24. A domani!
Un passatempo, Eijiro.
Quella frase mi risuonò in testa per tutta la notte.
Quasi mi venne da ridere lì sul momento, io stesso mi stupii della mia reazione.
Io sapevo, sapevo benissimo, che avrebbe risposto in maniera simile. Lo seppi sin dal primo istante, quando decisi di sancire l'inizio di quel bacio.
Oramai avevo capito tutto, e non c'era bisogno di ulteriori spiegazioni.
Katsuki viveva su un pianeta diverso dal mio, completamente inaccessibile. Lo avevo accettato da tempo.
Molto probabilmente si era soltanto fatto coinvolgere dal momento, la birra, e le stelle, e a me andò davvero bene così.
Non avevo mai pensato di poter avere davvero Bakugo Katsuki, e non lo pensai nemmeno in quel momento, perciò non fu difficile, né doloroso, accettare quella risposta.
Io zero, lui mille. Il divario era impareggiabile, ed era evidente. Nessuno lo avrebbe mai colmato.
Eppure, nonostante lo sapessi, nonostante mi fossi aspettato ogni cosa, quel passatempo vomitato freddamente sopra quel prato, mi regalò una punta di fastidio.
Io non ero il giocattolo di nessuno. Nemmeno di Bakugo. Perciò decisi di controbattere con la stessa identica moneta, per rendere chiare le mie intenzioni e soprattutto la mia posizione.
Per me fu molto più di un passatempo. Ma lui non lo avrebbe saputo mai. Nessuno lo avrebbe saputo mai. Quel segreto sarebbe rimasto rinchiuso a tripla mandata nell'angolo più buio e recondito della mia mente. O almeno, così credevo.
In ogni caso, quel giorno fu comunque uno dei più belli della mia vita.
Iniziai lentamente a fare pace con il mio passato, e non solo. La cicatrice inflitta da quella testa di cazzo di mio padre sembrò essere in procinto di rimarginarsi. Tutto grazie a Katsuki.
Alla fine, non avrei mai potuto essere arrabbiato con lui.
Tutto quello che aveva fatto per me rese il dolore uno scoglio in un mare di acqua salata e salvifica.
Non mi avrebbe mai amato, ma era al mio fianco, e mi stava aiutando a capire che lo sarebbe stato per sempre.
Una vittoria a metà, tutto sommato.
Ma a me andava davvero bene così.
Quella notte ebbi il privilegio di godermi un altro po' di Bakugo Vaniglia, che decise spontaneamente di dormire nel mio letto, e che io non riuscii a fare a meno di stringere forte tra le mie braccia.
Qualcosa lo stava turbando.
Non osai chiedere, avrei aspettato che me ne avesse parlato di sua spontanea volontà.
A quei tempi non compresi che il motivo dei suoi turbamenti ero soltanto e semplicemente io.
Quando gli uccelli cantarono, quella mattina, aprii gli occhi, un'ora prima della sveglia. Decisamente insolito per me, ma non trascorsi troppo tempo ad indagare sul motivo.
Bakugo era ancora lì, stretto sul mio petto, a dormire come un bambino.
Avrei voluto rimanere su quel letto per sempre, per tutta la cazzo di giornata.
Avrei buttato all'aria ogni cosa per poterlo fare.
La UA, il tirocinio, Kai Chisaki, tutto, decisamente tutto.
Avremmo potuto restare semplicemente lì, e dimenticarci del resto, come di tanto in tanto provavamo a fare, pentendocene subito dopo.
Sorrisi ammirandolo, era davvero bello. I suoi lineamenti armoniosi parvero ai miei occhi come disegnati dal pennello di un Dio. Avrei voluto baciare ancora quelle labbra, proprio come la sera precedente, con la stessa intensità, fino a consumarle.
Mai avrei pensato che quel concentrato di dinamite e vaniglia, assopito nel mio letto, avrebbe stravolto completamente la mia vita.
Mi trattenni dallo sfiorare con le dita ogni centimetro del suo viso.
Lentamente, prestando attenzione a non destarlo,
Mi divincolai dalla sua presa, scendendo dal letto prima del solito.
La stanza mi parve diversa dal solito, quel giorno.
