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Per le strade del quartiere, di solito brulicanti di vita, regnava la quiete. C'erano poche persone in giro a quell'ora del pomeriggio. Un bambino, zaino in spalla, svoltò l'angolo correndo a perdifiato. Per la fretta incespicò in un ciottolo e, impaurito, raccolse le braccia al petto strizzando gli occhi, preparandosi all'inevitabile. Qualcosa però frenò la sua caduta, il volto a pochi centimetri dall'asfalto.

«Che riflessi, Sakura-kun!»

«Tch, avresti potuto farlo anche tu.»

Tirandolo per lo zaino, Sakura rimise in piedi il bambino che, sorpreso, alternava lo sguardo tra lui e Suo.

«È vero, ma ho preferito non esserti d'intralcio» disse il vice capitano, le labbra piegate in un piccolo sorriso.

«Ma che intralcio, non vedi che sono carico come un mulo?» lo rimbeccò Sakura, agitando le buste della spesa nel pugno destro. Suo sollevò le mani in segno di scusa, piegando la testa di lato, e gli orecchini di seta ne seguirono il movimento. Le gemme riflessero la luce del sole, un bagliore tenue che parve illuminare il sorriso di Suo ancora di più.

«Non sembravano così pesanti.»

«Che diamine c'entra?!»

La felpa venne tirata appena e Sakura spostò lo sguardo verso il basso, incrociando quello del bambino che lo fissava con occhi adoranti.

«Io vi conosco, siete del Furin!» disse, emozionato.

Suo posò i palmi sulle ginocchia e si piegò in avanti, portandosi all'altezza del suo viso tondo.

«È proprio così» trillò, con voce musicale. Sakura avrebbe scommesso che persino una bestemmia, pronunciata dalla sua bocca, sarebbe parsa una fottuta melodia.

«Da cosa lo hai capito?» proseguí Suo. In effetti, in quel momento non indossavano la divisa scolastica.

«Vi ho visti la settimana scorsa! Delle persone stavano rompendo tutto, così io e la mamma ci siamo nascosti nel negozio del signor Takeshi. Avevo tanta paura, poi siete arrivati voi! Siete fortissimi!» esclamò con entusiasmo.

Ah, la rissa al mercato con quegli sfigati...

Sakura divise il carico di buste, stringendole in entrambe le mani, e spostò il peso da un piede all'altro, a disagio. Non era abituato a quel genere di attenzione.

Per tutta la vita Sakura era stato guardato con rabbia, disgusto, sospetto e il poco che aveva se l'era guadagnato a suon di pugni e calci. La gente di Makochi, invece, non finiva mai di sorprenderlo: aveva sempre una parola gentile, un gesto di gratitudine nei suoi confronti, il calore nello sguardo ogni volta che pattugliava il quartiere. Sakura fissò il bambino col solito cipiglio burbero, uno strano tepore gli scaldava le guance e il petto.

«Fila a casa, ora» disse, secco.

«Non vorrai far preoccupare tua madre, vero?» si aggiunse Suo, l'espressione serena e il tono soffice come zucchero filato.

Il piccolo scosse energicamente la testa, strinse i pugni e li guardò, serio.

«Da grande voglio essere come voi!» Fece un piccolo inchino e, dopo essersi voltato, riprese a correre lungo la strada.

«Fai attenzione!» si raccomandò Suo, salutandolo con la mano. Sakura emise un verso scocciato per poi incamminarsi verso casa. Suo lo raggiunse in pochi passi.

«Qualcosa non va, Sakura-kun?»

«Quel moccioso non sa di che parla...»

"Come voi"? Sakura non avrebbe augurato a nessuno, nemmeno al peggior nemico, ciò che aveva vissuto. A volte si svegliava in piena notte, sudato e con la paura che gli serpeggiava in corpo fino ad artigliargli il cuore. Non erano incubi, quelli che lo tormentavano: erano ricordi.

Suo, al suo fianco, lo osservò di sottecchi per qualche istante prima di riportare lo sguardo davanti a sé.

«Io invece credo che lo sappia.»

«Non dire assurdità!»

«I bambini vedono il mondo da una prospettiva diversa, sai?»

«No.» Sakura, bambino, non lo era mai stato.

