Capitolo 2 - Nell'antro del drago - Parte 2
L'ascensore continuò la sua discesa in una corsa che ad Abel sembrò interminabile. Gli occhi fissi sul vetro da cui trasparivano tubi e condotte che attraversavano la base come un sistema arterioso ripassò mentalmente il contenuto dello zaino che stringeva in mano. Conosceva bene l'impianto. I progetti, gli schemi idraulici ed elettrici, tutto era riprodotto in modo fedele e conservato nella sua memoria bionica anche se la sua era una conoscenza del tutto teorica.
Fino a quel giorno aveva avuto poche occasioni di mettersi alla prova, adesso però le cose stavano per cambiare. Gli avevano affidato il suo primo incarico importante e era in squadra con Darius, il cyborg più esperto, il primo ad essere stato creato nel loro gruppo. Poteva imparare molto da lui e questo lo riempiva di aspettative e di uno strano senso di impazienza.
Il gigante accanto a lui era silenzioso, il volto abbassato sul petto, sembrava perso nei suoi pensieri o forse addormentato. Non aveva detto molto quando gli avevano comunicato l'ordine di servizio e aveva risposto a monosillabi alle domande, nonostante la sua insistenza.
Il montacarichi si fermò con uno scossone improvviso che segnalò la fine del viaggio. Le porte si aprirono lasciando entrare l'aria bollente.
Darius uscì per primo, incurante del calore che tingeva il metallo delle balaustre di un rosso acceso. «Resta dietro di me» gli disse, facendogli cenno di aspettare con la mano, «e non toccare niente.»
Nonostante le tute isolate presto il calore avrebbe iniziato a danneggiare l'attrezzatura; non avevano molto tempo e l'impianto da ispezionare si sviluppava su più livelli, solo la loro dotazione tecnologica di base poteva consentirgli di individuare il danno prima dello scadere dei quindici minuti.
Darius proseguì seguendo con sicurezza una mappa immaginaria mentre il tempo sembrava dilatarsi come un elastico. Anche se l'orologio che avevano in testa continuava a scandire con precisione i secondi, quel luogo nelle profondità della terra doveva seguire regole diverse rispetto a quelle della realtà.
Abel azionò la termocamera installata nella sua visiera, alla ricerca di variazioni nella temperatura dell'impianto. Attraverso le lenti degli occhiali, le tubature gli apparvero come un dedalo colorato di azzurro in tutte le sue sfumature, dal blu notte al cobalto, illuminato da un pallido arancio nei punti in cui ristagnava ancora acqua calda. «Laggiù, davanti a te!» disse improvvisamente, indicando una zona in cui l'immagine virava al rosso.
Darius cercò una conferma dalla propria dotazione, prima di dirigersi a passo svelto verso il punto che Abel gli aveva appena indicato. La cricca era ben visibile e un'impalpabile voluta di vapore fuoriusciva dall'apertura, ad indicare che avevano trovato il danno.
«Prendi i pezzi di ricambio dallo zaino e tienili fermi mentre io li saldo.» Darius non attese la sua risposta; tese la mano per ricevere da Abel il materiale di cui aveva bisogno, dopodiché si mise al lavoro.
«Dieci minuti!» La voce di Perry gracchiò fastidiosa attraverso gli auricolari, disturbando il loro udito sensibile.
Abel strinse con tutta la forza che aveva la guarnizione cercando di tenerla ferma mentre il compagno avvicinava la fiamma al metallo fondendolo. Poteva percepire il calore attraverso la tuta ignifuga e in poco tempo il fumo e gli schizzi oscurarono la sua visiera rendendogli difficile vedere dove metteva le mani.
«Spostala un po' più a destra.» Il suo compagno imprecò cercando di trasmettergli il suo senso di urgenza.
«Cinque minuti! Cazzo, muovetevi o dovremo riavviare l'impianto con voi dentro!» Perry stava diventando sempre più pressante e la sua voce questa volta arrivò all'auricolare tanto forte da far piegare i cyborg in due dal dolore. In quel momento Abel perse la presa e lasciò cadere la chiave inglese. Sentì chiaramente il rumore del metallo che urtava altro metallo e poi il tonfo sordo dell'arnese che finiva a terra. No, era rumore d'acqua, doveva essere finita nel canale di scolo. Diavolo, perché non riusciva a mettere a fuoco. Gli occhi ormai pieni di sudore lacrimavano offuscandogli la vista. Il calore stava diventando insopportabile.
«E' finita nel canale di scolo» commentò Darius, rassegnato, appoggiando a terra la sua attrezzatura. Abel lo vide portarsi l'avambraccio alla visiera e passarselo sul casco nel tentativo di pulirla. «Ne faremo a meno» disse deciso, riprendendo il suo posto e passando le mani sulla guarnizione, quasi accarezzandola mentre sembrava riflettere sul da farsi. La spinse per testarla, poi fece un cenno di assenso con la testa. «Pensi di farcela a tenerla ferma con le mani?» gli chiese.
Si sarebbe bruciato, forse avrebbe perso una mano, pensò cercando lo sguardo di Darius con gli occhi, senza riuscire a metterlo a fuoco, sperando in una parola di conforto che non arrivò. «Certo» rispose, consapevole che non c'erano alternative e chinandosi a raccogliere il cannello da terra. Si accertò che il laser fosse funzionante e lo regolò alla massima potenza prima di passarlo al suo compagno con la stessa solennità con cui gli avrebbe affidato una reliquia.
