Capitolo 48

Emma

Sono praticamente fuggita dalla sua stanza. Ho recuperato la chiave e ora cerco di trovare la mia sanità mentale che pare mi abbia salutata per sempre.

Ho sicuramente qualcosa che non va, perché non posso accettere quello che mi è sembrato di capire in quelle quattro mura. Non ho neanche il coraggio di parlarne apertamente nella mia mente.

Finalmente, l'insegna della sua palestra è davanti a me. Tiro su la testa e decisa varco la porta automatica che si apre alla mia presenza.

La ragazza al bancone, che ho conosciuto alla mia prima esperienza in questo posto, mi accoglie calorosamente e allora anche io le rispondo con altrettanto entusiasmo.

«Sergio, sta per finire questo corso se vuoi puoi allenarti o aspettarlo lì.» Mi indica una stanza alle sue spalle dove intravedo una scrivania.

«Non ho l'abbigliamento per allenarmi lo aspetterò lì.» Gentile mi accompagna per poi lasciarmi non appena qualcuno la chiama dall'ingresso.

Mi guardo attorno come ho fatto nella sua stanza e noto subito le differenze. È come se questo posto appartenesse a un'altra persona. Alle pareti noto i suoi diversi attestati e poi molte foto che lo ritraggono in compagnia di tante persone diverse impegnate sempre in qualche attività sportiva: dalla corsa, alla scalata, nuoto, serf... c'è di tutto. Vedo in alcune anche Enrico, mi soffermo ad ossservare la sua espressione che è determinata oltre che entusiasta e anche lui mi appare come uno sconosciuto.

Sembrano molto più simili di quanto non mi sia accorta nella realtà ed è palese come io non li conosca affatto. Ho sottovalutato il tempo in questo mese e forse non solo quello.

Non riesco a smettere di guardare i colori, i paesaggi di quegli scatti e non riesco a capire quale sia il vero Sergio. Se il proprietario della stanza asettica dove sono appena stata o l'esuberante performer che è ritratto su quella parete.

«Lì, stavamo affrontando una gara di crossfit in Austria.» Alla sua voce salto in aria sorpresa e faccio subito un passo indietro perché mi sembra troppo vicino.

«Non ti avevo sentito.» Mi porto i capelli, che mi sono scivolati sul viso, dietro le orecchie.

«Ho visto, eri molto concentrata, ti ho guardata un po' prima di decidermi ad avvicinarmi.» Sorride, ma vedo nel suo sguardo qualcosa di serio, spero non se la sia presa perché stavo ficcanasando. Il suo dito indice preme nello spazio fra le mie sopracciglia proprio sopra il naso.

«Ehi.» Tiro via il viso.

«A cosa pensavi?» Muovo la testa per lasciar cadere il discorso, non saprei cosa rispondergli se non che mi confonde e che è un pomeriggio che mi faccio domande.

«Ecco la chiave.» Cerco in borsa e gliela porgo, a quel punto le sue dita stringono le mie e io sussulto alzando subito il viso imbarazzata a quel contatto. Scottata ritraggo la mano.

«Grazie, sei stata molto gentile. Posso invitarti a cena per ricambiare?» Lentamente si gira verso la scrivania dove fa cadere il portachiavi che gli ho appena dato. Resta di spalle in attesa della mia risposta e noto la schiena irrigidirsi come se se ne fosse già pentito.

Stringo il labbro inferiore fra i miei denti mentre guardo la sua figura per intero. Il solito abbigliamento sportivo e la solita reazione del mio corpo alla sua vista.

«Aspetto Rosi.» È tutto ciò che riesco a dire.

«Bene, invito anche lei.» Si volta all'improvviso e i suoi occhi scuri mi destabilizzano. Quella stanza sembra così piccola, sento caldo.

I suoi occhi restano in attesa mentre accarezzano il mio viso per poi scendere leggermente e tornare poi su. Incrocia le braccia sul petto in attesa della mia risposta e i bicipiti si gonfiano allettanti.

«Okay.» Alla fine lascio uscire un assenso così tenue che penso non abbia sentito e visto che resta immobile a osservarmi mi convinco che è così, ma non ho il coraggio di ripetermi.

Stringo la cinghia della borsa fra le mani e mi avvio verso la porta. Non riesco più a stare là con lui. La porta è chiusa e io non mi ero neanche accorta che fosse entrato.

«Ci vediamo alle otto, allora.» Mi giro a guardarlo mentre allungo le mani verso la maniglia. Sembra divertito ora e il suo repentino cambio di umore e paragonabile al mio durante al ciclo.

«Va bene.» Alzo la mano per salutarlo e, praticamente, scappo via.

«Ehi, tutto bene.» La povera Jessica viene investita dal mio corpo ma, per fortuna, essendo ben allenata evita che entrambe finiamo lunghe a terra.

«Oh, scusa. Ero di fretta.» Mi ricompongo immediatamente allarmata di averle potuto fare male. «Tu stai bene?» Il suo sorriso solare accompagna il suo assenso.

«Tranquilla, non è stato niente. Ti va un caffè?» Vorrei ribadire che ero di fretta ma qualcosa nei suoi occhi mi invoglia ad accettare.

«Sì, con piacere.» Batte le mani allegra e mi invita a seguirla dentro un'altra piccola stanza alle nostre spalle, è adiacente a quella in cui mi aveva fatta entrare prima e spero che Sergio non abbia voglia di un caffè.

Mi guardo attorno mentre lei mi chiede come lo preferisco. Non c'è molto in quello spazio se non una macchinetta e scaffali pieni di raccoglitori.