Le foglie d'acero sul mio davanzale brillarono come non mai, ed io ricordo le prime luci dell'alba, la polvere sulle mensole semivuote, e la sensazione che qualcosa nella mia vita sarebbe cambiata drasticamente.
Non riuscii a capire se in meglio o in peggio.
Il tempo mi dimostrò però che avevo dannatamente ragione.
Mi diressi verso il bagno, ed una volta uscito mi fiondai in cucina, intenzionato a preparare la colazione per me e Bakugo. Avevo abbastanza tempo, strano ma vero, per prendermela comoda.
Non appena raggiunsi l'uscio, i miei occhi corsero veloci sulla sua figura.
Mio padre era lì, già in piedi, con una tazza di caffè fumante in mano ed il giornale nell'altra.
Deglutii, incapace di prendere una decisione immediata.
Ricordai però della promessa fatta a me stesso, e a Katsuki, e a mia nonna, perciò gonfiai il petto ed entrai a passo deciso, senza più ripensamenti.
Molto probabilmente ai suoi occhi figurai come un piccione ringalluzzito, ma nella mia testa stavo marciando glorioso in quella cucina, pronto alla svolta.
Il perdono è davvero virile, dopotutto.
Quel passo in cucina fu il primo di un lungo percorso che mi avrebbe portato ad essere tutto ciò che sognavo.
"E-ehi.." balbettò quello non appena mi vide, smettendo di prestare attenzione al giornale e focalizzandosi su di me, che avevo il viso ancora pieno di sonno e la mano già stretta sulla maniglia del frigo.
"Buongiorno, papà." sussurrai sforzandomi.
Sperai che ad essere difficile fosse stato soltanto l'inizio. Ed in effetti fu realmente così.
Il resto della conversazione filò sempre più liscio, talmente tanto da ricordarmi in qualche modo i vecchi tempi, quelli in cui ero ancora un bambino e non immaginavo tutto quello che sarebbe successo e la piega che avrebbe preso la mia vita.
L'emozione iniziò a brillare nei suoi occhi in un modo che non avevo mai visto.
Qualcosa all'altezza del mio petto prese a scaldarsi, ed io forse mi intenerii davanti all'uomo che per così tanto tempo detestai.
"Come va? Come stai, Eijiro? Preparo io la colazione, tu siediti!" esclamò balzando in aria ed accingendosi a preparare immediatamente il caffè.
Era così impacciato, quasi più di me.
Forse era proprio da lui che avevo preso.
Per un attimo mi passò per la mente, per la prima volta, l'idea di aver fatto davvero male a quell'uomo, di non averlo voluto capire, di non averlo neanche voluto ascoltare.
"Calma, papà, non c'è fretta. Posso farlo io." sussurrai a testa bassa, aprendo il frigo e cercando burro e marmellata.
"Comunque sto bene, grazie. Tu come stai?" aggiunsi.
Sembrò sempre più su di giri all'idea di parlare con me, talmente tanto che giurai di averlo visto sbirciare in salotto nella speranza di veder comparire la sagoma di mia madre, unica potenziale testimone del fatto che non si fosse immaginato tutto.
"Sto bene, sto benissimo! Sono tornato da poco e, insomma, ti ho portato un regalo! Santo cielo, quasi me lo dimenticavo, il regalo, corro subito a prender-" lo interruppi istantaneamente.
"Papà, me lo darai dopo il regalo, abbiamo tutto il tempo del mondo".
Quello sì bloccò istantaneamente, sgranando gli occhi grandi color cremisi e puntandomeli addosso.
Aveva tante domande da pormi, glielo lessi in viso, ma non osò spingersi troppo in là.
Abbiamo tutto il tempo del mondo.
"Ho saputo del tirocinio, io.. Io sono estasiato, Eijiro! Stai diventando un uomo coraggioso e forte! Sono così fiero di tutto ciò che stai facendo!"
Aveva toccato i tasti giusti, ed io stavo lentamente iniziando a sciogliermi, proprio come il burro sulle fette biscottate che stavo preparando a Bakugo.
Ridacchiai un po' di fronte a quegli elogi. Se solo avesse saputo di tutte le regole infrante, dei continui ritardi, e delle diavolerie da idiota sbadato che combinavo a scuola.
