Capitolo 23

Emma

Canticchio la sigla del mio telefilm preferito mentre finisco di prepararmi i popcorn. Aggiusto di sale i fiocchi bianchi che mi hanno sempre fatto pensare al natale e assagginadone uno mi scotto un po' la punta della lingua. Vanno bene così.

Oggi è stata una giornata strana, mi ero abituata ai passaggi di Enrico, beh soprattutto alla sua compagnia e non averlo avuto come compagno di viaggio mi è dispiaciuto.

Confesso di aver atteso una sua chiamata per tutto il giorno ma, all'uscita dall'ufficio, ho capito che era stupido aspettare che mi invitasse per il pranzo. Forse per il modo sfacciato con cui mi ha fatto capire che gli piaccio attendo piccoli gesti che in realtà sono prematuri.

Non siamo mai neanche usciti insieme, perché dovrebbe pensarmi e scrivermi soprattutto.

Afferro anche una bottiglia d'acqua e mi siedo sul mio divano tirandomi il plaid rosso sopra per stare al caldo. Mi sfilo le pantofole e alzo i piedi che poggio sulla panchina davanti a me.

Come sempre il telecomando sparisce quando è il momento di usarlo e mentre mi affanno a cercarlo il suono del mio telefono mi fa sussultare.

Rischio di far cadere la ciotola piena di popcorn per la sorpresa, perché anche se cerco di convincermi che possa, semplicemente, essere mia madre ho la sensazione che sia qualcun altro.

Tolgo la coperta e per sicurezza porto con me il contenitore che poso sul tavolo vicino a dove avevo lasciato il telefono. Lo schermo si illumina nuovamente: un altro messaggio e ora ho la conferma che è davvero lui.

Non posso che esserne contenta e mi affretto a sbloccare il telefono per vedere cosa ha da dirmi. Mentre lo faccio mi avvicino alla finestra dove rimango mentre vorrei emettere un gridolino di gioia. Gli sono mancata. Inizia così il suo messaggio per poi chiedermi come è andata la mia giornata. Scambiamo qualche parola e ogni volta che mi risponde sento l'impulso di uno stupido balletto della felicità.

Anche domani e dopodomani sarà impegnato, ha una serie di udienze e incontri che lo terranno in ufficio fino a tardi. Prendo qualche popcorn da sgranocchiare per la delusione.

Vorrei continuare a chattare con lui ma non so cosa dirgli. Non è mai facile per me intrattenere conversazioni al telefono, mi annoio subito e mi sembra che non abbia più niente da chiedergli. In fondo lo conoscono poco e abbiamo finito i convenevoli legati alle attività del giorno già da un pezzo.
L'ansia sale mentre il cursore continuare a lampeggiare. Mi mordo un labbro che sa di sale e cerco di pensare qualcosa di divertente da scrivere. Ma io non sono divertente. Sospiro quasi tentata di chiudere con il saluto della buonanotte ed ecco che lui mi stupisce invitandomi venerdì sera a un aperitivo appena usciti da lavoro.

Resto senza parole. Si! Urlo dentro di me entusiasta. Mi affretto ad accettare la sua proposta, non mi va di giocare mi fa piacere andare e non voglio nasconderlo. So che le basi della conquista mi imporrebbero di fare la sostenuta ma io non ho mai creduto a queste cose. Se qualcosa deve accadere allora accadrà.

Vedo che sta scrivendo e attendo trepidante. Usciremo insieme. Non riesco a crederci. Ho già il film mentale della serata che scorre nella mia testa. Potrei mangiare gli stuzzichini mentre gira pieno di immagini piccanti. Ho sempre avuto una fervida immaginazione soprattutto sulle storie d'amore.

La faccina sorridente precede il nome del locale che è proprio sotto il palazzo dove lavoro. È un posto molto frequentato ma sono talmente eccitata che non mi interessa se in realtà non ho mai amato fermarmi in centro a prendere un aperitivo e non mi importa neanche che sia per venerdì sera. In quel locale sembra l'ora di punta in autostrada l'ultimo giorno lavorativo della settimana.

Per evitare di annoiarmi gli auguro la buonanotte, ci sentiremo venerdi stesso per i dettagli.

Non posso credere che mi abbia chiamata ma che soprattutto mi abbia invitata. Porto indietro i capelli che mi erano scivolati sul volto felice. Stringo il telefono al petto e sospiro lasciando poi vagare lo sguardo fuori di casa.

