Capitolo 16
Emma
Mi tiro fuori dal letto con la solita grazia del lunedì mattina. Leggiadra come un bradipo mi incammino verso il bagno trascinando i piedi.
Io odio il lunedì. Il solito dolce pensiero per questo giorno che ha come unica colpa quella di essere il primo giorno lavorativo della settimana.
«Accidenti!» ancora ghiacciata l'acqua mi accoglie per una nuova settimana che vedo abbastanza difficile. Credevo che le stelle fossero girate. Ieri sono stata così bene che ho creduto davvero che fosse ritornato il mio karma che mi aveva abbandonata. Poi ecco che ricordo un dettaglio che avrebbe dovuto farmi capire. «Ahi!» Mi buco l'occhio con il mascara. Enrico, ieri sera, è uscito con una ragazza.
Non so se credere alle solite spiegazioni. Anche Sergio ha tenuto a precisare che era un impegno già preso, come se fosse lui a doversi giustificare, ma poi di cosa.
Con la palpebra ancora abbassata, per evitare che le lacrime rovinino quel minimo di trucco che mi concedo, torno in stanza a vestirmi.
Infilo i pantaloni e una cosa mi è ovvia: se gli fossi interessata davvero, sarebbe stato tranquillo nel cancellare quell'impegno per stare con me.
Sbuffo contrariata da me stessa. Non doveva cambiare niente, invece, sono passate ventiquattro ore, ci siamo appena conosciuti e già pretendo chissà cosa. Tutta colpa di mia madre che nel suo insistere mi ha sempre spinta agli eccessi: fino a oggi non volevo nessun uomo e poi ecco arrivare l'unico che avrebbe potuto farmi cambiare idea, il mio sogno proibito.
Continuo a tormentarmi anche mentre mescolo il mio latte e caffè. Cosa cerco in lui? Cosa cerco nell'amore? Sono davvero pronta a stare con qualcuno?
Mi sento così insicura di me stessa. Da una settimana a questa parte credo di non conoscermi più. Non so bene come è accaduto ma mi sento persa, come se tutto quello che avevo costruito fosse la vita di qualcun'altra.
Finisco di fare colazione e prendo la borsa pronta ad affrontare il gelo mattutino. Apro la porta cercando le chiavi in borsa, non vorrei restare fuori e ovviamente non sono nella solita tasca.
«Dove vi siete cacciate!» vorrei infilare la testa dentro come ho visto fare a Mary Poppins tante volte. Poi le mie dita toccano qualcosa di freddo e trionfante le tiro fuori. «Trovate!» Forse con troppa enfasi esulto, ma ci sono quei giorni in cui anche le piccole cose sono delle vittorie.
Mi giro distrattamente verso il vialetto e la mia spalla colpisce qualcosa di duro e caldo.
«Scusa!» Enrico mi afferra per la vita così da impedirmi un ulteriore schianto, questa volta con il pavimento. Le sue mani calde mi fanno rabbrividire. Strano che le senta con indosso diversi strati di lana.
«Oh!» Alzo il viso verso di lui e riesco a vedere il sole anche con il cielo grigio pronto a piovere. È così, che mi sono sempre immaginata debba essere un avvocato di successo. Me lo trovo davanti con un completo grigio scuro e uno smanicato sopra dello stesso colore per coprirlo dal freddo. La camicia celeste e la cravatta blu completano quello splendido look da uomo che non deve chiedere mai.
Cerco di riprendermi dallo shock e di evitare lo sguardo da pesce lesso. Con calma mi allontano da lui avvicinandomi al legno freddo della mia porta.
«Tutto bene?» Si affretta a dire e io che dovrei rispondere? Forse: mai stata meglio.
«Oh, sì si. Tranquillo.» Aggiusto la borsa e poi il cappotto per poi tornare a guardare i suoi occhi, non appena capisco che i miei ormoni lo possono sopportare. «Stavi andando a lavoro?» Indico la strada nella speranza che smetta di guardarmi. Mi sento prendere fuoco.
«Sì.» Alza lo zaino con dentro immagino il pc e poi mi invita a camminare. «In che zona è il tuo ufficio?»
Gli cammino leggermente avanti mentre rispondo alla sua domanda.
«Non ci credo. Lavoriamo praticamente in due palazzi adiacenti.» Questa si che è fortuna. Grazie lunedì. «Se vuoi possiamo andare insieme, io tornerò a casa per le sei oggi.»
Guardo i miei stivali neri percorrere il vialetto fino al marciapiede bianco. Lo stomaco in subbuglio e la testa fra le nuvole. Mi sento scombussolata come un cocktail shekerato.
«Sì, mi farebbe molto piacere.» Alzo il viso verso il suo e gli sorrido sincera. Davvero piacere.
«Bene, andiamo allora. Ho posteggiato laggiù.» Allarga il braccio con lo zaino per indicare la BMW blu scura posteggiata poco distante e subito dopo mi fa strada. I nostri passi sono vicini, alzo ogni tanto il viso mentre lo ascolto parlare. Il suo profumo è più intenso di ieri e mi guida in quel breve percorso. Arrivati lo vedo aprirmi lo sportello e ne resto così sorpresa da fermarmi in mezzo alla strada.