"In realftà faffio un facco di danni." farfugliai con una fetta biscottata in bocca.
Quello sorrise divertito, sedendosi di fronte a me ed aiutandomi a finire di preparare il resto della colazione.
"Mi dispiace di aver tartassato i tuoi amici." sussurrò tornando serio, levandosi immediatamente il dente cariato.
Alzai le spalle in risposta, oramai convinto a lasciarmi scivolare tutto addosso.
"Non importa. Non farlo più, però. Hai il mio numero, usa quello. Io risponderò".
Le mie parole lo illuminarono ancora di più.
"Hai ragione, Eijiro, scusami. Volevo parlare con te a tutti i costi ed ho agito da perfetto idiota." concluse, passandosi una mano imbarazzata dietro la nuca.
Improvvisamente rividi in quell'uomo me stesso mentre chiedevo perdono a Mina per qualche cazzata combinata.
Fu proprio per questo che risi ancora, lasciando papà forse sconcertato.
Avrebbe dovuto farci l'abitudine, alla mia risata. La usavo nelle situazioni più semplici, ma anche in quelle più difficili per me. Era il mio lasciapassare, il mio modo di divincolarmi dalle questioni che mi lasciavano con l'amaro in bocca e il petto pesante.
"In ogni caso hai messo su un sacco di muscoli, ragazzo! Cosa ti danno da mangiare in quella scuola?" domandò cambiando finalmente discorso.
Risi nuovamente, stavolta per davvero, continuando a concentrarmi sulla colazione di Bakugo.
"Mi ammazzo di allenamento, papà. Per quel che riguarda il cibo, mi accontento di 3 o 4 porzioni, che rubo solitamente a Denki o Katsuki".
Quello sghignazzò divertito.
"Non credevo che tu e Bakugo foste così amici!" esclamò.
Sentii improvvisamente le guance prendere fuoco.
Se avesse saputo dello scambio di saliva della sera prima molto probabilmente si sarebbe risparmiato il commento.
Evitai di pensarci e sorrisi.
"Baku è la ragione di tutto, 'pa." confessai pentendomi immediatamente di quanto appena detto.
Quelle parole uscirono veloci dalla mia bocca, sincere più che mai, ed io non riuscii ad agguantarle in tempo prima che spiccassero il volo.
Mio padre inclinò il capo. Lessi la curiosità nei suoi occhi, ma il sorriso non scomparve.
"Senza il suo aiuto sarei stato ancora al punto di partenza.." sussurrai tenendo lo sguardo fisso sulle fette biscottate.
"Sarà sempre il benvenuto qui." rispose lui, riservandomi un altro calmo sorriso.
Non capii un cazzo di niente, a quei tempi.
Lui invece aveva capito tutto.
Quel commento, quella dolcezza, accesero in me un fuoco di nostalgia e di tristezza. Quasi come se mi fossi reso conto di tutto quello che mi ero perso comportandomi per più di dieci anni come un totale cretino. Lui era lì, era sempre stato lì, ad aspettare il perdono, ad aspettare i miei porci comodi.
Non aveva smesso di amarmi, di prendersi cura di me, nemmeno per un solo, singolo giorno ed io l'avevo ripagato con l'odio, rifiutandomi persino di ascoltare qualsiasi spiegazione, negandogli il chiarimento.
L'avevo chiamato assassino, lo avevo trattato come la peggiore spazzatura, eppure stava lì, con l'emozione in volto e le rughe sul viso di un uomo stanco, più del dovuto, forse a causa mia.
Mi piombò tutto sulle spalle in un solo momento, ed il colpo fu pesantissimo da incassare.
Sei un cretino, Eijiro.
Lo ero stato davvero, e me ne resi conto soltanto in quel momento. Mi ero nascosto dietro al mio dolore, ignorando il fatto che eravamo tutti sulla stessa identica barca. Che cosa diamine avevo combinato? Perché mi resi conto soltanto allora di quanto ero stato dannatamente stupido ed infantile?
Gli occhi mi si riempirono di lacrime.
Non piangere.
Avevo promesso di non farlo più, avevo promesso di darci un taglio, ma non ci riuscii.