«Andiamo!» Le parole di Perry questa volta arrivarono più sommesse mentre si rivolgeva a qualcuno vicino a lui. «Bisogna riattivarlo, la temperatura è troppo alta. Moriranno comunque. Dovremo cercare un'altra soluzione.»
Il rumore delle saracinesche lo avvertì che l'impianto di raffreddamento era stato aperto e l'acqua scorreva nuovamente nei tubi.
«Darius?» chiamò, cercando di avvertire il suo compagno. D'un tratto il borbottio del vapore che si formava all'interno delle tubature e che riportava in vita l'impianto di raffreddamento gli ricordò il respiro di un drago addormentato. Un drago che stava per svegliarsi e che non avrebbe avuto alcuna pietà di loro se li avesse trovati lì.
Dovevano sbrigarsi e terminare quel maledetto lavoro.
«Prendi!» gridò, allungando la torcia laser verso il compagno ma il sibilo del vapore che iniziava a fuoriuscire dal tubo lo paralizzò.
«Attento! » Darius reagì in modo rapido e istintivo, afferrando la guarnizione con entrambe le mani ed impedendole di schizzare via mentre il vapore fuoriusciva con tutta la sua potenza. Pura forza fisica contro l'inevitabile. Un getto di acqua bollente mista a vapore lo investì con tutta la violenza di cui il drago era capace.
Abel sentì l'involucro di carne e sangue di Darius sfrigolare e sapeva, anche senza sentirlo, che l'odore di carne bruciata, di stoffa, di capelli aveva invaso l'enorme sala macchine, ma non poteva fare più niente per lui. Impugnò la torcia e la avvicinò alla guarnizione per completare la saldatura mentre l'altro cyborg rimaneva al suo posto, contro ogni legge della natura che diceva che i suoi organi umani erano ormai compromessi, continuando a mantenere la sua posizione.
Infine, la nuvola di vapore si trasformò in un inoffensivo rivolo d'acqua. Solo allora il gigante si lasciò andare e cadde a terra sulla plastica appiccicosa del pavimento. La tuta che avrebbe dovuto proteggerlo non c'era più, di lui rimaneva solo un groviglio di arti di acciaio e carne bruciacchiata.
Improvvisamente Abel fu sommerso dal silenzio. La voce di Perry era scomparsa dall'auricolare. Era solo nelle profondità della terra, consapevole di aver portato a termine il suo compito ma svuotato di ogni emozione, come se qualcuno gli avesse appena aperto una voragine nel petto. L'unico pensiero che continuava a martellargli in testa era quello che gli diceva di andarsene da lì, ultima vestigia del suo spirito di sopravvivenza.
«Pericolo! Radioattività a livelli critici. Tempo di sopravvivenza residuo dieci minuti.» Una voce che solo lui poteva udire risuonò nella sua scatola cranica e gli ricordò che i minuti passavano inesorabili.
Si guardò intorno. L'ascensore aveva le porte chiuse e sarebbe stato bloccato al piano per alcune ore, il tempo necessario per decontaminare l'area, era protocollo di sicurezza standard, niente che non fosse stato già previsto. Si avvicinò al pannello su cui lampeggiava la scritta rossa "out of order".
Se voleva sopravvivere doveva trovare un'altra via di uscita.
Anche se gli ordini erano di aspettare i soccorsi, la sua intelligenza artificiale aveva già iniziato ad elaborare calcoli sofisticati per valutare ogni possibilità di fuga. Resistenza della sua tuta, durata dell'ossigeno, temperatura. Centinaia di dati vennero analizzati per definire la soluzione con la maggior probabilità di riuscita. Avrebbe potuto hackerare il software di controllo dell'ascensore e risalire ad un livello più sicuro, pensò.
«Violazione del protocollo di sicurezza.» La scritta lampeggiò per alcuni istanti davanti ai suoi occhi serrati, ricordandogli il conflitto tra la sua sicurezza e quella degli umani presenti nella base, mentre altre opzioni si succedevano rapide in una sequenza che solo la sua intelligenza artificiale gli consentiva di seguire.
Abel restò immobile aspettando la fine del processo, solo il battito impercettibile delle sue lunghe ciglia bionde sotto la visiera tradiva l'attività intensa di neuroni e circuiti di quel vero e proprio miracolo che era il suo cervello. Ad un occhio non attento sarebbe sembrato vittima di un guasto critico, fermo com'era al centro di una scena di completa distruzione.
Quando riaprì gli occhi fu per voltarsi ancora una volta verso l'ascensore. Si mosse rapidamente, come rianimato dalla semplicità di quella soluzione.
«Si» mormorò, puntando verso l'accesso al locale tecnico dell'impianto. La porta di acciaio che chiudeva l'ingresso allo stretto cunicolo era sprangata da un lungo chiavistello, nessuna tecnologia sofisticata, solo ferro e un pesante lucchetto di altri tempi.
Afferrò il lucchetto con una mano e lo strinse con forza. La resistenza del metallo gli provocò dolore, ma in quel momento non c'era tempo per pensare ai danni collaterali, doveva mettersi in salvo. Non si fermò fino a quando il ferro non si sbriciolò tra le sue dita permettendogli di liberare il chiavistello. La porta si aprì cigolando sui cardini arrugginiti rivelando un fascio di cavi elettrici che provenivano dall'alto e alimentavano il montacarichi. Abel ne seguì il percorso con lo sguardo perdendosi nell'oscurità sopra di lui.
Era quella la sua via di fuga. Doveva solo arrampicarsi a mani nude per alcune centinaia di metri.
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