4. Quando si è in ballo bisogna ballare


Mina non mi rivolse parola per tutto il resto della giornata. Avevo esagerato, di nuovo, senza volerlo. Non avevo mantenuto la mia promessa.

Scossi il capo chiudendo gli occhi, non ero ancora pronto a revocare il passato.
In qualche modo avrei dovuto farmi perdonare.
Avrei dovuto spiegare alla mia musa dai capelli rosa che fu soltanto una svista. Niente a che vedere con quello che successe qualche anno prima. Mi ero soltanto lasciato prendere un po' la mano dall'allenamento.

È così, Mina era la mia bellissima musa. La mia ispirazione. L'amica migliore che il pianeta avesse potuto mai regalarmi. Io avevo scelto lei e lei aveva scelto me; tra tutte le persone al mondo, aveva scelto soltanto me. Il nostro era un legame speciale, maturato col tempo, gli anni e numerosi sacrifici. Eh già, l'amicizia costava, e costa tutt'ora, del sacrificio. Eppure dentro quella piscina io non pensai, nemmeno per un secondo, a quanto avrei potuto deluderla.

Mi divertivo ad immaginare la mia vita come ad un gigantesco pezzo di stoffa. Anni prima si ruppe, rimanendo con un enorme buco al centro. Comunque non la buttai, presi ago e filo e mi misi a cucire, senza neanche sapere come fare.
La prima toppa fu quella rosa di Ashido. Poi arrivarono Kaminari e Sero, e ci appiccicarono maldestramente sopra spille e scotch. Insomma, il risultato fu un disastro, eppure a me piaceva così.
La mia vita era il gigantesco, buffo risultato di tutte le persone che mi volevano bene. Ne andavo orgoglioso.
Nonostante ciò, se messo a nudo davanti allo specchio, davanti alla realtà dei fatti, spesso mi ricordavo che io, Kirishima Eijiro, nient'altro ero che un logoro pezzo di stoffa da buttar via.

Sospirai. Ormai s'era fatta sera ed era quasi ora di cena. Non avevo per niente fame, né voglia di allenarmi con Bakugo poco dopo. Il mio corpo era ancora indolenzito a causa delle ustioni, e avevo soltanto voglia di rimanere a letto. Decisi, per una volta, che per quella sera sarebbe potuta anche andare così. Chiusi gli occhi e, dopo aver dato un ultimo sguardo al poster di Crimson Riot, scivolai nel sonno.

La mia tranquillità durò soltanto venti minuti.
Mi svegliarono delle voci, provenienti dal corridoio.
"Kirishima, se non rispondi immediatamente mi troverò costretto a contattare il professor Aizawa!"
Era Iida. Chissà da quanto tempo mi stavano chiamando.
"Me ne frego di quella mummia, spostatevi tutti, maledette comparse!"
Ma che..?
Non feci nemmeno in tempo ad alzarmi che la mia porta precipitò con un tonfo sordo rovinosamente al suolo. Dietro questa tutta la sezione A, ed in prima linea, ovviamente, Bakugo, con la mano ancora fumante. Quel ragazzo era veramente fuori controllo.
Un forte odore di nitroglicerina entrò prepotentemente nelle mie narici.
Sapeva di casa.