«Va bene amaro, grazie.» Attendiamo, in silenzio, che il rumore dell'elettrodomestico cessi e poi sempre fedele la seguo fino a fuori dove ci sediamo su di una panchina.

«Allora, tu chi saresti?» Mi brucio la punta della lingua e stringo le labbra sofferente. «Scusa, ti sei bruciata.» Sembra pentirsi della domanda che mi ha appena posto. «E che mi hai incuriosita. Sei venuta con Enrico e conosci bene anche Sergio, ma io non ti ho mai vista e conosco questi due da cinque anni.» Vengo investita dalle sue riflessioni su di me e alla fine l'unica cosa a cui penso è la più senza senso.

«Sono la proprietaria della casa in cui vivono.» Che stronzata, potevo fare di meglio o forse no. Chi sono io?

«Tu sei...» Jessica scoppia a ridere e rischia di sputarmi in faccia il caffè, che aveva appena bevuto. Forse era meglio scappare anche da lei. «Io credo che sei qualcosa di più. Ma se non vuoi dirmelo tranquilla, è che voglio bene a quei due e non vorrei vederli litigare.» I suoi occhi si incollano ai miei, facendomi vergognare. È questo che sto facendo?

«Non vorrei mai.» Mi giustifico subito, ma poi lei che ne sa di me. «E poi perché pensi possa accadere, non mi conosci neanche.» Cerco di non farmi sopraffare dalla sua personalità che noto essere forte.

«Hai ragione, scusa ancora, sono molto sensibile a ciò che provano i miei amici e ho visto l'interesse che Enrico ha per te, che tu sembra ricambiare, ma poi ti ho vista con Sergio e... e non lo so, credo che dovreste parlare.» Sono davvero confusa ora. Il suo tono gentile è accompagnato dalla mano curata che si posa sul mio braccio. «Lo so che non sono affari miei, ma io lo conosco bene Sergio e da quando si sono trasferiti è diverso.» Sbatto gli occhi confusa, perché dovrebbe essere diverso.

Ma cosa vuole dirmi questa strana ragazza se non aggiungere confusione alla mia situazione instabile. «Ma potrei aver frainteso. Non che si confidi molto, lui è sempre pronto ad ascoltare ma per quanto riguarda i fatti suoi devi arrivarci a tentativi.» Si porta il caschetto indietro mostrandomi il viso sottile.

«Io...» non so davvero cosa risponderle nè se, effettivamente, lei aspetti una risposta.

«Oh cielo, l'ho fatto di nuovo, mi sono impicciata e ora ti ho messa in difficoltà. Agisco spesso senza pensare e poi sembro strana è vero?» Io in realtà pensavo fosse matta, ma ora che sorride e arrossisce, penso solo che sia una ragazza gentile preoccupata per i suoi amici.

«No no, tranquilla. Mi hai un po' stupita e confusa ed è un po' strana questa pausa caffè.» All'improvviso inizio a ridere seguita da lei.

«Ma che succede qui?» Sergio si avvicina e guarda prima me e poi Jessica con il sopracciglio alzato. «Te ne sei uscita con una delle tue, vero?» Il capo della povera ragazza si abbassa e io smetto di ridere, poverina. «Jessi, va dentro, per favore.» Lei si alza e Sergio la stringe a se inaspettatamente. Jessica torna sorridente e io ammutolisco.

«Scusa ancora Emma. Però non scordare cosa ho cercato di dirti.» Sergio la invita nuovamente ad andare dentro e lei obbediente scompare dietro le porte scorrevoli.

Non riesco a riprendermi che un intenso profumo mi fa sparire l'ossigeno attorno. Con un sospiro Sergio si lascia andare nella panchina accanto a me, troppo accanto a me. Torno a stringere le cinghie della borsa e il bicchierino di caffè, che si rompe rischiando di macchiarmi. Cerco un cestino e ne trovo uno alla mia sinistra, allungo la mano e getto via tutto per poi pulirmi con un fazzolettino. Per tutto il tempo lui non ha parlato ha solo continuato a fissare davanti a sé.

«Allora, che ti ha detto?» Non so se sia giusto dirglielo. Mi lascio andare sullo schienale proprio come lui. Qualche ragazzo entra ed esce dalla palestra dando vita a un saluto quasi cadenzato che lui ricambia con un'alzata di mano.

«Non credo sia giusto dirtelo.» Effettivamente il parco difronte a noi è interessante, almeno ho cosa guardare anche io.

«Okay, anche se il fatto che ti ha sconvolta mi rende curioso.» Come resistere al suo tono, mi giro a guardare il suo profilo e poco dopo vengo racchiusa nel suo sguardo divertito.

«Credo di non aver neanche capito bene cosa mi abbia detto.» Sorrido ancora divertita.

«La solita.» Scuote la testa.

«Le vuoi bene, vero?» O forse è qualcosa in più? Questo pensiero fa spegnere la mia ilarità.

«Sì.» Non significa molto e il desiderio di fuggire torna a scorrere in me.

«Io devo andare.» Mi alzo di scatto guardandomi poi a torno. «A dopo.»

Il suo capo si inclina e anche non volendo torno a legare i nostri occhi. Vorrei parlare, ma non riesco, troppo concentrata sul suo sguardo, lo percepisco così intenso da sentirne la carezza sulla pelle. Apro le labbra in cerca di aria e quando è lì, che si posano i suoi occhi, il mio stomaco si stringe.

«Ci vediamo a casa.» Mormora quella frase senza staccare lo sguardo. La voce roca è intima da sembrare piena di significati e io sento le gambe tremare prima di trovare la forza e allontanarmi da lui.

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