«Sono sicuro che abbia visto oltre le apparenze» continuò Suo, le mani dietro la schiena. Il cappotto lungo color borgogna ondeggiava a ogni passo, sfiorandogli le caviglie.

Avevano raggiunto il limitare del quartiere. Gli edifici si contavano sulla punta delle dita e la maggior parte di essi era disabitata.

«Non c'è un bel niente da vedere, io sono così e basta.»

«Intendi testardo, impulsivo, rude e un po' sboccato?»

«Ehi!» sbottò Sakura, offeso, voltandosi verso di lui. Suo lo stava già guardando e Sakura si bloccò, immobile, annegando nella dolcezza che traspariva dal suo sguardo. Era così intenso che si sentì bruciare, attratto dalla sua orbita come un pianeta lo è dal sole.

«Sei altruista, generoso, protettivo e amorevole. È questo che sei, Sakura-kun.»

Con le dita gli sfiorò la guancia e Sakura sentì la pelle andare a fuoco. Ogni volta che Suo lo toccava, veniva consumato da un incendio che riduceva in cenere ogni cosa, annientando la ragione e ogni sua difesa.

«I-io...»

Suo sorrise, inclinando la testa di lato. «Sei arrossito, Sakura-kun!»

Con un balbettio, Sakura scattò indietro.

«C-che cosa- Io non- Maledetto!»

Suo riportò le mani dietro la schiena come se nulla fosse successo; come se non avesse appena rimesso insieme i pezzi del suo animo lacerato.

Era questo, Suo, per lui: un'ancora in quel pantano scuro che era da sempre la sua esistenza.

«Sono contento che tu mi abbia invitato da te per cena» disse. C'era una nota dolce nella sua voce.

«M-mi hanno regalato troppo cibo, sarebbe un peccato sprecarlo» replicò, il volto in fiamme e lo sguardo altrove.

«Sai cucinare, Sakura-kun?»

Il cervello di Sakura andò in stand-by per qualche secondo, gli ingranaggi che faticavano a mettere insieme i pezzi. Nel suo appartamento era già un miracolo che ci fosse l'acqua corrente, figurarsi il piano cottura. Quando i suoi compagni di classe erano andati a trovarlo, qualche settimana prima, lo avevano riempito di oggetti per rendere il posto più accogliente: delle tende, un tavolino, un bollitore, alcuni quadri e anche un fornello elettrico. Adesso, ogni volta che rientrava, si sentiva meno estraneo e più a "casa". Ciò non toglieva che, per pigrizia e incapacità, continuasse a mangiare cibo d'asporto.

Suo dovette leggere il panico nella sua espressione interdetta e ridacchiò. Dio, quella risata da sola gli faceva battere il cuore così forte che temeva potesse scoppiare da un momento all'altro.

«Per fortuna sono piuttosto bravo in cucina» lo informò, allegro. Ripresero a camminare, la luce del sole che lentamente lasciava il posto all'oscurità della notte. Arancio e viola si fondevano, assecondando le tacite leggi dell'universo.

«C'è qualcosa che non sai fare?»

«È una domanda o una richiesta, la tua?» replicò Suo, suadente, e Sakura sobbalzò nel cogliere il sottotesto.

Con Suo ogni cosa poteva assumere una sfumatura torbida e il suo sguardo, in quel momento, era carico di promesse. Il volto di Sakura si fece paonazzo e Suo gli gettò le braccia al collo, ridendo. Rimasero piantati in mezzo alla strada, due ragazzini alla scoperta del mondo e di loro stessi.

«Sei davvero adorabile, Sakura-kun» cantilenò. Sakura aggrottò la fronte e sbuffò, le braccia lungo i fianchi che reggevano le buste stracolme e il cuore che gli martellava nel petto.

«Scollati, qualcuno potrebbe farsi l'idea sbagliata» borbottò, protestando senza troppa enfasi. In realtà non gli importava un fico secco che li vedessero insieme: non aveva mai realmente nascosto il tipo di relazione che aveva con Suo, solo... non sapeva gestire simili slanci d'affetto.

Suo questo lo sapeva benissimo, infatti gli soffiò all'orecchio: «Secondo me si farebbe l'idea giusta... Vuoi che te la mostri?»