Tirai su velocemente con il naso, abbassando il viso sulle fette biscottate e lasciando che i capelli, lunghi e rossi, coprissero il mio volto.
"H-ho detto qualcosa di sbagliato?" sobbalzò lui, accorgendosi immediatamente delle lacrime che stavano inzuppando una delle fette biscottate sotto il mio naso.
Scossi il capo, rimanendo in silenzio.
Avrei dovuto parlare, chiedere scusa, ma non seppi da dove cominciare.
Non avevo le capacità adatte per reggere la situazione, e mi sentii sprofondare nel mio mare salato di stupidaggine.
Era forse quello il momento giusto?
Quello per parlare, per aprire l'armadio degli scheletri?
Deglutii, asciugando le lacrime con la punta dell'indice.
Non ce la faccio.
Ed in effetti era così. Avevo paura, talmente tanta da rimanere paralizzato sopra quelle cazzo di fette biscottate a cercare di darmi una spinta per andare avanti, per compiere la scelta giusta.
Ma non bastava, nulla sarebbe bastato, nemmeno il mio impegno.
Fu proprio in quel momento che una voce, la sua voce, quella del mio angelo dai capelli biondi, arrivò diritta alle mie orecchie, facendo voltare di scatto verso la porta della cucina sia me che mio padre.
A quanto pare la nostra conversazione fu di dominio pubblico, perché sull'uscio erano piantati sia Bakugo che mia madre, immobili. Chissà da quanto tempo erano lì.
Katsuki aveva le braccia incrociate sul petto, e lo sguardo fisso su di me. Al suo fianco la mia mamma, con gli occhi lucidi e le mani appoggiate sul viso.
"Avanti, Capelli di Merda, parla." bofonchiò secco, facendomi sobbalzare.
Quelle parole mi trafissero in un lampo.
Fu come risvegliarsi da un incubo.
Sapeva sempre cosa dire.
Trovava sempre la chiave.
Aveva sempre in tasca la soluzione.
Iniziai a sentirmi carico come una molla, e ripensai a tutto quello che avevo combinato per arrivare a quel punto.
Il perdono è davvero virile.
Io ero il più virile degli eroi.
Ed ero pronto ad affrontare quel momento più che mai.
Dovevo solo parlare. Parlare e basta. Non c'era nessun Villain, nessuna minaccia, soltanto io, il mio passato, ed i miei sentimenti.
Potevo farcela, dovevo farcela.
Diedi un ultimo sguardo a Katsuki prima di lanciarmi.
Mi fece con il capo un gesto fugace, in senso di esortazione.
Mi sentii pronto.
Katsuki mi stava guardando, avrei dovuto dare il massimo.
Presi un profondo respiro.
Al tre parlo.
Uno.
Due.
"P-papà, mi dispiace!" esclamai, serrando i pugni sul bancone di marmo freddo della cucina, coprendo il viso con i lunghi capelli. La mia mascella iniziò ad indurirsi sotto l'effetto del quirk.
Volsi ancora lo sguardo alla porta, accorgendomi che il mio coetaneo era scomparso, lasciando sull'uscio soltanto mia mamma, seminascosta e carica di tensione. Non si sarebbe mossa di lì per un bel po'.
Le mie azioni molto probabilmente avevano fatto male anche a lei, ed io non me ne ero mai curato troppo.
Anche mio padre rimase pietrificato.
Fu quasi come cercare di intavolare una conversazione con me stesso. Io e quell'uomo ci somigliavamo decisamente troppo.
"S-sono io a dover chiedere scusa.." sussurrò dopo un po'.
Le lacrime ripresero a sgorgare copiose dai miei occhi.
"N-non ti ho nemmeno voluto ascoltare.."
Quello sì avvicinò a me spostandomi i capelli dagli occhi con un gesto gentile e la mano indurita, proprio come la mia.
Mi accorsi che anche lui stava piangendo.
"Ho cercato di fare il possibile, Kiri, ma non è bastato. Sono stato un perfetto idiota." rispose lui piantandomi gli occhi addosso.
"Sei andato via, e noi avevamo bisogno di te.." sussurrai a denti stretti. I lineamenti del mio viso erano oramai irriconoscibili, sotto l'effetto del quirk.
