Capitolo 1 - L'imperfezione dell'immortalità - Parte 2
«Vieni avanti.» Il Calvo gli fece cenno di avanzare, invitandolo a raggiungerli. Poteva sentire i suoi occhi fissi su di sé che lo sondavano curiosi, divorati da una fiamma che li rendeva lucidi, una fiamma la cui natura gli era sconosciuta. Solo in quel momento si accorse di una terza persona, un militare che lo osservava senza nascondere la sua irritazione. L'uomo era appoggiato al muro in una postura molto poco marziale, le braccia incrociate sul petto e un sorriso beffardo stampato sul viso.
Il Calvo sembrò seguire il suo sguardo. «Il tenente Perry è il responsabile della Logistica, ti accompagnerà nel tuo alloggio» gli disse, spiegando così la presenza del militare. Per tutta risposta quello fece una smorfia, come se essere stato chiamato in causa gli pesasse in modo indescrivibile e, senza parlare, uscì dalla stanza.
Abel rimase a guardare il punto in cui l'uomo era scomparso oltre l'arco della porta, incapace di decidere cosa fare. Non gli erano stati dati ordini precisi e questo lo confondeva rendendolo incapace di prendere una pur semplice decisione.
«Muoviti!» La voce del Calvo, che lo richiamava alla realtà, dipanò la matassa dei suoi pensieri e lo spinse a rincorrere il tenente Perry fuori dalla stanza.
L'uomo proseguì senza parlare, attraverso i corridoi del secondo livello. Abel lo seguì in rispettoso silenzio, in attesa di una sua parola o di un suo ordine, faticando nonostante tutto per mantenerne il passo. Non riusciva a capire la strana fretta che sembrava animarlo e le motivazioni che spingevano il militare ad aumentare lo spazio tra loro, come se stesse cercando in qualche modo di sfuggirgli. Sapeva che non doveva perderlo di vista, il Calvo era stato chiaro. Solo per un istante si concesse di lasciar vagare lo sguardo intorno a sé, godendo della bianca luminosità degli spazi che stava attraversando. I corridoi erano ampi, illuminati dalla luce del sole che filtrava attraverso vetri intelligenti e veniva amplificata da nanotecnologie di ultima generazione. Quei raggi caldi rischiaravano l'ambiente e rendevano le linee degli oggetti nette e definite. Gli studenti dell'accademia militare affollavano i corridoi, spingendosi e strattonandosi spensierati, mentre raggiungevano le aule in cui si sarebbero tenute le prossime lezioni, inconsapevoli della sua presenza. Seconda porta a destra, aula di "Tattiche militari" pensò, ripassando mentalmente la planimetria del livello. La loro gioia gli strappò un sorriso inconsapevole.
«Muoviti!» ringhiò il militare. L'uomo si era fermato davanti ad un ascensore e gli stava indicando le porte aperte. Abel annuì e si affrettò a varcarle per evitare di peggiorare il suo stato d'animo. In modo istintivo si posizionò nell'angolo più lontano, mentre Perry digitava un codice di sicurezza e l'ascensore iniziava la sua lenta discesa verso il basso. Il silenzio improvviso di quel luogo sembrò avvolgerlo e lo lasciò senza difese di fronte al suo accompagnatore umano. L'uomo lo stava fissando, la fronte aggrottata e un sorriso sbagliato che trasmetteva ai suoi occhi una luce maligna. Le dita della mano, appoggiata sul fianco destro, tamburellavano sulla pistola d'ordinanza, dandogli l'aspetto di un cacciatore pronto ad estrarre l'arma e abbattere la sua preda.
L'ascensore rallentò in modo brusco facendolo sobbalzare. «Livello meno sette. Destinazione raggiunta.» Una voce metallica anticipò l'apertura delle porte che si dischiusero silenziose.
Il giovane cyborg ripassò mentalmente la mappa del luogo. L'intero piano era registrato come un generico "magazzino" di cui la sua intelligenza cibernetica gli restituiva le coordinate, la superficie, perfino la temperatura, ma niente di più. Non aveva idea del perché Perry lo avesse condotto fino a lì, ma anche se non conosceva le ragioni del suo comportamento, era stato programmato per non mettere in discussione gli ordini, e per non farsi troppe domande.