Sakura non ebbe neanche il tempo di arrossire. Una voce sgradevole li raggiunse, e i due gelarono sul posto.

«Ma guarda un po' chi si rivede!» esclamò, poco distante.

Suo sciolse l'abbraccio e si voltò, affiancando Sakura che aveva indurito lo sguardo, il corpo teso e i sensi in allerta. L'atmosfera rilassata che li accompagnava era già un vago ricordo.

Un gruppo di persone sbarrava loro la strada, impedendogli di proseguire. Sakura riconobbe gli sfigati che avevano pestato la settimana prima.

«I bambocci del Furin, che piacevole coincidenza! Siete soli?» gongolò il loro capo. Portava ancora i lividi dell'ultima rissa.

Sakura sollevò il mento, sprezzante. «Che c'è, ne vuoi ancora?»

«Forse non hanno imparato la lezione, Sakura-kun. Credo gli serva un ripasso» commentò Suo, serafico.

Le espressioni aggressive degli avversari furono più eloquenti di qualunque risposta. Con un ghigno soddisfatto, Sakura posò le buste a terra e si mise in posizione d'attacco. Una bella scazzottata era quello che ci voleva per stimolare l'appetito.

«Posso affrontarvi tutti anche da solo. Fatevi sotto, palle mosce.»

Con un grido, si scagliarono contro di lui come fossero un unico corpo.

Sakura si gettò nella mischia senza esitazione, battendosi con foga. Qualcuno lo attaccò alle spalle, stringendogli il collo con l'avambraccio. Sakura si liberò grazie a una gomitata per poi passare all'avversario successivo. Mentre si difendeva da altri due a suon di ginocchiate, con la coda dell'occhio vide arrivare un pugno. Il colpo però non andò a segno: con un calcio, Suo mandò il nemico al tappeto in meno di un secondo.

«Non vorrai tenerti tutto il divertimento, spero» lo rimproverò Suo, un sogghigno dipinto sul volto perfetto. Schiena contro schiena, il calore dei rispettivi corpi oltrepassava la stoffa. Un brivido di eccitazione attraversò Sakura, l'adrenalina che scorreva liquida nelle vene.

«Divertimento? Non vale neanche la pena di sporcarsi le mani con queste mezze cartucce.»

«Che hai detto?!» sbraitò uno.

«Sei morto!» urlò un altro.

Muovendosi in sincronia, Suo e Sakura scattarono in avanti, pronti alla battaglia. Sakura si trovò circondato e più ne colpiva, più ne arrivavano. Lo svantaggio numerico era evidente ma lui non era preoccupato. Aveva affrontato sfide peggiori di un simile branco di perdenti e Suo... Beh, era Suo.

Vederlo combattere era un vero spettacolo: ogni colpo che schivava era un passo di danza, aggraziato e preciso, i suoi movimenti una coreografia priva di sbavature; non aveva bisogno di stringere i pugni, gli bastava il palmo della mano per rompere un naso mantenendo intatta la sua eleganza. Faceva sembrare tutto facile, come se non richiedesse alcuno sforzo.

Il vice capitano evitò una testata e Sakura lo perse di vista, gli avversari che aumentavano sempre più, richiamati dai compagni già a terra e gonfi come zampogne.

Dove diavolo è finito Suo? pensò, sferrando l'ennesimo calcio.

Il sole era calato quasi del tutto ma Sakura fu accecato dal riverbero in mezzo alla calca e strizzò le palpebre, infastidito.

Quando capì che lo strano bagliore era il luccichio di una lama, era già troppo tardi. Sakura alzò le braccia per difendersi - o almeno provarci - dal vigliacco senza fegato che era ricorso a un'arma pur di avere la meglio. Era ormai a pochi centimetri, poteva vederne la punta farsi sempre più vicina quando l'ombra di Suo si frappose tra lui e il coltello, lasciandolo esterrefatto. Suo afferrò il polso dell'avversario, ruotandolo con forza, ma lo spazio di manovra era troppo ristretto perché Sakura non venisse comunque colpito. Così Suo fece l'impensabile: deviò la lama con l'avambraccio e il suo gemito di dolore si conficcò nel cervello di Sakura, mentre il liquido scarlatto gli schizzava in faccia.