Singhiozzavo come un bambino, come un fottuto neonato. Ma stavo riuscendo a parlare.
"Eijiro, era l'unica soluzione che avrebbe potuto concedere una speranza concreta, l'unica. Ci ho pensato per giorni e notti intere, e non ho avuto altra scelta".
Mosse ancora un passo verso di me.
Eravamo oramai vicinissimi, a piangere come due idioti, ad aprire gli armadi degli scheletri e a ritrovarci circondati dai fantasmi del passato.
L'istinto impellente fu quello di alzare il viso verso di lui. Avevo il cuore che batteva all'impazzata.
Quando incrociai I suoi occhi compresi che finalmente avevo mosso uno dei passi più importanti della mia vita.
E niente fu più bello di quel momento.
Quel momento soltanto nostro, quello che sancì la fine di un dolore inenarrabile e l'inizio di una nuova avventura.
"Perdonami, papà.." sussurrai tra le lacrime, senza distogliere lo sguardo dal suo.
Fu in quel momento che ci sciogliemmo in un abbraccio, più stretto che mai, e più duro che mai a causa dei nostri quirk.
"Perdonami tu, ragazzo. Sarò un padre migliore, te lo prometto." singhiozzò lui, facendo eco al mio pianto con il suo.
Le mani gentili di mia madre si avvolsero attorno a noi all'improvviso. Stava piangendo anche lei.
Mai dimenticherò lo zucchero ed il miele di quel giorno, quello della mia rinascita.
"Aspetto questo giorno da anni!" esclamò scostandosi i capelli dalla fronte e stringendoci con tutte le sue forze.
Quella scena molto probabilmente sarebbe potuta diventare un'icona di un film tragicomico, il più divertente di sempre.
Per un momento mi dimenticai quasi di Katsuki nell'altra stanza, costretto ad ascoltare i nostri piagnistei di gruppo e a guardare le lancette dell'orologio correre prepotenti verso la zona rossa, quella che avremmo dovuto utilizzare per ritornare in fretta e furia alla UA per evitare l'ira di Aizawa.
Ci pensò lui a ricordarci della sua presenza.
Sbucò dall'uscio, schioccando la lingua sul palato e appoggiando un gomito alla porta.
"La colazione è pronta." farfugliò alzando gli occhi al cielo.
Puntò poi un dito accusatore verso di me.
"Hai soltanto due minuti per continuare a frignare. Poi ti ammazzo e ti trascino da Aizawa. Meglio morto che in ritardo".
Impiegai meno di un nanosecondo per scoppiare violentemente a ridere, e lo stesso fecero i miei genitori.
"Voi tre siete davvero fatti con lo stampino.." farfugliò il biondo osservandoci.
Molto probabilmente ci aveva preso per una famiglia di pazzi. Ma andava bene anche così.
Fu però mio padre a compiere il gesto, l'azzardo.
Afferrò Bakugo per il polso e lo trascinò nell'abbraccio.
"Vieni qui anche tu, ragazzo!" esclamò colmo di gratitudine.
Aveva capito anche lui che era tutto merito suo.
Quello che non sapeva, pover'uomo, è che stava rischiando la vita con quella mossa.
L'odore di nitroglicerina si sparse nell'aria.
Katsuki sembrò una belva della savana rinchiusa in gabbia. Ma io sapevo che era una bomba ad orologeria, e pensai che sarebbe esploso da un momento all'altro.
La mano di mia madre gli scompigliò affettuosamente i capelli, rendendo la situazione ancora più divertente. Avrei voluto fotografare il suo sguardo completamente spiazzato e infastidito ed ammirarlo per sempre.
Dio solo sa quanto l'amavo.
Cercai di rimanere serio nel tentativo di non ingigantire la sua rabbia, ma fu tutto inutile. Oramai avevo cominciato a ridere, e non avrei più smesso.
"Caro, hai lasciato il gas acceso per caso?" domandò mia madre, sciogliendo all'improvviso l'abbraccio e guardandosi intorno.
L'uomo fece lo stesso, cercando di capire la provenienza dell'odore.