La luna è ormai alta nel cielo e stranamente non sta ancora piovendo nonostante le previsioni abbiano detto altro.

Quando il cuore torna a battere a ritmi lenti sono pronta a riprendere la mia serata ma dal vialetto vedo spuntare la sagoma di Sergio con il solito borsone sulla spalla destra.

È illuminato dalla luce gialla del lampione all'angolo di strada. Indossa un paio di jeans che gli cadono sexy sui fianchi e un giubbotto di pelle nera che lo fa assomigliare a quei ragazzi delle gang americane. La felpa nera si confonde con la notte, così come la sua espressione coperta dal buio e dal cappuccio che ha tirato su.

Lo guardo avanzare nella notte incapace di distogliere lo sguardo. Cancello tutto, intenta ad osservare i suoi passi, le vene in risalto della mano che stringe il borsone e quando è ormai possibile vederne il viso mi rendo conto che le tende sono tirate ed è inevitabile che come io veda lui allo stesso modo lui veda me.

I suoi occhi incrociano i miei e un sorriso si allarga sulle sue labbra, impotente alzo la mano destra per salutarlo, la stessa che tiene ancora stretto il telefono.

E ormai praticamente dietro il mio vetro e allora mi fa cenno di aprire la porta. Tiro le tende come se potesse vedermi qualcun altro e corro ad aprire. Che stupida.

«Ciao.» Il suo saluto è allegro e non posso fare altro che ricambiare con la stessa leggerezza. «Che fai affacciata alla finestra?» Inclina il capo e io deglutisco a fatica.

«Parlavo a telefono e mi sono avvicinata e poi ho visto un'ombra scura e quindi...» Cerco di giustificare il modo in cui lo stavo guardando. Lui ride ancora.

«Ecco perché ti sei imbambolata.» Eh si, proprio così. «Che fai?» Posa la borsa ai suoi piedi e nel farlo si piega in avanti e il profumo del suo bagnoschiuma mi arriva dritto alle narici e allo stomaco. È davvero buono sa di muschio. Torna eretto e fissarmi.

«Stavo per guardare un film.» I suoi occhi neri si illuminano di giallo.

«Buona idea.» Porta i capelli indietro pronto a salutare, lo capisco ed ecco la mia, solita, malsana idea.

«Ti va di entrare?» L'ho detto veramente.

«È tardi...» lui temporeggia dandomi così la via d'uscita da quella situazione che potrebbe essere imbarazzante. Sarebbe la terza sera che passiamo insieme e dovrei pormi delle domande su questa cosa e invece no, la ragione è andata. Il desiderio di tornare al passato, alle serate a casa mia dopo che tutti erano andati a letto è troppo forte. Sarò vittima della malinconia da vecchiaia, si sa che vicini ai trenta si riflette su ciò che si è fatto.

«Non così tanto. Mi fai compagnia.» Il suo sopracciglio si alza indagatore e infine anche le spalle seguono lo stesso movimento per poi tornare giù.

«Sì dai, mi farebbe piacere.» Mi faccio di lato e lui afferra il borsone per poi lasciarlo cadere vicino la porta una volta entrato dentro casa. Si incammina verso il soggiorno ormai con una certa familiarità e io lo seguo lungo il corridoio fino al divano.

«Vedo che hai preparato pure i popcorn, perfetto.» Si libera della giacca e prende la ciotola prima di sedersi sul mio divano.

Mi guardo attorno incerta se sia stata la scelta giusta. Io e lui ancora una sera insieme da soli sta diventando un abitudine pericolosa.

«Non vieni?» Si gira verso di me e io gli faccio cenno di sì con la testa. «Spegni la luce?» No, anche la penombra no. Faccio come mi dice e mi lascio andare vicino a lui. Il mio divano sembra restringersi quando lui è con me.

Sergio afferra la coperta ormai quasi del tutto a terra e con un gesto fluido la stende su di entrambi.

«Cosa vediamo?» Gli dico il titolo del film e quando lui annuisce soddisfatto avvio premendo play.

Fortunatamente avevo scelto una commedia abbastanza divertente e fra battute e risate alla fine del film siamo entrambi rilassati e soddisfatti.