Caldo. Vibrante. Ipnotico.

Rosso.

Rosso.

Rosso.

Ogni pensiero logico venne annientato dalla consapevolezza che Suo era ferito.

Suo perdeva sangue.

La ragione fu azzerata in favore della furia cieca. La vista si appannò mentre aggrediva quel bastardo e chiunque incrociasse il suo cammino, mostrando i denti e urlando a squarciagola.

Dovevano pagare. Dovevano morire.

«...ka-kun! Haruka-kun, fermati!»

Le braccia di Suo lo avvolsero da dietro e il pugno di Sakura restò sospeso a mezz'aria. Aveva il fiato corto, la manica della felpa si era strappata e qualcosa gocciolava dalla tempia fino al mento, ma non gliene fregava un cazzo. Voleva soltanto distruggere chi aveva osato ferire il compagno e il volto tumefatto del loro capo, agonizzante sotto di lui, non era abbastanza da placare la sete di vendetta.

«Haruka-kun, sto bene. È solo un graffio, guarda» sussurrò Suo al suo orecchio, un mormorio calmo, e i muscoli di Sakura si rilassarono piano. La tensione abbandonò di colpo gli arti, il corpo che tremava come impazzito mentre l'adrenalina scivolava via. La presa sul colletto dell'avversario si fece debole e lui lo lasciò cadere al suolo con un tonfo. Sakura si accasciò sulle ginocchia, stretto nell'abbraccio di Suo che continuava a rassicurarlo.

Finalmente, dopo un attimo di smarrimento, mise a fuoco lo scenario: intorno a loro, decine di corpi esanimi. Sakura abbassò lo sguardo e gli occhi si posarono sullo squarcio nel cappotto di Suo, la stoffa borgogna intrisa di sangue e un taglio che ne deturpava la pelle rosea.

Da quando lo conosceva, Suo era sempre uscito illeso da qualunque scontro. Quella ferita, invece, forse necessitava di punti ed era colpa sua.

«Andiamo a casa, Sakura-kun.»

«Ti porto in ospedale» ebbe la forza di rispondere, la bocca impastata dal rimorso.

«Hai un kit di pronto soccorso?»

«Credo di sì...»

«Andrà bene quello» lo rassicurò Suo. Sakura si voltò nella sua stretta e il calore con cui Suo lo guardava fu peggio di una pugnalata. Non era meritevole di pietà né compassione. Suo doveva odiarlo, proprio come tutti gli altri. Lui era una sciagura, una maledizione, era-

«Andiamo, Sakura-kun» lo esortò e, anche se a fatica, Sakura si rimise in piedi. Raccolse le buste col cibo ricevuto dagli abitanti del quartiere e, con Suo accanto, si incamminò verso casa. Per tutto il tragitto, non riuscì a distogliere lo sguardo dal braccio ferito di Suo.

È colpa mia.

È solo colpa mia.

*****

La cassetta del pronto soccorso giaceva sul pavimento, insieme ad alcuni batuffoli saturi di disinfettante e sangue. Il taglio era profondo, e Suo molto ostinato. È meno grave di quanto sembra, gli aveva ripetuto più volte col solito sorriso composto. Sakura avvolse la benda intorno alla ferita, cercando di non stringere troppo. Il silenzio nella stanza era un terzo incomodo. Bloccò la fasciatura e Suo avvicinò il braccio al viso, osservando il suo operato.

«Sei bravissimo, Sakura-kun» commentò con un mormorio di apprezzamento, ma i suoi occhi erano velati da una patina che non riuscì a decifrare.

«Sì, beh, per il momento può andare...» disse Sakura, chiudendo il bauletto con più forza del necessario. Sotto lo sguardo attento di Suo, si affrettò a raccogliere i rifiuti sparsi in giro. Oltrepassò la soglia della cucina senza curarsi di accendere la luce, e li gettò nella pattumiera.

Sakura poggiò le mani sul ripiano del lavello, il capo chino e i ciuffi che gli ricadevano sugli occhi. Si sentiva in trappola, sopraffatto dal senso di colpa che, come un mostro dalle fauci spalancate, non attendeva altro che divorarlo in un sol boccone.

La voce di Suo lo fece sobbalzare.

«Sakura-kun.»