Guardai i compagni sbigottito. Avevo addosso gli occhi di tutti.
"Ve lo avevo detto che stava soltanto dormendo." disse Jirou con un sopracciglio alzato, poggiandosi le mani sui fianchi.
Ops.
Mi passai una mano dietro alla nuca, imbarazzato. Avrei dovuto avvisare.
"Scusate, ragazzi. Mi sono addormentato!" provai a giustificare.
"Al diavolo, Capelli di Merda!" urlò Katsuki in risposta, calciando con violenza la mia porta inerme e voltandosi per andarsene. I suoi occhi a mezzaluna trasudavano ira pura. Avrei giurato di aver visto per un attimo del fumo uscire anche da lì.
"Non così in fretta, Bakugo."
La voce di Aizawa.
O p s.
"Professore cosa ci fa lei qui?" Domandò Asui inclinando un po' il capo.
"Ho sentito un tonfo e ho preferito venire a controllare."
Sembrava alquanto seccato.
"È colpa mia, professore. Mi sono addormentato e non mi sono presentato a cena, i compagni si stavano soltanto preocc-" mi interruppe subito, completamente disinteressato alle mie spiegazioni.
"Bisognerà ordinare una nuova porta domani. Per stanotte dormirai in camera di Bakugo."
"Che cosa?!" Urlò quest'ultimo furioso, sobbalzando e allungando la mano destra in avanti. Era carico come una molla, pronto ad esplodere.
Se continua di questo passo finirà di nuovo con la museruola addosso.
"Quando si è in ballo bisogna ballare, Bakugo. Ti ci sei ficcato tu in questa situazione, adesso prova almeno a metterci una pezza senza causare altri danni. E, la prossima volta, dai retta al tuo rappresentante anziché fare sempre di testa tua. Ti comporti come un mulo. Sordo. E anche cieco." aggiunse Eraser-Vistavospiando-Head. Poi, come se nulla fosse successo, ci diede le spalle e sbadigliando si allontanò.
Aveva ovviamente assistito a tutta la scena.

Bakugo partì al suo inseguimento, come un cavallo impazzito.
"IO NON BALLO UN CAZZO DI NIENTE, FOTTUTA MUMMIA DI MERDA, HAI CAPITO?!"
Le sue urla avrebbero risvegliato anche i morti del cimitero.
Scattai fuori dal letto. Era un mestiere ingrato quello di disinnescare, ogni dannatissima volta, la bomba. Ma quanto mi divertivo a farlo.
Attivai il quirk e lo bloccai da dietro, le braccia salde contro il suo petto. "Bro, non urlare in questo modo." Ormai glielo ripetevo almeno sei volte al giorno. "Non disturberò nemmeno un po', promesso." aggiunsi sorridendo.
Bakugo girò appena il volto, fissandomi con la coda dell'occhio. Era su tutte le furie. Io, come al solito del resto, non riuscii a trattenermi e scoppiai in una fragorosa risata: era esilarante il modo in cui i guai avessero costantemente i nostri due nomi in bocca.
Si rilassò non appena sentì le mie risa, inspirando profondamente, con la schiena premuta contro il mio petto. Solo allora lo liberai dalla presa. Il suo corpo era così.. caldo.
"Ha ragione Aizawa, sei veramente un mulo!" esclamai, la voce rotta dalle risate.
"E tu sei un rincoglionito con dei capelli di merda!" sibilò sistemandosi la maglietta e cambiando direzione, tornando verso la sua cena, ormai fredda, lasciata a metà nel piatto.

Tornarono tutti a mangiare, ed io li seguii, lasciando al suolo la mia povera porta, che Bakugo aveva evidentemente reputato non più degna d'esistere.
Fu un pasto spensierato e finalmente riuscii ad accantonare per un po' tutti i brutti pensieri.
L'allenamento suicida di quella mattina aveva cambiato tutte le carte in tavola: si era dopo tanto tempo accesa una fiaccola di speranza. Eravamo noi il fuoco, e bruciavamo più intensamente del sole. Forti, più forti che mai, avremmo protetto ogni cosa cara. Era finito il tempo delle incertezze.

