Capitolo 39
Emma
«Bravissima. Ora prova a saltare più su.» Non riesco a credere di essere riuscita a fare già quasi tutti gli esercizi ma, soprattutto, non riesco a credere di essere sopravvissuta alle sue mani che si posano su di me. Come in questo momento, dove io ho le mani attaccate alla sbarra e penzolo provando a portare le gambe il più possibile verso l'alto e lui mi sorregge la vita con i suoi caldi palmi.
Sono stanca, sudata, elettrizzata e eccitata da tutto, dallo sport e da lui. Quella presa professionale, visto che serve solo a spiegarmi come dovrei mettermi o come dovrei muovermi, riempie il mio corpo di brividi.
Ora capisco bene la biondina di prima, che elemosinava la sua attenzione, se anche l'avesse sfiorata una sola volta sono certa che lei come me, ne vorrebbe ancora.
«Ecco, l'ultimo e hai finito.» Soddisfatto mi invita a fare l'ultimo squat e finalmente questa tortura è finita. Mi invita a battere il cinque e io lo faccio galvanizzata dall'adrenalina che tutto quello sport a messo nel mio corpo. «Sei andata molto bene.»
«Davvero? Io non riesco a credere di esserci riuscita.» Le goccioline di sudore scivolano sulla mia pelle accaldata, il mio petto si alza e abbassa velocemente per lo sforzo che da un'ora ho fatto e io tento di farmi aria con la mano destra.
«E invece hai fatto tutto da sola.» Sul suo viso leggo la soddisfazione per il suo lavoro e per me e io sono felice di non averlo deluso.
«Temevo di fare la figura della stupida.» Gli confesso.
«Quello che dico a tutti quando varcano la porta è che spesso sono le nostre inibizioni a farci arrendere. Pensiamo che le persone intorno a noi ci giudicheranno per ciò che facciamo, ma non è così. Qua siamo tutti sulla stessa barca. Tu hai i tuoi limiti Emma, io ho i miei e entrambi siamo qui per superarli e quindi siamo sulla stessa squadra. Te ne renderai conto quando farai gli esercizi in gruppo.» Conclude portandomi una ciocca bagnata dietro l'orecchio.
«In realtà l'ho percepito mentre guardavo l'allenamento prima, ma solo ora capisco veramente cosa vuoi dire.» Lui si avvicina furbo.
«Questo vuol dire che tornerai?» Inclino il viso verso di lui ed è così da mascalzone quello sguardo che non posso fare altro che sorridere e annuire.
«Okay, sì, tornerò.» Lui poggia la mano sul mio viso e mi bacia la fronte.
«Ne sono felice.» Quel gesto dolce mi fa perdere ancora un battito. Stiamo fermi a guardarci e siamo così vicini che vedo il mio riflesso nei suoi occhi scuri. La musica sembra attenuarsi, sento i nostri respiri distintamente ed eccomi a fare un altro passo verso di lui. Alzo la mano che poso sul suo petto e ora sembra sia stato lui a fare uno sforzo per come la mia mano dondola su e giù.
Il mio palmo formicola al contatto con la sua maglia calda. È un leggero strato che divide la mia pelle dalla sua ma in questo momento, mentre i nostri occhi confusi si fondono, è come se non ci fosse.
Apriamo entrambi le labbra e la sua espressione cambia. Il nero sembra un mare notturno e io voglio toccarlo, voglio perdermi fra le onde. Un altro minimo movimento e sento la punta dei miei capezzoli sfiorare il suo petto, un suono simile a un lamento deforma i suoi lineamenti. Il vampiro mi attrae con il suo incantesimo e io sono impotente verso quella forza.
Dimentica di tutto tranne che di lui. «Emma...» il mio nome è anch'esso un invito.
I suoi occhi si chiudono con sofferenza e sento le sue dita premere sulla mia mandibola e dietro l'orecchio. Il pettorale si tende sotto il mio palmo e io vorrei solo baciare quella forza che sprigiona e che mi alletta i sensi. «Emma...» è sempre più sofferto il mio nome abbandona la sua bocca. E io stringo la mano intorno al cotone della sua t-shirt e sento le mie unghia strisciare su di lui.
«Cazzo!» I suoi occhi si spalancano mostrandomi che ce l'ho fatta, lui è perduto in quel momento proprio come lo sono io. Sento il respiro affannoso sfiorarmi il viso e sono pronta. Sono pronta a prendermi il suo desiderio che sarà prorompente, ne sono certa, sarà come un leone che afferra la sua preda.
Impavida come una gazzella mi allungo verso l'alto, la sua mano scivola sulla mia spalla e poi giù per il braccio riempiendomi di brividi.
