Capitolo 2
Emma
Ancora con il dolce torpore di un bel sonno ristoratore, stringo nella mano il bordo del piumone accoccolandomi meglio sotto. Come ogni giorno ripasso mentalmente la mia agenda. Gli appuntamenti sono perfettamente organizzati per darmi la possibilità di fare una piccola pausa a metà mattina per un caffè e poi a pranzo una mezz'ora per un pasto frugale.
Tengo a mente l'appunto che ho attaccato al mio laptop in merito a una pratica che devo condividere con la mia collega Anna nel pomeriggio e poi, come ogni lunedì, devo andare al supermercato per la spesa settimanale.
In un attimo sono fuori dal mio letto e prima che mi richiuda la porta alle spalle ho già sistemato casa così da non dover perdere tempo al rientro.
Salgo in auto e in breve tempo sono in azienda mi infilo nell'ascensore di servizio per evitare incontri spiacevoli e una volta varcato l'ingresso degli uffici alzo la mano verso la mia collega Anna ricordandole con un gesto che ci vedremo dopo. Scambio qualche parola tra i corridoi impersonali del piano e in poco tempo sono seduta a lavoro.
Ecco è questo quello che volevo dire a mia madre ieri e che lei non concepisce che io amo il controllo e la routine della mia vita. Porto i capelli dietro le orecchie e saluto il primo cliente della giornata.
Un suono fastidioso e ripetitivo attira la mia attenzione e quella della signora seduta davanti a me. Mi sembra di riconoscerlo ma non è la mia suoneria. La donna comincia a infastidirsi visto che il mio cercare il motivo di quel caos si sta portando via il tempo che posso dedicarle.
«Non si ha mai il pieno potere della propria vita.» La faccia tonda mi guarda con aria di superiorità. Non ho il tempo di capire cosa lei intenda dirmi, devo trovare qualunque cosa continui a infastidirci.
«Mi scusi... io non capisco.» Sembra il rumore della mia sveglia. Il suono si interrompere per riprendere più insistente e sotto gli occhi stupiti della mia ospite volo via dalla stanza ritrovandomi indolenzita nel mio letto.
Salto in aria provocandomi una fitta di dolore alla tempia. Sono seduta a mezzo letto con la sveglia che urla il mio ritardo.
Con gli occhi mezzi chiusi mi butto sotto l'acqua ancora gelida della doccia. Non avrei dovuto finire quella serie a notte fonda, e non avrei dovuto bere due calici di vino. Ancora scossa per il sogno realistico che ho fatto sbuffo perché non posso aspettare il tempo necessario affinchè l'acqua si scaldi.
«Cielo!» libero la faccia dai miei capelli castani ormai zuppi e rivolgo gli occhi verso il soffione, la pelle si increspa e i denti stanno per sbattere quando finalmente... «Ora sì.» la temperatura dell'acqua è finalmente accettabile, anzi, meravigliosamente calda. Il mio corpo si arrossa e il profumo del mio shampoo alla papaya sprigiona il suo odore intenso tra i vetri ormai appannati. Le punte fine della mia chioma solleticano il centro della mia schiena quando li sciacquo dalla schiuma morbida.
Mi stropiccio gli occhi per poi strizzarmi dentro un accappatoio azzurro e bianco che mi fa sembrare un puffo, grazie anche alla mia misera altezza. Prendo il fon dalla cesta sotto il lavandino, lo accendo e chiudo gli occhi mentre l'aria calda fa svolazzare i miei pensieri come i fili castani che mi circondano. Chiudo gli occhi e una nuova idea fa capolino nella mia testa. Una storia. Una trama. Vorrei concentrarmi su quei pensieri ma è davvero tardi.
Con un sospiro mi arrendo all'inizio del mio lunedì. Alla vita che ho scelto. «A nessuno piace il lunedì.» Mi conforto finendo di vestirmi. Un leggero mascara nero sulle mie lunghe ciglia e sarò pronta.
«Cavolo!» chiudo l'occhio destro in fretta rammaricandomi per la lacrima che in una scia nera riga la mia guancia. Come inizio del mio temuto giorno questo risveglio è una tentazione per darsi malata e aspettare il martedì.