«Ora dovresti salire.» Mi fa l'occhiolino e io a passo veloce cerco di camuffare il mio piacere. Potrei abituarmi alle sue attenzioni.
Mi ritrovo seduta accanto a lui in quel piccolo spazio e per farmi largo mi sporgo indietro per posare la borsa sul sedile di dietro però, così facendo, quando torno a sedermi comoda mi trovo le sue spalle vicino al mio petto.
Il fuoco mi investe. «Oh... io.. scusa.» Balbetto stringendo le mani sulle mie gambe tremolanti.
«Credo che per oggi ci siamo chiesti scusa abbastanza volte.» Il suo tono è basso ed è reso più intimo dalla vicinanza.
«Okay.» Incollata alle sue iridi verdi pronuncio lentamente quell'assenso. Le sue labbra si allargano in un sorriso.
«Bene, allora andiamo.» È molto sicuro di sé, e lo trasmette anche a me. Le sue dita girano l'accensione e io ringrazio il cielo che abbia un motivo di distrazione. Quando i suoi occhi mi accarezzano perdo il controllo sul mio cervello.
«Ma, Sergio, non viene con te?» Cerco di iniziare una conversazione neutra. Non voglio fare la figura della stupida ma quando sono sola con lui sembra inevitabile.
«In realtà no. Lui... lui lavora in tutt'altra zona.» Colgo l'incertezza nella sua voce e non ne capisco il motivo. Sono stata così concentrata su di lui che non ho praticamente chiesto niente al mio ex. Ero così emozionata all'idea di rivederlo e invece eccomi a sbavare dietro al suo coinquilino.
«Ah, va bene.» E ora? Non so cosa dire. Guardo le prime goccioline sul parabrezza venire spazzate via dal tergicristallo, potrei parlare del tempo.
«Ieri sono stato in un ristorante molto carino. Vorrei che ci andassimo insieme, secondo me ti piacerebbe.» L'auto svolta a destra e io dondolo sul sedile. Mi ha davvero proposto di andare nello stesso posto dove ha avuto un appuntamento proprio ieri sera. «Si mangia bene ed è poco affollato.» I suoi occhi lasciano la strada e sbirciano dalla mia parte incontrando i miei. «Solo se vuoi.»
«Come è andata la tua serata?» stranamente riesco a chiedergli quello che da quando mi sono svegliata mi gira in testa e che da quando l'ho rivisto stamattina mi sembra stonare nelle sue parole. La sento ancora la sua attrazione verso di me e allora perché uscire con un'altra.
«Mi spiace.» Ecco ancora il suo sguardo cercarmi e poi correre via oltre il parabrezza. «Io avevo già quell'appuntamento e non mi sentivo di dare buca.» Sospira a disagio.
«Vedi che non mi devi nessuna spiegazione. E che mi sembra strano che tu mi possa proporre di uscire insieme per andare nello stesso posto dove hai cenato con un'altra, solo ieri sera.» Penso sia giusto che lui sappia quello che penso. Sono stufa di uomini che si lamentano perché non riescono a capirmi.
«Beh, hai ragione, ma la verità è che non facevo altro che pensare a te.» Stringo le labbra e mi volto verso il finestrino, non posso nascondere a me stessa che quelle parole mi fanno piacere ma è davvero così facile per me accettarle.
Sento i suoi occhi bruciarmi la guancia ma non ho il coraggio di dire niente. «Emma...» il mio nome ha un altro suono sulle sue labbra. Mi sento confusa e fortunatamente vengo salvata dal suo telefono.
È una chiamata di lavoro che dura fino al posteggio privato del suo studio. Scendo dall'auto prima che lui possa fare il giro. Apro lo sportello di dietro per recuperare la mia borsa e quando mi volto me lo ritrovo davanti. Mi osserva in silenzio per un po' e poi con gesto lento porta una ciocca dei miei capelli scuri dietro il mio orecchio.
«Allora, ci ritroviamo qua?» chiedo per alleggerire la tensione e per giustificare il mio gesto al suo tocco. Mi sono tirata indietro e ovviamente questo non gli è passato inosservato.
«Posso chiederti il tuo numero, così ti mando un messaggio quando ho finito?» Porta la mano alla tasca interna della giacca da dove tira fuori il suo Iphone. La stoffa si tende mostrandomi i suoi muscoli in tensione ed è un attimo per la mia mente malata formulare immagini di pelle calda e fremente. Cielo. Gli detto i numeri lentamente, per non sbagliare, visto che la mia testa è andata in tilt.
Il suo viso torna sereno mentre attendo lo squillo sul mio telefono, credo abbia capito tutto.
«Mi è piaciuto venire a lavoro con te.» A chi lo dici.
«Anche per me è stato piacevole.» Nonostante il turbamento costante mi piace la sua compagnia.
«A dopo.» Mi strizza l'occhio prima che ognuno si avvii per la propria strada.
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