La dottoressa Grey arricciò le labbra.

Quella scena era raccapricciante e non riusciva a biasimarla. L'esistenza dei cyborg era necessaria, la stampa governativa continuava a ripeterlo, proprio per evitare che una fine simile toccasse ad un essere umano. Pur se umanoide la sua morte contava meno di quella di un uomo. Non dovevano soffrire allo stesso modo, si disse.

La donna appoggiò la sua valigetta sul ripiano di acciaio, quindi ne estrasse un piccolo cilindro, lungo pochi centimetri e del diametro di qualche millimetro. La vide stringerlo tra il pollice e l'indice come per testarne la lunghezza e avvicinarlo all'occhio destro. Un sottile fascio di luce azzurra uscì dal dispositivo e scansionò la sua iride verde. «Riconoscimento positivo. Dottoressa Elizabeth Grey, matricola DRW1499, livello di autorizzazione B.» La voce metallica del software di riconoscimento accese la curiosità del medico. A che cosa serviva quel marchingegno?

«Ora devo pregarti di uscire.» Le parole della dottoressa Grey spensero sul nascere la  speranza di trovare una risposta alle sue domande.

«Non hai il livello di autorizzazione sufficiente per assistere» continuò, questa volta con un tono più comprensivo. Certo, la donna sapeva bene che la passione per la scienza poteva essere come un fuoco pronto a divorare ogni cosa. Quel fuoco un tempo lo avevano condiviso. Evans fece spallucce, senza darle la soddisfazione di mostrare il suo fastidio e uscì dalla stanza chiudendosi dietro la porta.

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