Ne sentiva il calore alle sue spalle. Bastò un istante perché Suo annullasse la poca distanza che li separava. Il respiro del compagno gli solleticò l'orecchio, mentre posava il mento nell'incavo del suo collo. Le braccia lo avvolsero, attirandolo a sé, ma Sakura non era lì. Era ancora in quel vicolo che fissava la lama, totalmente impreparato, con il sangue di Suo che gli scorreva sulla faccia come un acido, scavando un solco nel suo animo.

«Sakura-kun...»

A Sakura sembrò di distinguere un tremito, nella sua voce.

«... smettila di punirti per qualcosa che non dipende da te» disse Suo, depositando un bacio sul suo collo teso. Sakura strinse le dita sul lavello fino a farsi venire le nocche bianche.

«Sei ferito.»

«È soltanto un graffio» minimizzò ancora, e Sakura digrignò i denti. Fissò la fasciatura sul suo braccio, gli occhi che bruciavano e un macigno sul cuore.

«Aveva un coltello e io non me ne sono accorto. Ero distratto e...»

«Cosa stavi guardando, mh?» Suo provò a scherzare.

«Smettila, Suo! Ho abbassato la guardia e questo è il risultato!» urlò, lo stomaco stretto in un nodo inestricabile.

«Avrei potuto evitare il colpo» disse Suo, un mormorio basso che in qualunque altro momento avrebbe avuto il potere di calmarlo. Invece, la rabbia gli crebbe nel petto fino a far scricchiolare le ossa.

«Allora perché non lo hai fatto?!» ringhiò tra i denti, battendo talmente forte il palmo sul ripiano che le ante della credenza cigolarono, minacciando di staccarsi.

Suo non parlò. Si limitò a stringerlo un po' di più, ad affondare il naso tra i capelli alla base della nuca inspirando a fondo.

Quando rispose, stavolta la sua voce non vacillò.

«Perché avrebbe colpito te e io non potevo permetterlo. Lo capisci questo, Sakura-kun?»

No, non lo capiva o meglio, non voleva capirlo. Avrebbe preferito mille volte quella lama piantata nelle viscere, piuttosto che un singolo graffio sul corpo di Suo.

«Sakura-kun, guardami...»

Con delicatezza, Suo lo costrinse a voltarsi nell'abbraccio. Sakura tenne lo sguardo basso, incapace di guardarlo in faccia. Sapeva benissimo cosa avrebbe trovato nell'iride rubino del compagno e lui non meritava quel sentimento: avrebbe lenito le sue pene e Sakura doveva soffrire, doveva annegare nella consapevolezza di aver fallito.

Suo posò la fronte sulla sua e Sakura provò a ritrarsi, sentendosi indegno anche solo di sfiorarlo. Suo non glielo permise. Lo tenne fermo lì dov'era, a un soffio dal cuore.

«Facciamo parte del Bofurin, proteggiamo ciò che è importante: la città di Makochi, la gente che ci abita, gli amici...» spiegò con calma, accarezzandogli la schiena. «E cosa c'è di più importante della persona che si ama?» concluse col sorriso, accompagnando la frase con una scrollata di spalle come se, così facendo, potesse alleggerirla dell'enorme carico che trascinava con sé.

Sakura sgranò gli occhi, incredulo. Era evidente che Suo non sapeva cosa stesse dicendo. Forse aveva preso un colpo in testa durante lo scontro, di certo avrebbe giustificato una simile follia.

Sakura era inamabile.

Non lo aveva amato sua madre, abbandonandolo appena nato.

Non lo avevano amato in orfanotrofio, schernito e denigrato da adulti e bambini per il suo aspetto.

Neanche lui amava sé stesso, e questo diceva già tutto.

«Sei pazzo» replicò, il volto in fiamme e le gambe che gli tremavano.

«Forse. Se ti dicessi che sono pazzo di te, cosa faresti?» gli chiese in un sussurro.

Sakura posò le mani sul suo petto e lo spinse, allontanandolo quanto bastava da riprendere fiato. Tenne lo sguardo basso. Si sentiva soffocare. Aveva la gola chiusa e gli occhi bruciavano.

«Non prenderti gioco di me, Suo. È troppo crudele, persino per te.»