Mina mi rivolse un sorriso, dall'altro capo del tavolo. Un sorriso timido, appena accennato, carico d'apprensione. La malinconia non stava per niente bene disegnata sul suo visino. Nessuna emozione negativa, a dire la verità, sarebbe stata bene addosso a quel concentrato di buoni propositi misti a malizia e fragole. Le feci una linguaccia in risposta. La sua espressione rimase la stessa, le sopracciglia, talmente fini da sembrare disegnate con la matita, erano sempre un po' incurvate verso il basso. Così mi avvicinai a lei per porgerle la fetta di torta al cioccolato che avevo conservato nel piatto, sapevo che ne andava ghiotta. Mi affidai per la seconda volta alle miracolose doti del cioccolato.
"Sto bene, Mina." sussurrai, sedendomi di fronte a lei e guardandola fiero mentre allungava timidamente la mano sulla mia porzione di dolce.
Storse un po' il naso. Vidi una piccola scintilla accendersi dentro alle sue pozze nere come il carbone.
"Niente più cazzate, Eiji. Hai capito?"
Fece in modo di non farsi sentire dagli altri. Mi stava fissando dritto negli occhi. Le sue parole erano forti, nessuna esitazione nella sua voce, nessuna eccezione consentita, nessun'altra via al di fuori di quella da lei disegnata. Quello lanciatomi era un avvertimento, colmo d'affetto, ma pur sempre un avvertimento.
Niente più cazzate.
Annuii con fermezza.
Mi sorrise, questa volta con decisione, e addentò finalmente la fetta di torta. "Non è possibile tenerti i musi per troppo tempo, sembri un cucciolo bastonato!"
Inspirai profondamente, per poi mostrarle i denti appuntiti in un sincero e rilassato sorriso: mi aveva già perdonato.
Mina era fatta così, sapeva mettere un punto alle cose e andare a capo velocemente. Invidiavo da pazzi quella sua dote.

Una volta finita la cena, mi trattenni a dare una mano nel ripulire, nonostante quel giorno non fosse il mio turno per le pulizie.
"Grazie, bro. Con il tuo aiuto faremo sicuramente prima!" esclamò Kaminari, battendomi improvvisamente una mano sulla spalla e facendomi sobbalzare dallo spavento. Sorrisi in risposta.
Lo facevo volentieri. Mi è sempre piaciuto rendermi utile.
Kaminari spazzava per terra fischiettando, era così sereno. Lui era l'anima della festa, sempre e comunque, senza se e senza ma e, talvolta, anche senza festa. La sua presenza portava allegria, ed io cercavo di stare al suo fianco il più tempo possibile. Quello che più mi piaceva di lui, quello che lo rendeva così speciale, era la sua nobile sensibilità. Nessuno lo avrebbe mai detto, ma quel ragazzo aveva l'anima limpida come acqua di fonte purissima. Tutte doti seppellite dall'infinita voglia che aveva di fare baccano. E quanto cazzo ne facevamo, insieme.
Io, Denki e Sero, il trio delle meraviglie. O, come preferiva chiamarci Mina: Sasso, Carta e Forbice, dove, per ovvie ragioni, io ero Sasso, Sero Carta e Denki, per mera esclusione, Forbice.

Rientrai in camera, fuori si era già fatto buio da un bel pezzo. Le stelle brillavano in cielo lontane, talmente tanto che, soltanto a guardarle, riuscivano a farmi sentire piccolo-piccolo, più piccolo che mai.
Presi un borsone da sotto al letto e ci ficcai disordinatamente dentro tutto il necessario per passare la nottata da Bakugo. Sospirai al pensiero. Avrei cercato di dargli meno fastidio possibile. Se fossi riuscito a concludere quella folle giornata senza morire, in qualche modo, bruciato, avrei dovuto gridare al miracolo.
Chiusi la borsa rossa e andai a a bussare alla sua porta, buttando un occhio alla mia, poverina, svenuta male per terra.
Ricorda: meno fastidio possibile.
Dopo qualche secondo aprì, e senza dire una parola si scostò per farmi entrare, con una smorfia di rabbia mista a fastidio e disgusto appiccicata alla faccia.
Varcai la soglia di quella stanza. Era la prima volta che entravo lì dentro.
Cercai, per non infastidire più del dovuto, di non guardarmi troppo intorno, ma trattenermi fu veramente difficile.
Le mensole erano cosparse di libri e fumetti, ordinati maniacalmente, dal più grande al più piccolo. Le lenzuola, di colore verde opaco fasciavano con precisione il letto, sopra al quale erano adagiati due cuscini dello stesso identico colore. Il tappeto soffice mi fece tornare in mente la moquette magenta di casa mia.
Sorrisi.
"Che bella camera, Bakubro!"
Lui bofonchiò qualcosa in risposta, per poi allontanarsi a cercare chissà che dentro all'armadio.
Il mio sguardo cadde casualmente sul comodino di fianco al letto. Un tuffo al cuore: la mia sveglia era ancora lì, sorprendentemente intatta.

