Capitolo 25

Emma

Dovevo aspettarmelo che non appena fosse arrivato il tanto atteso venerdì, la mia sveglia sarebbe stato il trillo insistente del campanello.

«Tu non sei normale.» Apro la porta e mi giro diretta verso la cucina per una dose doppia di caffè, il minimo per poter sopportare Luca alle sei del mattino.

«Mai e poi mai avrei potuto affidare la tua preparazione a questa giornata a te.» Alzo le sopracciglia non degnandolo di una risposta. «È un giorno importante, potresti finalmente rifare sesso.»

«Io non ti permetterò di mettermi in agitazione.» Sorseggio il caffellatte e nonostante il fastidio ne preparo anche uno per lui, poi afferro i biscotti e ciondolo fino al tavolo dove mi accomodo a fare colazione.

Luca mi segue per poi sedersi accanto a me. «Non voglio agitarti ma darti la possibilità di riprovare le splendide emozioni di un orgasmo.» Quasi mi strozzo.

«Dio aiutami.» Inzuppo il biscotto guardandolo storto.

«Allora, cominciamo?» Scuoto la testa. Almeno la colazione voglio finirla in pace.

Anche se mi lamento non mi dispiace poi così tanto di avere Luca in casa questa mattina. Sono davvero agitata per questo appuntamento. Le parole di Sergio in cui mi invitava a far capire a Enrico che mi piace si uniscono al coro che sento dentro che mi invita davvero a provare. È un vero frastuono questo incitamento, è la voce dei miei amici e di mia madre moltiplicato per le persone che solitamente vanno ai concerti di Vasco. Un vero dramma.

Sono appena uscita dalla doccia quando sento Luca parlare con Rosi. Le voci arrivano dalla mia stanza. Non poteva certo mancare lei.

«Ciao Rosi.» Entro con poco entusiasmo in camera.

«Che ti prende?» Rosi si avvicina armata di fon e piastra e mi fa un gesto verso la sedia che ha messo al centro per potermi aiutare con la piega.

I suoi occhi mi scrutano ma vengo salvata da Luca che ha appena tirato fuori tutti i miei vestiti dall'armadio. «No, Luca, dai!» dovrò rimettere tutto in ordine prima di uscire non si sa mai.

«Oh cielo! Penso come voi. Non posso credere di aver presupposto che mi potesse servire la mia camera da letto stasera.» Rosi scoppia a ridere mentre Luca è soddisfatto.

«Solo per questo tuo pensiero rimetterò io tutto dentro in ordine.» Faccio un finto sorriso e ascolto i due scegliere l'abito giusto.

«Se mi fate andare con quello, avrò il mio collega attaccato addosso tutto il santo giorno.» Rabbrividisco al solo pensiero.

«Pazienza Emma, solo per oggi. Non hai tempo per tornare indietro e non puoi cambiarti in ufficio quindi devi già essere...» lo interrompo.

«Presentabile.» È sufficiente.

«Figa, ovviamente.» E, ovviamente, il discorso è chiuso.

«Allora, ieri sera che hai fatto?» Rosi parla dolcemente attirando anche l'attenzione di Luca.

«Ho visto un film.» Sono evasiva. Non che ci sia niente di male.

«Da sola?» Praticamente ora Luca è in braccio a me per la curiosità.

«Beh, in effetti, no.» Un sorrisetto di gioia accomuna i miei amici.

«È venuto ancora?» Annuisco, ma non c'è niente di male, sono loro a farlo sembrare strano.

«Sì.» Non ho bisogno di precisare chi dei due.

«Ma non ti sembra strano.» Guardo gli occhi azzurri di Luca che sono fin troppo emozionati.

«Diciamo, che se ci penso molto un po' si, ma in verità non c'è niente di male. Per lo più guardiamo la tv e poi parliamo come: amici.» Ripenso a lui e ai suoi occhi. «In realtà per lo più è lui che fa parlare me. Io non so niente su di lui.»

«Anche con me è stato così. Sergio ha un dono, riesce a metterti a tuo agio e a farti dire cose che non hai il coraggio di dire neanche a te stesso.» Capisco bene cosa intende il mio amico e gli faccio cenno con il capo che è proprio cosi. «Io... io ho chiamato Alberto. Usciremo domani sera.» Butta lì la bomba e si rintana dentro il mio armadio.

Io e Rosi siamo entrambe a bocca aperta. «Ma come?» Con il ferro caldo quasi rischia di bruciarmi.