Quelle parole rimasero sospese tra di loro. L'aria si saturò di tensione.

«Io sarei crudele? E tu, Sakura-kun?»

La voce di Suo aveva perso qualunque sfumatura, suonando gelida alle orecchie di Sakura che non riuscì a reprimere un brivido.

«Credevo di essere stato chiaro. Davvero pensi che mentirei su una cosa del genere? Che giocherei coi tuoi sentimenti?»

«Non puoi essere serio. È impossibile che tu...»

Le dita di Suo gli sfiorarono il viso e Sakura ebbe un sussulto. Timidamente, cercò il suo volto nella penombra della cucina.

Lo sguardo che si trovò a fronteggiare era intenso, ricco di un'emozione che si rifiutava di accettare perché nessuno poteva... poteva...

«Ti amo, Haruka-kun» disse Suo, senza un minimo di esitazione. Ogni singola lettera era imbevuta di sentimento e il panico si impossessò di Sakura, incapace di accettare quella verità come concreta e tangibile. «Te lo dirò ogni giorno, ogni minuto, ogni secondo se necessario» concluse, portando le mani a coppa sul suo viso. Sakura tremò.

«Sei ferito a causa mia.»

I pollici di Suo gli accarezzarono le guance.

«È stata una mia scelta» replicò, pacato.

«Dovevo fermarti.»

«Tu avresti fatto lo stesso per me.»

«Perché rendi tutto così difficile?!» ringhiò Sakura, la voce spezzata e il cuore in avaria.

«Perché è tutto molto semplice, Sakura-kun. Sono innamorato di te.»

Com'era possibile, anche solo umanamente concepibile, che un ragazzo forte, bello e intelligente come Suo volesse proprio lui?

«Quello che ancora non so, Sakura-kun, è se tu provi lo stesso...» mormorò Suo.

Il terrore che aveva provato quel pomeriggio lo aggredì con la violenza di uno tsunami, facendolo vacillare. Lo sguardo di Suo si ammorbidì, mentre gli asciugava le lacrime che scorrevano senza che ne avesse alcun controllo.

«Ho avuto paura.»

«Lo so.»

«Non ho mai avuto niente da perdere.»

«... Lo so.»

«Ho paura di perderti, Suo.»

«Non mi perderai, Haruka-kun. Te lo prometto.»

Cos'era quella sensazione? Il vuoto che Sakura portava dentro da tutta la vita, senza che se ne accorgesse, si era riempito giorno dopo giorno di Suo, Suo, Suo, al punto da non poterne fare più a meno. La sola idea che gli accadesse qualcosa lo atterriva. Era questo, l'amore?

Le mani di Sakura raggiunsero quelle di Suo, stringendole forte.

«Cazzo... Ti amo anche io, Hayato, accidenti a te!»

Suo allora si aprì in un enorme sorriso, la gioia evidente nei lineamenti fini.

«È bello sentirlo, Sakura-kun!»

A Sakura non sfuggì la nota di divertimento nella sua voce.

«... Tu lo sapevi, pezzo di merda!»

Suo ridacchiò e Sakura si sentì arrossire fino alla punta delle orecchie.

«Così è tutt'altra cosa, però, non credi?»

«Vieni qui, brutto stronzo!»

In una frazione di secondo Sakura afferrò il dolcevita di Suo, strattonandolo per attirarlo a sé. Il vice capitano emise un verso sorpreso, prima che Sakura lo zittisse con le labbra.

Suo aveva la fama del gentiluomo, trasudava eleganza ed esercitava il controllo in qualunque situazione. Avrebbe dovuto baciare allo stesso modo.

Invece, Suo era esigente, vorace, assolutamente egoista; pretendeva ogni suo gemito e a Sakura questo piaceva, perché provavano fame l'uno dell'altro e ogni volta che le loro lingue si incontravano era una sfida persa in partenza.

Suo lo schiacciò contro il ripiano alle sue spalle e Sakura gli ansimò in bocca, lasciando che insinuasse un ginocchio tra le gambe. I palmi di Suo scivolarono sulle sue natiche, le strinsero per poi afferrargli le cosce. Sakura gli gettò le braccia al collo, saltando per ritrovarsi seduto sul bordo della cucina.

