Capitolo 22
Emma
Con il suo aiuto, in poco tempo è tutto in ordine. Mi sta accanto poggiato sul ripiano con le gambe allungate e le braccia incrociate sul petto, mostrandomi quanto sia muscoloso. Beh diciamo che sono io ad accorgermene.
«Era tutto molto buono. Confermo che sei molto brava.» I suoi occhi mi scrutano mentre accatasto piatti e pentole.
«Grazie, mi fa piacere cucinare e poi mia madre è una buona insegnante oltre ad aver insistito fino allo sfinimento che io imparassi.» Lui sorride mentre io mi dispero perché è così che mi faceva passare le domeniche mattina: a cucinare.
«Come stanno i tuoi? Non li vedo...» sembra riflettere su quanto perdendosi ad osservare il mio muro, come se si fosse accorto che è davvero tanto tempo.
«Dall'estate scorsa.» Finisco io, anticipandolo. I suoi occhi corrono ai miei.
«Già.» La sua espressione è malinconica e vorrei chiedergli il perché, ma non ne ho il coraggio. «Sono andato con Enrico a casa a mare, era da tanto che non venivo.» Già. Sono io a volerlo dire ora. «So che tu vai spesso. Come mai non sei scesa?» che gli sia dispiaciuto non avermi visto? Non credo proprio, altrimenti non sarebbe sparito in tutte queste estati. Io, invece, lo aspettavo. Nonostante la paura di rivedere la mia immagine nei suoi occhi ho sempre sperato di rivederlo in quel luogo, nel nostro posto, anche quando stavo con Fabio e mi vergognavo del mio sguardo che lo cercava tra la gente.
«Ho avuto il covid proprio ad agosto, che sfiga eh?» e mi sono persa la vostra visita. Chissà che effetto mi avrebbe fatto vederli entrambi a casa dei miei. Poso l'ultima posata e comincio a sentire la stanchezza della giornata.
Sbadiglio mentre asciugo le mani nello strofinaccio.
«Sei stanca?» Sergio si sciacqua le mani e poi mi si avvicina per asciugarle. Le sue dita mi sfiorano e io sussulto. Sono davvero stanca.
«Si.» Mi disfo la treccia e mi avvio verso la porta di casa accarezzando i miei capelli finalmente liberi. Cammino lentamente perché in fondo mi fa piacere averlo qua ma sono certa che stia per andarsene, è già rimasto allungo.
«Mi stai buttando fuori?» La sua voce profonda è scherzosa mentre sorride e mi segue e scivola su di me avvolgendomi. Si arresta vicino al tavolo e io sbatto gli occhi imbarazzata.
«Scusa, avevo capito che mi avresti aiutato e...» Lui scuote la testa e poi lentamente si avvicina al divano dove si siede comodamente. Incrocia la caviglia destra sul ginocchio sinistro e allarga il braccio sinistro sullo schienale.
Mi osserva serio e invitante e io cedo. Torno sui miei passi e mi lascio cadere sul posto accanto al suo, proprio dove lui e Luca hanno conversato tutta la sera. Non c'è niente di male. Sono abbastanza lontana, praticamente attaccata al bracciolo, la sua mano non mi sfiora neanche.
Sergio, scuotendo leggermente il capo, mi sorride. Mi volto verso di lui sedendomi sulla mia gamba destra piegata sul divano. Me ne sto rigida, indecisa se assecondare quella sensazione di pace che mi invita a rilassarmi accanto a lui.
I suoi occhi mi osservano e sembrano valutare quella distanza di sicurezza e poi decidere che forse è meglio così. Tranquillamente prende a parlare come se non notasse il mio disagio.
«Come è stata la tua giornata?» Il suo capo si gira verso di me mentre le sue dita tamburellano vicino al mio braccio piegato. Appoggio la testa sulla mano e lascio uscire tutta la tensione.
«Pesante, ho avuto diversi incontri.» Mi piace come ascolta ciò che gli dico.
«Quindi lavori in banca. Ti sei laureata in economia alla fine.» Annuisco sorpresa che lui non lo sapesse.
«Pensavo ne fossi informato.» Lui sorride.
«Diciamo che non sono un buon ascoltatore di ciò che mi dice mia madre.» Forse non gli interessava saperlo.
«Ah.» Certo un po' mi dispiace.
«Forse perché lei sapeva di non dovermi parlare di te.» Rimango stupita dalle sue parole e tiro su la testa di scatto. «Non meravigliarti, è ovvio che abbia capito tutto e poi ha semplicemente smesso di far riferimento a te anche quando il tempo passato era ormai tanto.» Quella semplice spiegazione mi spiazza. La sincerità con cui mi dice la verità me lo fa apprezzare come un tempo.