Distolsi lo sguardo dalla sveglia solo quando Bakugo lanciò qualcosa ai miei piedi, distraendomi. era un futon. Ringraziai silenziosamente i miei antenati, se non altro non mi avrebbe fatto dormire per terra.
"Mi dispiace per questo inconveniente, davvero." dissi, cercando di giustificare la mia imbarazzante presenza.
Lui alzò le spalle e si mise a sedere sul letto.
Lo guardai. "Niente allenamento stasera?"
Sembrò pensarci su.
"Hai intenzione di strafare ancora, Capelli di Merda?"
Io risi. "No, per oggi mi tiro fuori dai giochi, sono distrutto."
"E allora cosa cazzo lo hai chiesto a fare?", stava già iniziando a scaldarsi.
Da quando il suo allenamento serale, nel quale mi intromettevo con strafottenza ogni sera, era diventato il nostro allenamento serale?
Lui sarebbe potuto andare comunque, anche senza di me. Eppure non lo fece.
Sarà stanco anche lui.

"Vado a lavarmi" dichiarò a un certo punto, prendendo la sua roba ed avviandosi verso il bagno comune, uscendo a passo spedito dalla stanza.
L'idea di rimanere da solo a curiosare là dentro mi fece sentire a disagio, perciò mi alzai, intenzionato a seguirlo a ruota.
Prima di uscire mi accorsi però che l'anta dell'armadio dentro al quale giaceva abitualmente il futon arrotolato era rimasta aperta. Mi avvicinai per chiuderla, ma un piccolo, misero pezzettino di carta appoggiato al suo interno catturò la mia attenzione.
Dovresti farti gli affari tuoi.
Lo afferrai. Era uno stralcio di articolo risalente al festival sportivo del primo anno. Al centro una foto: la nostra.
Sorrisi, un po' incredulo. Ricordavo molto bene quel momento. Al termine delle premiazioni ero riuscito a tranquillizzare -per quanto si possa tranquillizzare una belva simile- Bakugo, convincendolo a concedere qualche scatto ai giornalisti. Accettò controvoglia, a patto che fossi rimasto anche io a "umiliarmi di fronte alla fottuta nazione, dato che avevo le palle pelose e virili". Una volta davanti alle telecamere gli suggerii di mettersi in posa mordendo la sua medaglia d'oro. Il consiglio non aveva nulla a che vedere con la fotografia: cercavo solo una valida soluzione che gli tenesse per un po' la bocca occupata, in modo da impedirgli di sbraitare per qualche misero minuto. Lui, d'altro canto, l'aveva capito benissimo. Infatti si mise in bocca, come a sottolineare che lo stesse facendo solo per farmi contento, il pezzo di stoffa anziché la placca d'oro.
Non riuscivo a credere che avesse conservato la foto per tutto quel tempo.
Sentii qualcosa dentro al petto riscaldarsi, o forse sciogliersi. Sorrisi involontariamente, passando gli occhi dall'articolo alla mano che lo reggeva: tremava lievemente.
Riposi il pezzo di carta al suo posto, chiudendo l'anta dell'armadio e raggiungendo il biondo nei bagni, che era dentro alla doccia già da diversi minuti. Non gli avrei mai rivelato la mia scoperta di pochi minuti prima. Era il suo piccolo angolino segreto, ed io cercai, per rispetto nei suoi confronti, di dimenticarmene. Non ci riuscii mai per davvero. Oramai avevo iniziato a capire che, sotto a quel cumulo fangoso di rabbia e sfacciataggine, c'era un bambino insicuro e impacciato, proprio come me.
Proprio come me.