«Davvero una buona scelta.» Mi prende in giro per alcuni film che l'ho obbligato a vedere in passato e non mi dispiace aver sdoganato quel periodo, è bello poterne parlare insieme.

Quando esco dalla schermata per andare in quella principale lui si gira verso di me posando il braccio sulla spalliera dietro le mie spalle.

«Come è andata oggi?» Ecco un'altra cosa a cui mi sto abituando: il momento della giornata in cui lui mi fa questa domanda. È strano come i due uomini siano già parte della mia vita, non sono mai stata così espansiva.

L'atmosfera tranquilla mi invita a parlare e mi sento libera di essere sincera e mi ritrovo a raccontargli anche della chiamata infinita di mia madre il cui unico pensiero sono loro due.

«Puoi rassicurarla che stiamo bene.» Sorride ancora giocando con una mia ciocca dei miei capelli. «Ci siamo adattati subito.»

«Se non fosse così, mia madre mi tormenterebbe a vita sul fatto che non sono ospitale, oltretutto con il figlio della sua migliore amica.» Un leggero velo oscura i suoi occhi quando parlo della sua famiglia, almeno credo, perché subito scompare.

«Tua madre pensa che non sei ospitale?» Annuisco decisa.

«Dice che sono acida.» Scoppia a ridere.

«Ma non è affatto vero. Ma perché?» Come mi piacerebbe che lei potesse vedere quanto assurde sembrano le sue idee al mio nuovo vicino, anche se forse Sergio non vale molto ma anche Enrico si trova bene con me.

«Si spiega così il fatto che io sia ancora single.» Lui corruga la fronte.

«Ma come le salta in mente. Non credevo fosse così fissata su un tuo possibile matrimonio. Devo parlare con tua madre.» Gli premo la mano sulla gamba.

«Lo faresti davvero? Sarebbe bellissima la sua faccia a sentirti dire che graziosa e ospitale ragazza io sia.» Imito la voce di mia madre.

«Sulla cordialità sono d'accordo ma non ti definirei mai graziosa.» Mi abbatto alla sua precisazione.

«Peccato, avrebbe aiutato la mia causa un complimento.» Gli faccio presente.

«Posso sempre dire che sei bellissima. Mi sembra più appropriato.» Mi fermo a osservarlo mentre le guance si colorano lievemente. Sta scherzando, mi convinco mentre il suo sguardo non mi dice molto.

«Beh... sì. Potrebbe andare.» Decido di stare al gioco e mi porto indietro i capelli con fare teatrale. Quando torno a poggiarmi sulla spalliera lui riprende a giocare con i fili castani che docili si posano sulla sua mano.

Sergio mi ascolta e ride delle mie infinite disgrazie. «E quindi perché non hai un ragazzo?» Bella domanda e anche un po' imbarazzante fatta da lui.

«Non ho trovato quello giusto, si dice così se non sbaglio.» Mi sento leggere dalle sue iridi nere.

«Sì, si dice così.» Sembra riflettere su quello che sta per aggiungere, come se non sapesse se chiedermelo ma alla fine cede. «E Enrico?» Batto le palpebre imbarazzata e mi ricordo di chiudere la bocca che credo si sia spalancata. Guardo le mie mani così vicine alla sua sul divano e decido di essere sincera.

«Mi trovo bene con lui.» Forse va bene così, non devo aggiungere altro. Lui mi scruta e poi annuisce.

«Allora non ti resta che farglielo capire.» Sembra facile detto da lui. Le sue dita lasciano i miei capelli attirando la mia attenzione su di lui. «Ora devo andare.» Quasi bisbiglia e io a quel cambio di tono mi sento strana. È maledettamente intrigante il modo con cui il tono basso della sua voce riesce a destabilizzarmi.

Ancora una volta con riluttanza lo accompagno alla porta di casa mia. Un insolito desiderio di trattenerlo mi stuzzica la mente e quando le sue labbra si posano sulla mia tempia per la buonanotte è tutto così veloce che non ho il tempo di riflettere su quella strana sensazione di formicolio che sento correre da quel punto a chissà dove nel mio corpo.

Prima che possa anche solo battere le ciglia lui sta già salendo le scale. Mi sembra così diverso visto da dietro. Osservo le sue spalle farsi più piccole e realizzo dispiaciuta che, ancora una volta, non gli ho chiesto niente di lui.

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