«Mi dispiace tanto sai.» Istintivamente mi avvicino e bisognosa di un contatto poso la mia mano sulla sua così vicina a me. Quell'unione è così giusta da fermare il tempo.
I suoi occhi corrono a quel gesto. «Non devi...» la sua voce è roca e bassa quasi graffiante. «Non devi dispiacerti è passato tanto tempo.» Stringo il dorso caldo in cerca di quel calore. «Forse è stato meglio così.»
Non so se lui stia guardando davvero le nostre mani unite o se sia perso nel passato. Il solito ciuffo gli accarezza il profilo spigoloso. La mascella è rigida, le labbra sono chiuse e io sento la sua forza colpirmi allo stomaco.
Sergio è affascinante come un vampiro: oscuro, malinconico, dolce, incantatore.
Mi sento attratta dal suo magnetismo e vorrei cedere a esso annullando quella distanza insopportabile. Ho il fiato corto e tremolante. Cosa mi fai?
Quando con un lieve movimento è il suo palmo ha intrappolare la mia mano sento il cuore fermare i battiti. Sulla mia pelle morbida la sensazione dei suoi calli ruvidi è eccitante, l'effetto di quel contrasto mi da i brividi.
Il suo pollice accarezza il mio dorso e le parole sono ormai superflue. Resto stupita da quell'intreccio e poi sorge in me la necessità di guardarlo negli occhi.
Il paragone con le mani morbide di Enrico è inevitabile nonostante il nero della sua iride mi catapulti in un altro tempo, in un altro luogo.
Mi sembra di scorgere le stesse emozioni intense anche in lui. La sua mascella non è più tesa e le labbra si sono schiuse come in cerca di quell'ossigeno che anche io sento mancare nell'aria intorno a noi.
È un attimo così diverso e così nostro. Vorrei fargli domande. Vorrei pormi domande per capire che sta accadendo ma non ne ho il coraggio e quando quasi annaspo in cerca di quello che vorrei sapere sento il momento scivolare via. Lo sento assottigliarsi anche se non vorrei, lo supplico con lo sguardo di non lasciarlo passare ma è ormai tardi. Lo vedo. Ha deciso che è ora di smetterla. Si ritrae da me, non fisicamente ma emotivamente si. Un velo scende fra noi ed è tutto finito.
Le sue dita mi stringono un'ultima volta prima di ritrarsi e lasciarmi sconvolta e confusa senza il suo appiglio a indicarmi la via.
Lo vedo spostare indietro il solito ciuffo e un sorriso spazzare via ogni traccia di oscurità.
«Lavorare in banca è quello che volevi fare?» Chiudo le labbra e distolgo lo sguardo da lui per riprendere il controllo di me stessa. La sua voce è leggera e spensierata come se non mi avesse mostrato nulla.
«Io, io...» lo guardo nuovamente trovando la sua espressione confortevole. È nuovamente il mio amico ora. «Non lo so.» Confesso e lui scuote il capo.
«Io ti ho sempre immaginata a fare altro, in verità.» Stringo le sopracciglia curiosa. «Eri sempre immersa nei libri. Pensavo saresti diventata una scrittrice o comunque che avresti lavorato in quell'ambito.» Mi stupisco della sua analisi. «Spero che ne sei felice.»
Porto la mano al petto. Per la prima volta mi sento tentata di riflettere davvero su ciò che faccio e ciò che vorrei. Lui non aggiunge altro e io trattengo quel pensiero dentro di me.
«Penso di sì.» So che è una bugia già mentre lo dico.
«Come stai qui a Milano, io ancora non mi sono abituato.» Dopo avermi rivolto la sua lunga occhiata indagatrice cambia ancora discorso. Riesce sempre a capire fin dove arrivare e dove lasciar stare.
«Beh neanche io dopo tutti questi anni.» L'aria si alleggerisce.
«È tutto così... pesante, non trovi?» Sorride e allora anche io.
È tutto passato. Come se non fosse accaduto.
«È tardi, sarà meglio che io vada.» Lo vedo guardare il telefono e alzarsi e vorrei fermarlo. All'improvviso sento le domande che vorrei fargli affollarmi la mente.
Vorrei chiedergli come mai abbia scelto lui giurisprudenza. Vorrei sapere se è felice. E poi vorrei domandargli di cosa hanno parlato con Luca.
Gli corro praticamente dietro visto che si è già alzato avviandosi verso la porta.
«Ci vediamo domani. Notte.» Mi arresto a un passo da lui. Alzo il viso verso il suo sempre troppo alto per me. Mi sorride e subito dopo un occhiolino precede la sua camminata verso le scale.
«Notte.» Non mi resta che dire alle sue spalle che si allontanano. E mentre chiudo la porta sono confusa. Cosa è accaduto?
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