Soltanto io sapevo che era la nitroglicerina di Bakugo. Evitai però di dirlo.
"Andiamo a mangiare!" esclamai poggiando un gomito sulla spalla di Baku, infastidito più che mai, e agguantando il piatto con le fette biscottate.
Ci incamminammo lentamente verso la sala da pranzo, dove intanto Bakugo aveva apparecchiato e sistemato le tazze colme di caffè.
"Ho fatto le fette biscottate!" ghignai fiero mostrandoglielo.
"Le hai annacquate con le tue cazzo di lacrime, dannato frignone!"
Risi ancora più forte. Sentii gli sguardi colmi d'amore dei miei genitori alle nostre spalle.
Bakugo era riuscito a conquistarli.
Quando fu il momento di lasciare casa per tornare alla UA mi venne nuovamente da piangere. Cercai però di trattenermi. Non avevamo tempo per altre scenate, a detta di Bakugo. E forse aveva ragione, dal momento in cui eravamo in spaventoso ritardo.
Mio padre si offrì di accompagnarci in macchina, e noi accettammo sommessamente, per non subire l'ira di Aizawa e di tutto il corpo docenti.
Salutammo mia mamma promettendole di tornare il prima possibile, proprio come avevamo fatto con la signora Mitsuki, la donna più cazzuta e virile di tutto il fottuto pianeta.
Non so come cazzo finii sul sedile posteriore della MIA auto, ma Bakugo e papà rimasero nei posti davanti, a sbraitare come animali.
"VADA PIÙ VELOCE SIGNOR KIRISHIMA, CAZZO!"
"SUBITO!"
E intanto volammo dentro un veicolo completamente in fiamme, condotto da un pazzoide che assecondò divertito gli ordini di Bakugo, anziché scoraggiarli. Ecco come diamine figuravo agli occhi di tutta la US, come il pazzoide che assecondava Katsuki, il ragazzo problematico del festival sportivo.
Anche il biondo sembrò essere su di giri, talmente tanto che notai agli angoli della sua bocca quel sorriso che mi piaceva tanto.
Fu un viaggio breve, brevissimo, ma intenso.
Conficcai le unghie indurite nel sedile nel tentativo dalla strizza, ma non smisi di ridere nemmeno per un momento.
Per un attimo pensai addirittura che quel teatrino fosse per suscitare le mie risate, e non per arrivare in tempo.
Fummo davanti alle porte della scuola con un quarto d'ora di anticipo, e solo Dio sa come fu possibile.
Abbracciai quell'uomo un'ultima volta, per poi recuperare le borse e le biciclette dal bagagliaio.
"Dunque, ci vediamo presto, ragazzi!" esclamò rivolto ad entrambi con un enorme sorriso
Compresi che Bakugo si era davvero divertito quando, anziché farfugliare, ghignò assottigliando lo sguardo.
"Non vedo l'ora, signor Kirishima!"
Ed io scoppiai ancora una volta a ridere, lasciandomi trascinare da Katsuki dentro la scuola prima dello scadere del tempo.
Raggiungemmo l'ufficio di Aizawa a due minuti dallo scadere del tempo.
"Non riesco a credere ai miei occhi." bofonchiò l'uomo, decisamente sorpreso, alzando un sopracciglio.
Katsuki rimase sull'uscio, spingendomi dentro l'ufficio con una lieve pedata e ghignando tronfio.
"Sano, salvo, e in anticipo." ringhiò con fierezza, gonfiando il petto ed indicandomi quasi come un trofeo.
Un po' confuso ridacchiai imbarazzato, chinando il capo in segno di saluto.
"B-buongiorno sensei!"
Quello alzò gli occhi al cielo senza rispondere, per poi rivolgersi verso Katsuki.
"Dunque, quando volete, vedo che siete in grado di rispettare le regole".
"Meh".
Ci furono alcuni attimi di silenzio.
"Andiamo, Capelli di Merda." bofonchiò allontanandosi, ed io lo seguii ridacchiando, salutando prima con un cenno il professor Aizawa.
In una sola giornata, quel folle aveva stravolto la mia vita.