«Io odio questo giorno.» Batto il piede a terra e con l'aiuto di un po' di carta igienica rimedio al guaio.
In fretta indosso le derby nere perfette per il mio look giacca e jeans di oggi, prendo borsa e chiavi e mi avvio alla banca. Sono le otto, tra mezz'ora ho già un appuntamento con un cliente per un mutuo.
Sospiro per il traffico di Milano in questo autunno che colora di rosso il viale alberato che sto percorrendo e per i due posteggi che mi hanno soffiato sotto il naso costringendomi a una camminata mattutina che non tenevo a fare.
Temeraria che questo giorno possa ancora migliorare entro nella caffetteria vicino il lavoro e ordino un cappuccino volante. Riesco anche a sorridere al nuovo barista quando le sue mani attente mi posano davanti la mia ordinazione.
«Grazie!» Quasi lo abbraccerei se non fosse per... «Ahi!» Che il ragazzo non ha regolato la temperatura del latte. Porto la mano alla bocca sofferente per quel liquido caldo che mi ha scottata.
«Oh scusa... sono nuovo... io... è la mia prima esperienza» faccio un gesto sempre con la stessa mano che si abbassa mentre scuoto la testa.
«Non preoccuparti.» Cerco di non avere altre sbavature per quelle lacrime che hanno riempito i miei occhi.
Lui sembra rinfrancato nonostante l'imbarazzo, corre a servire altri poveri clienti e a me non mi resta che riprendere in mano quella tazza e soffiare bene prima di riportarla alle labbra.
«Ciao Emma, il signor Fermi ti aspetta nella sala d'attesa.» Flavio, il mio collega, si avvicina come al solito un po' troppo riducendo l'aria che posso inspirare senza sfiorarlo con il petto in quello spazio angusto che è l'ascensore di servizio. Giusto una quarta il buon Dio doveva darmi, mi sarei accontentata di una taglia meno per poter recuperare più spazio fra di noi, riesco a vedere la piega perfetta della sua camicia azzurra sotto la giacca grigia.
«Oh, grazie Flavio, vado subito allora...» Mi defilo dal suo tentativo di poggiare la mano sulla mia schiena, spalmandomi sulla mia collega Anna che mi guarda storto. Gli sorrido nella speranza che non mi chieda di spostarmi e lei fa un suono non chiaro che mi permette di starle ancora appiccicata. La voce mellifluo del mio collega mi riempe le orecchie. «Hmmm.» È il massimo che riesco a dire guardando quei numeri che si colorano di giallo via via che i piani scorrono.
«Peccato, volevo offrirti un caffè ma aspetterò che tu finisca.» La sua occhiata si perde nella poca scollatura lasciata libera dalla blusa beige che indosso. Sorrido leggermente per non incoraggiarlo e prego che l'ascensore arrivi al mio stramaledetto piano.
Ecco che, forse, un po' di luce ha deciso di rischiarare la mia giornata piuttosto grigia quando il suono che aspettavo viene seguito dall'apertura delle porte. Mi affretto a uscire sbattendo lo zaino sulla spalla di Anna che ora mi guarda con sguardo truce, non le sono mai piaciuta, mi sopportava per i miei modi pacifici. Le sorrido dispiaciuta, ma niente.
«Ci vediamo dopo allora...» Mi strizza l'occhio per poi proseguire verso la sua stanza senza aspettare la mia risposta negativa che si perde fra me e me.
Scuoto la testa, è insopportabile quell'uomo. Continuo a camminare fino a incrociare gli occhiali argentati dell'uomo di mezz'età che mi attende seduto su una delle sedie rosse della sala d'attesa dalle grandi vetrate in acciaio.
«Signor Fermi, si accomodi.» Gli faccio cenno con il braccio di accomodarsi mentre io stessa poso lo zaino di pelle nera sul ripiano dietro la mia sedia per poi accomodarmi come lui alla scrivania di legno. «Allora come sta sua figlia?»