L'odore di muffa, misto ad urina lo colse del tutto impreparato. Era diverso da quanto aveva appena sperimentato. L'odore di pulito e di disinfettante era stato sostituito da quell'aria malsana che gli riempiva le narici e portava al cervello sostanze e spore per essere scomposte nei loro elementi fondamentali ed analizzate.
Osservò Perry allungare una mano e premere un interruttore che doveva avere almeno trenta anni, cimelio di una tecnologia desueta. Una flebile luce illuminò quei locali maleodoranti, terrorizzando gli animali notturni che lo popolavano e decine di farfalle iniziarono a battere le loro ali intorno alla lampada, proprio sopra alla sua testa, suscitando la sua reazione scomposta. Cercò di scacciarle con le mani, ma gli insetti sembrarono accanirsi ancora di più contro di lui. Il tenente rise sarcastico ed il suono della sua risata gli fu restituito amplificato decine di volte dalle pareti vuote, coperte di rozzo intonaco grigio.
«Benvenuto! Hai appena vinto un soggiorno nel nostro hotel a cinque stelle!» rise ancora, indicandogli con un ampio gesto gli ambienti sporchi e maleodoranti. Il giovane non commentò e si limitò a seguirlo, continuando ad allontanare le farfalle con ampi gesti.
Mano a mano che avanzavano nel buio, l'energia elettrica illuminava gli spazi, preceduta da piccole scariche di energia che ronzavano nell'aria. La luce raggiungeva a mala pena gli angoli più remoti, in cui ratti e scarafaggi avevano costruito le proprie tane. Un magazzino, si disse ancora Abel, vedendo le casse impilate che proiettavano sul pavimento ombre lunghe come braccia mostruose, pronte a ghermire il visitatore curioso che aveva osato addentrarsi in quel luogo.
Perry voltò verso destra e si arrestò improvvisamente, soffermandosi ad osservarlo con quel suo sguardo penetrante e insondabile. «Ecco, siamo arrivati. Quello è il tuo alloggio» disse, indicando un punto davanti a sé in cui le casse lasciavano il posto ad un enorme cubo nero. Le pareti erano state dipinte in modo grossolano con della vernice nera e una grossa lettera bianca era stata tracciata in modo irregolare sulla porta: Omega.
Abel deglutì, vittima improvvisa di una percezione imprevista, quasi un'increspatura sulla superficie di un lago altrimenti immobile. Niente nella sua memoria cibernetica era in grado di descrivere e di dare un nome al senso di oppressione che provava nel petto. Era simile ad un dolore fisico, capace di strappare lacrime dai suoi occhi. Si guardò intorno, cercando di scacciare quel malessere che non capiva, senza riuscirci.
«Domani mattina presentati a rapporto alle sette. Immagino che tu sappia già dove si trova l'Ufficio della Logistica?» Il militare non si fermò ad aspettare la sua risposta, quando il giovane trovò la forza di voltarsi verso di lui era già sparito nelle ombre del corridoio che portava indietro, verso l'ascensore, la luce, l'aria. Avrebbe voluto seguirlo, ma quell'opzione non era contemplata dal suo protocollo, così si incamminò verso il cubo.
Sapeva di non essere solo in quel luogo, doveva avere dei compagni, altri nove e se anche la sua memoria non gli avesse restituito quella conoscenza, poteva sentire chiaramente il rumore del loro respiro, attraverso le pareti sottili della baracca. Si fece coraggio ed entrò, evitando di indugiare sulla lettera "omega" dipinta sulla superficie scura, come un monito.
L'odore di muffa era ancora più intenso all'interno e poteva distinguere almeno quattro tipi di spore velenose per l'uomo che si riproducevano silenziose ed indisturbate tra quelle pareti. Il rumore dei suoi passi doveva averlo tradito perché d'un tratto i respiri si fecero più lenti, come se i cyborg cercassero di nascondere la propria presenza.
«Sono ABL215005021» si annunciò, senza ottenere risposta.
Alcune porte di aprivano sul corridoio ma solo una lasciava trapelare una debole luce. Nonostante il silenzio, si disse che dovevano essere lì. Percorse il corridoio a passo svelto e si sporse nella stanza, afferrando entrambe gli stipiti della porta con le mani.
Nove volti si alzarono verso di lui ricambiando il suo sguardo.
Nove esseri, pallidi e smunti che mangiavano, curvi su una vecchia tavolata di legno. Nessuno di loro sorrise.
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