«Ahi.» Si scusa prima di posare tutto sul ripiano. Io mi alzo e insieme ci avviciniamo a Luca piene di domande.

«Lo hai chiamato davvero?» Lui preso alla sprovvistata salta in aria con una mano sul petto, non si aspettava fossimo così vicine. Ci sorprassa per sedersi sul mio letto a guardare la punta delle sue scarpe.

«Ho parlato con Sergio della mia situazione. Non voglio entrare nei dettagli, non so neanche come sia riuscito a darmi il coraggio.» Siamo stupite anche noi. Abbiamo insistito mesi per sapere, per aiutarlo, ma lui non ci ha mai detto niente. «Comunque, mi ha convinto che era giusto chiarire e allora ho chiamato Alberto.» Mi siedo al suo fianco posando una mano sulle sue, mentre Rosi fa lo stesso dall'altro lato. «Sono terrorizzato.» Stringo forte il suo palmo sudato.

«Noi saremo qui. Lo sai.» Gli dico poggiando il capo sulla sua spalla, è chiaro il suo bisogno di sostegno.

«Facciamo il tifo per te.» Annuisce e sospira lentamente come se gli fosse difficile.

«Ma come ha fatto?» Rosi da voce ai miei pensieri.

«Non lo so.» Ci dice lui scuotendo la testa incredulo. «Ma ci riesce.» E lo capisco bene, anche io sembro un audiolibro pronto a parlare quando a farmi le domande è lui.

«I suoi occhi non sembrano mai giudicarti.» Dico io di slancio.

«Già e poi ti da l'impressione come se tutto fosse piu semplice di quello che hai creduto.» Aggiunge Luca.

«Sì.» Concordo.

«Mah.» Rosi non riesce a capire e noi alziamo le spalle complici.

Alla fine torniamo a me. Rosi finisce il suo lavoro e Luca sceglie un tubino verde bottiglia lungo fino al ginocchio ma esageratamente scollato sul mio seno. Accettano la mia proposta di sciarpa solo dopo avermi fatto giurare che in presenza di Enrico l'avrei tolta.

Il tempo in ufficio sembra non passare mai, grazie anche alle attenzioni non volute di Flavio. Non mi è saltato addosso solo perché non ne ha avuto l'occasione visto i miei appuntamenti di lavoro.

Quando giunto l'orario sono pronta ad andare il panico mi fa percorrere il tragitto fino al locale lentamente. È se tutto dovesse andare male. È se non fosse una buona idea avere una storia con l'affittuario.

Dubbi che si dissolvono quando con la mano alzata lo vedo cercare la mia attenzione. Cerco di tenere sotto controllo la tensione ma è solo quando lui inizia a parlare che mi lascio andare veramente. Mi ritrovo rilassata a parlare con lui e mi dispiaccio solo per la troppa confusione che abbiamo attorno e che non ci lascia la giusta intimità.

Ringrazio il cielo quando mi propone di tornare a casa e non perché non voglio stare con lui ma perché finalmente gli potrò parlare senza urlare come Aretha Franklin.

Entrambi siano venuti in auto purtroppo.

«Che ne dici di lasciare qui la cinquecento e domani torniamo a prenderla?» siamo fermi davanti la mia auto e Enrico cancella la distanza che ci divide avvicinandosi fin quasi a sfiorare il mio corpo. Ne sento il calore attraverso il cappotto e inclino il capo per guardarlo ben in viso e trovo i suoi intensi occhi verdi che mi scrutano.

Un sospiro precede la sua mano che si poggia sulla mia guancia. Non ho la forza di rispondergli in questo momento. Il suo viso si abbassa verso il mio e il suo fiato che sa di vino accarezza le mie labbra socchiuse. È ormai o finalmente, arrivato il momento, il suo naso sfiora il mio e io chiudo gli occhi pronta a sentirlo posarsi su di me. E spero di essere più fortunata di quella volta che mi ha solo baciata sulla guancia.

Istintivamente le mia braccia si alzano e le mani stringono la sua giacca per invitarlo a non andare via.
È tutto perfetto.
Tutto.
Tranne il vigile che si schiarisce la voce proprio a qualche metro da noi.

«Scusate signori, se l'auto è la vostra siete pregati di toglierla perché per questa notte è divieto di sosta questo tratto di strada.» Praticamente facciamo entrambi un passo indietro come quando mamma ti becca a sbaciucchiarti sotto casa a sedicianni.

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