Ma non avevo più tempo per pensarci. Dovetti correre infatti a gambe levate verso lo studio di Fat Gum, rimandando i ringraziamenti alla sera. Era il giorno prima della grande operazione, e avrei dovuto rimanere concentrato.
Le prove furono sfiancanti, ed io dovetti fare i conti con l'ansia soffocante, e con un Tamaki-Senpai sempre più nervoso.
"Morirò di sicuro, stavolta. Moriremo tutti.." sussurrò durante un attimo di pausa, ancora con il fiatone.
Poggiai scoraggiato una mano sulla sua spalla, approfittandone per riprendere aria.
"Andrà tutto bene, Senpai." tentai di rassicurarlo.
La verità è che avevo più paura di lui.
Quello fu solo l'inizio di un interminabile incubo.
Quando rincasai quella notte ero completamente distrutto e divorato dall'ansia e dalla paura.
L'operazione per catturare Kai Chisaki sarebbe cominciata all'alba ed io ero un perfetto zombie alla ricerca di un po' di riposo.
Non ero ancora riuscito a ringraziare Katsuki.
Provai invano a bussare alla sua porta, senza meravigliarmi nello scoprire che stava dormendo.
Avevo bisogno di parlare con lui, un bisogno impellente, che non riuscii a trattenere.
Mi fiondai così nella mia camera, deciso in qualche modo a tirare fuori tutto quello che mi portavo dentro, imprimendolo con l'inchiostro su un foglio bianco sporco di tinta che trovai per grazia di Dio sotto al letto insieme ad un mucchio di altre cianfrusaglie inutili.
Cominciai a scrivere, ed una volta concluso, colto da un impeto di coraggio, piegai il foglio grossolanamente, senza nemmeno rileggerlo, e lo ficcai sotto la porta di Bakugo.
"Quel che fatto è fatto." sussurrai a me stesso, pentendomi immediatamente del gesto appena compiuto.
Del resto della serata ricordo soltanto la morbidezza del mio letto, ed i deliri di Deku, anche lui in ansia, che riuscii ad udire da ben 3 camere di distanza.
Ehi Baku,
Ti scrivo una lettera sgrammaticata e informale perché ho bisogno di comunicarti alcune cose prima di domani. Stai già dormendo, perciò cercherò di non svegliarti col frastuono delle mie ansie, che sicuramente ti infastidirebbero. Ho deciso di sbrigarmela da solo, e va bene così.
Le ultime ore sono state per me manna piovuta dal cielo, ed è giusto che ti ringrazi a dovere. Quando finirò il tirocinio sarò felice di offrirti una cena, una serata in sala giochi, insomma, quello che ti pare. Tu non sei mai in debito con nessuno, è vero, ed io me lo ricordo, ma si tratterebbe di un regalo, perciò inizia a pensare a quello che ti farebbe piacere. D'altra parte, penso proprio di essere io quello in debito.
Il passato mi ha sempre fatto molto male, forse soltanto io so quanto, ma ho sempre evitato di parlane. Mi fa ridere pensare che tu sia comunque riuscito a capirlo. Magari un giorno mi spiegherai come.
Senza di te so che non ce l'avrei mai fatta, e molto probabilmente lo sai anche tu.
So anche che io e te non abbiamo mai parlato di sentimenti e sono praticamente certo che non lo faremo mai. Proprio per questo mi sto rifugiando dietro ad una lettera, così da non rompere il nostro tacito accordo fatto di silenzio e virilità mescolate.
Ti voglio davvero bene, Baku.
Un bene che non so spiegarmi.
Un bene che mi ha fatto respirare.
Un bene che mi ha migliorato la vita.
Scrivo tutto questo perché, semplicemente, l'operazione di domani sarà complicata, ed io ho una paura fottuta.
Niente panico, però. Sono soltanto un fottuto fifone, come dici spesso tu, e so che alla fine andrà tutto per il meglio. Mi piace ingigantire le cose, lo sai anche tu.
Non vedo l'ora di festeggiare con te, e con tutti gli altri, la riuscita dell'operazione!
Grazie per essere stato il passatempo migliore di ieri.
E della mia vita.
Buonanotte, a domani!
-RED RIOT :)
Ed ovviamente, scherzo del destino, non arrivò nessun domani.
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