È tutto in un attimo. Una porzione di tempo così piccola che sembra assurdo possa essere così distruttiva ma è proprio in quell'attimo che Enrico fa la sua comparsa e gli occhi di Sergio tornano inespressivi.
«Allora, avete finito?» la voce allegra del ragazzo che frequento è come una gelata in estate. Inaspettata e fastidiosa.
«Sì, quasi. Deve ancora fare stretching.» Pronuncia distratto schiarendosi la voce. Si allontana da me e va a bere da una bottiglietta a terra vicino al muro che non avevo neanche notato. Enrico non si stupisce del mio aspetto fisico. Non nota niente di ciò che stava per accadere, forse perché convinto che il mio essere stravolta sia dovuta esclusivamente allo sport. «Glieli fai fare tu?» Indica l'amico che annuisce. «Ora devo andare, ho la prossima lezione da fare. Emma sei stata bravissima. Domani mi odierai ma ti aspetto ancora.» Scherzoso se ne va via e io resto impalata a guardarlo uscire dal nostro spazio.
«Pronta?» Enrico mi si avvicina.
«Ti prego, torniamo a casa?» Lo supplico aggiustandomi la coda per evitare di guardarlo in viso.
«Okay, andiamo.» Mi sorride per poi prendere il borsone, la mia felpa e infine il giaccone che mi porge per infilarlo. «Fuori fa freddo. Non vorrei ti ammalassi.» Lo lascio compiere quella gentilezza mentre dentro mi sento un mostro. Che sto combinando.
La sua mano avvolge il mio gomito invitandomi a seguirlo e io mi obbligo a rispondere alle sue domande sull'allenamento.
Man mano che ci allontaniamo da quel posto sento la calma tornare in me come anche la saggezza. Vedo ora chiaramente la stupidaggine che stavo per compiere e me ne vergogno. Dovrò chiedere scusa a Sergio, mi sono comportata come quelle donne affette dalla sindrome di Stoccalma, si invaghiscono del rapitore forse per mantenere un appiglio verso il mondo. In fondo, per me, l'ora di sport è stata come una tortura e Sergio il mio aguzzino.
Arrivati davanti casa sospiro felice. «Non hai idea di quanto sia contenta di essere qui.» Come se la mia stella fosse risuscitata trovo subito la chiave. Apro la porta, faccio un passo avanti e ho già tolto il giubotto lanciandolo in un angolo della panca che tengo all'ingresso.
«Immagino, tu non voglia uscire stasera.» Enrico parla alle mie spalle e mi volto per guardarlo come se fosse impazzito.
«Non ci penso neanche.» Sono senza pietà vista la sua espressione delusa. «Scusa.» Mi avvicino a lui dispiaciuta. «Ma sono distrutta oltre che sudata e puzzolente.» Lui sorride e con le mani mi stringe la vita sospingendomi verso di lui.
«Sicura?» il suo tono allusivo non mi fa cedere.
«Assolutamente.» Sono risoluta e lui non può può far altro che accettare.
«Va bene. Ci vediamo domani mattina allora.» Avvicina le sue labbra alle mie. Preme possessivo su di esse facendomi sorridere e poi furbo approfitta di quel gesto per insinuarsi nella mia bocca. Lascio che il suo bacio mi faccia dimenticare tutto ed è quasi così, giuro. Scompare quasi tutto, tranne una maledettissima sensazione.
«Notte.» Si allontana soddisfatto mentre io mordo le mie labbra imbarazzata.
«Notte.» Chiudo la porta con ancora addosso quel fastidioso tarlo e sono felice di essere finalmente sola.
Avanzo nel corridoio lentamente, mentre denudo il mio corpo fino alla doccia. Non appena l'acqua è abbastanza calda lascio che il liquido scorra sulla mia schiena, in un dolce massaggio.
Alzo il viso verso il getto con gli occhi chiusi e spalmo lo shampoo sui capelli. Con quelle coccole sento la tensione scomparire.
Verso il bagnoschiuma sulla mia spugna fucsia, il profumo di gelsomino mi fa sospirare e inizio a strusciare il groviglio insaponato sulla pelle.
Passo e ripasso: sulle spalle, sul petto, sul seno e poi più giù un passaggio veloce prima di giungere alle cosce e poi risalgo. La mia fantasia mi tira un brutto scherzo e all'improvviso le sembianze dell'uomo dei miei sogni hanno dei lineamenti diversi, un sorriso diverso, un'iride diversa. Il fiato si fa più pesante, le mie restrizioni cadono e sono finalmente io, semplicemente la vera me stessa, senza ciò che è giusto fare.
Risalgo ancora con la mano per poi scendere simulando le dita che veramente vorrei sul mio corpo e poi... e poi il campanello della porta suona e l'acqua non mi è mai sembrata più fredda.
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