Srotolai il futon e mi ci infilai dentro. Profumava di lavanda e ammorbidente. Anche Bakugo si mise a letto, chiudendo prima a chiave la porta e spegnendo tutte le luci.
Calò il silenzio, ed il buio pesto con lui.
Il futon era morbido ed il mio corpo stanco, avevo davvero bisogno di dormire. Le ustioni erano quasi guarite del tutto: l'unguento di Rrcovery Girl aveva compiuto miracoli nell'arco di poche ore.
C'era talmente tanto silenzio che, per un momento, giurai di aver sentito Iida russare nella camera di fronte.
Come diavolo faceva ad addormentarsi in quel modo? Senza un briciolo di luce ed il minimo rumore, in mezzo al nulla più totale, 20 metri sottoterra avrei detto.
"Ehi, bro?" sussurrai, richiamando la sua attenzione. Avevo voglia di parlare con lui, di conoscere l'altro lato, quello che fa silenzio, quello che nasconde le foto a cui è affezionato dentro all'armadio, sotto i vestiti.
Non. Devi. Disturbare.
Mi pentii subito di aver aperto bocca.
"Hm?" grugnì lui.
"Ehm..Buonanotte." tagliai corto. Era già tanto che avesse accettato di buon grado la mia presenza.
Nessuna risposta.
Il silenzio si fece sempre più fitto, secondo dopo secondo. Non riuscivo più a sopportarlo. Riesumava in me ricordi dolorosi, mi riportava direttamente al poster di Crimson Riot attaccato al retro della porta della mia vecchia camera ed alle enormi vetrate in soggiorno.
Cercai di non pensarci.
L'acero rosso in giardino.
Non devi pensarci.
Il gracidio delle rane.
Smettila.
Mi girai dall'altro lato, dando le spalle a Bakugo. Inspirai profondamente e mi concentrai sul profumo della lavanda. Mi piaceva davvero tanto.

"Kirishima." Katsuki ruppe il silenzio. Gliene fui estremamente grato.
"Dimmi."
Ancora silenzio.
"Perché lo hai fatto?" domandò secco dopo un po'.
Giurai di aver perso un battito.
"Di che cosa stai parlando, bro?"
Sa benissimo di cosa sta parlando.
Un forte odore dolciastro iniziò a coprire quello della lavanda: nitroglicerina.
"Sai a cosa mi riferisco."
Bakugo rimase stranamente calmo. Niente museruola per lui, quel giorno.
"Non ho provato dolore, te l'ho già detto. Altrimenti sarei uscito prima. Ho scelto quella prova perché mi sembrava la più adatta, tutto qui."
Balle. Sono tutte balle.
"Piantala di raccontarmi cazzate."
Non se la bevve neanche un po'. Nemmeno per un momento.
Inspirai. Ancora nitroglicerina, sempre di più, sempre più densa nell'aria.
"Volevo solo sentirmi vivo." sussurrai. Forse non era pronto a quella confessione.
Silenzio.
"Ammazzandoti, idiota?"
Touché.
Non risposi.
"Bel ragionamento del cazzo." continuò lui.
Perché glielo hai detto?
Iniziai a torturarmi le dita.
Chiusi gli occhi e per un attimo decisi di lasciarmi andare, provando a spiegare, provando a spiegare me stesso a qualcuno, per una volta.

"A volte ho paura di essere soltanto un corridoio vuoto." sussurrai. La voce flebile, pronta al giudizio, pronta all'incomprensione. Strinsi i pugni.
"Allora appendi dei quadri ed apri a tutti il tuo fottuto museo." rispose.
Sentii le guance scaldarsi. Nessuna incomprensione, nessun giudizio: aveva capito benissimo. Ero bravo a comprendere i sentimenti delle persone, eppure Katsuki riusciva sempre a sorprendermi. E, per quella sera, non aveva ancora finito.
Pensai a quella risposta, lui aveva fatto esattamente così. Il suo museo era uno spettacolo, lo sapevano tutti.
Iniziai a mordermi le unghie, nervosamente. Quel territorio, me stesso, era nuovo persino a me.