«Bene, signorina, ha finalmente scelto la casa ed ecco perché sono qui.» Mi sorride orgoglioso di quella ragazza che si è appena laureata alla Bocconi.
«E allora cominciamo subito.» Assomiglia a mio padre e non riesco a essere indifferente come con gli altri clienti.
Dopo una serie infinita di firme il signor Fermi è finalmente fuori dal mio ufficio, riesco appena ad appoggiarmi alla spalliera della mia sedia che i capelli corvini di Flavio sbucano dalla mia porta accostata.
«Eccomi!» Tiene in mano due bicchierini di caffè e avanza nella stanza chiudendo con un tonfo l'unico contatto con il resto del mondo che può proteggermi.
In realtà il caffè mi ci voleva ma il dover sopportare il suo ennesimo approccio me lo farebbe apprezzare maggiormente se fosse corretto.
«Scusami ma ho ancora molto da sbrigare.» Mi avvicino alla scrivania stringendo il ripiano e tirando me stessa e la sedia verso il legno lucido.
«È solo una pausa...» eccolo appoggiarsi vicino alle mie dita che ancora stringono la scrivania.
Il caffè viene posato e le sue dita accarezzano il dorso della mia mano facendomi rabbrividire,a ma non di piacere. Odio l'educazione che mi è stata data, non riesco a essere scortese neanche in queste situazioni in cui il fastidio mi fa irrigidire la schiena.
«Grazie, allora.» Tiro via la mano e prendo la bevanda per poi alzarmi così da allontanarmi da lui.
«Dai Emma, accetta il mio invito.» Si scosta muovendosi verso di me. Oggi è più insistente del solito.
«Flavio ti prego, sai che non esco con i colleghi.» Non è affatto vero ma lui non deve saperlo.
«Una cena, valgo la pena di una trasgressione alle tue regole.» Prende una mia ciocca fra le sue dita abbronzate avvicinandosi ancora. Sento il metallo del mobile alle mie spalle far rabbrividire la mia schiena e capisco di essere nei guai. Istintivamente sono andata indietro ma ora mi ritrovo bloccata dal suo corpo sempre più vicino.
Flavio è un bell'uomo, nulla da dire ma si è praticamente portato a letto mezza banca e io non ci tengo a far parte della sua promiscuità.
«Non sono una santa, okay, ma il suo membro è stato anche dentro Flora la centralinista.» Non mi faccio i fatti degli altri ma è ovvio che in un ufficio si sappiano tante cose che si preferirebbe ignorare.
«No, Flora non ci credo, ha almeno vent'anni più di lui.» Annuisco a Luca che mi ha raggiunto a casa mia insieme a Rosi. Guardo i miei amici e addento l'hamburger che hanno portato. Questo non è il lunedì giusto per la dieta.
«Lo so, è assurdo e poi diciamocela tutta lui non ne avrebbe neanche bisogno sarà una malattia...» Non lo riesco proprio a capire, non dico che bisogna provare necessariamente qualcosa per andare a letto insieme ma almeno porsi un limite si.
«E poi che è successo?» La mano di Rosi corre alle mie patatine. La guardo storta e decido di continuare.
«Mi sono rovesciata il caffè sulla maglia e involontariamente gli ho dato una ginocchiata proprio là.» Mi viene da ridere ora, mentre lo racconto, ma in quel momento ero nel panico quando il suo viso è quasi diventato viola.
«Ahahah... fantastico!» Luca ride a crepapelle facendo oscillare i suoi ricci neri.
«Ma si può sapere oggi che ti è preso? Solitamente sei così precisina, quasi fai paura di quanto sei perfetta. La tua giornata sembra una delle mie.» La mia amica è davvero preoccupata i suoi occhi azzurro ghiaccio mi guardano dispiaciuti.
«È stato un susseguirsi di disastri e poi non ti ho ancora detto il perché di questa riunione d'urgenza.» Mi mancava la chiamata di mia madre appena uscita da lavoro per questa giornata infinita. Desideravo parlarle prima di ascoltare le sue parole, poi, volevo solo chiudere. Stringo le mani e li guardo seria. «Avrò bisogno di voi.» E di una buona stella.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top