"Non è la prima volta che succede, vero, Capelli di Merda?" Incalzò lui.
Bingo, Sherlock.
Come faceva a saperlo?
Non c'era più motivo di fingere. Quel ragazzo sarebbe riuscito a fiutare ogni bugia da chilometri di distanza.
"Vero." risposi. La voce pregna di umiliazione, risentimento, odio nei confronti di quello che combinai anni prima.
Ne avevo parlato soltanto con Mina prima di quel momento.
Non avevo voglia di ripensarci, perciò rimasi in silenzio. Non avevo nemmeno intenzione di raccontare, e lui l'aveva capito. Infatti tergiversò.
"La prossima volta, prima di-"
"Non ci sarà una prossima volta, Katsuki." Lo interruppi. Le mie parole erano ferme, decise, finalmente l'ombra della poca virilità che mi era rimasta in tasca.
Sbuffò irritato, forse per essere stato chiamato per nome o forse per l'interruzione.
Testardo, insistette. "La prossima volta, prima di fare cazzate, prova a parlarne con me."
Cosa?
Persi il secondo battito della serata.
Una mano. Con quelle parole mi stava tendendo una mano.
L'atmosfera era già carica di tensione così com'era. Non ci sarebbe stato bisogno di appesantirla ulteriormente. Bakugo si stava sforzando ad abbattere i suoi infiniti e spessissimi muri in cemento armato, ed io i miei. Non era facile per nessuno dei due.
Sorrisi e ripresi in mano le redini del discorso. Feci buon uso degli insegnamenti di Kaminari: "Quando il gioco si fa duro, bro, gli stupidi entrano in campo."

"Sei davvero capace di parlare senza ragliare?" risposi a quel punto, riferendomi alle parole di Aizawa prima di cena.
"Certo, razza di Petardo di Merda! E sono anche davvero capace di farti saltare in aria quella faccia da schiaffi prima che lo faccia tu stesso!" urlò in risposta. Si era incendiato subito.
Dannatamente virile.
"Bakubro, non urlare, dannazione! Sveglierai tutti!"
Niente di nuovo sul fronte.
"CHE SENTANO PURE! NON È GIUSTO CHE LORO DORMANO MENTRE IO SONO COSTRETTO AD AVERTI QUI A TERMI SVEGL-" scattai fuori dal futon e gli misi una mano davanti alla bocca, senza fare in tempo ad attivare il mio quirk. Quel folle avrebbe davvero svegliato tutti, e non avevamo bisogno di un'altra ramanzina da parte di Aizawa.
Eravamo estremamente vicini. Vicinissimi. Riuscivo a percepire il calore emanato dalla sua pelle.
Ero pronto al morso. Chiusi gli occhi, accettando sommessamente il mio destino.
La sua mano. Si poggiò sula mia. Leggera, morbida, virile. Strinse forte la presa.
Persi il terzo battito di quella sera.
Mancanza di ossigeno al fronte. Inviare soccorsi.
Poi, fortunatamente, arrivò il morso. Non riuscii a ritirare la mano, era incastrata nella sua presa da feroce predatore assassino. Gemetti dal dolore e risi di gusto.
Falso allarme! Niente di nuovo sul fronte.

Con la mano libera gli lasciai una scappellotto sulla nuca, divincolandomi finalmente e tornando nel futon. Mi massaggiai il punto in cui quella belva aveva ficcato i suoi denti.
L'odore di lavanda tornò a riempirmi le narici.
Preferivo la nitroglicerina.
Mi rilassai. Bakugo aveva ragione. Dovevo aprire al mondo il mio fottuto museo.
Quella notte fu l'inizio di tutto.

"Grazie, Katsuki." sussurrai, prima di abbandonarmi al sonno.
"Fottiti, Capelli di Merda."

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