Le mani di Suo scivolarono sotto la maglietta di Sakura e percorsero ogni centimetro di pelle disponibile, mentre la sua lingua gli accarezzava il palato con insistenza. Gli strinse i capelli tra le dita e Sakura reclinò la testa con un ansito roco. Suo gli morse il labbro con forza, abbastanza da sentire una punta di dolore ma non troppo da lacerare la carne. Rovesciò gli occhi, i contorni della cucina che sbiadivano insieme alla ragione: Suo era dappertutto, annientava qualunque percezione che non fosse il calore del suo corpo, le dita che gli stringevano un capezzolo e la bocca che gli succhiava il collo come un fottuto lecca-lecca.

«Haruka-kun...»

Cristo, come riusciva a trasformare il suo nome in una supplica? Sakura non si era mai sentito così voluto, così amato e non gli importò di sembrare patetico, rispose al suo richiamo con lo stesso disperato bisogno.

«Hayato...»

Il rigonfiamento nei pantaloni di Suo divenne così prepotente da non poterlo ignorare e Sakura realizzò di trovarsi nella stessa situazione; un altro bacio e sarebbero saltati i bottoni dei jeans, tanto si sentiva scoppiare.

Suo posò la fronte sulla sua, il respiro corto e irregolare. L'iride rubino era quasi svanita, un piccolo anello intorno alla pupilla dilatata per il desiderio.

«Sei sleale, Sakura-kun...»

«Eh?» chiese, un po' stordito.

«Se fai così, non posso garantirti che arriveremo al tuo futon in tempo» disse Suo. Non sembrava un avvertimento, piuttosto una promessa.

Sakura allora gli agganciò le caviglie dietro la schiena, abbracciandolo più stretto per poi fissare l'unico, magnifico occhio che gli era rimasto.

«Se è una minaccia, fa piuttosto schifo» constatò, a pochi millimetri dalle sue labbra.

«Lo pensi davvero?» chiese Suo.

Sakura mugugnò in assenso. «Mh-mh.»

«Perciò... Vuoi farlo qui?» gli domandò Suo, una punta di incertezza nella voce. Sakura, allora, sbuffò.

«Negli ultimi tre mesi ci siamo ficcati la lingua in gola, succhiati il cazzo fino a farcelo diventare viola e ora cosa, hai paura di sporcarmi la cucina? Sai quanto me ne frega?»

Suo lo fissò qualche istante, prima di scoppiare a ridere.

«Oh, Sakura-kun, sempre così diretto!» trillò, allegro, per poi incupire lo sguardo. «Se non importa a te...»

L'istante dopo lo stava di nuovo baciando, stringendo i suoi capelli tra le dita per strappargli l'ennesimo sospiro appagato. Per anni, Sakura non aveva mai avuto alcun tipo di contatto col prossimo che non fosse violento, col fine unico di mettere a tacere l'avversario, difendersi dai pregiudizi, legittimare la sua stessa esistenza. Ciò che condivideva con Suo, invece, era unico: quella che sembrava una lotta per la supremazia era uno scambio di intenti, un continuo "dare" per il gusto di compiacere l'altro senza aspettarsi nulla in cambio, una danza dal ritmo sincopato scandita dai loro gemiti, graffi e morsi.

Suo lo lasciò riprendere fiato per qualche secondo, restando a pochi millimetri dalla sua bocca, il respiro che si infrangeva sulle sue labbra umide.

«Ti fidi di me, Sakura-kun?»

Sakura schiuse gli occhi, appannati dal desiderio, e si specchiò nell'iride rubino del compagno.

Non c'era nessuno al mondo di cui si fidasse più di Suo. Era il suo braccio destro, il suo alleato, il suo amico, il suo amore; Sakura sapeva che, in qualunque circostanza, Suo gli avrebbe guardato le spalle, lo avrebbe messo sulla giusta via a costo di sfidarlo, lo avrebbe protetto... proprio come quel giorno.

«Sì.»

La risposta parve soddisfarlo perché lo baciò con rinnovato trasporto, esplorando ogni centimetro della sua bocca e accarezzandogli il ventre piatto. Quando si staccò da lui, Suo si leccò le labbra, le guance appena arrossate e lo sguardo famelico. Con le mani strette sui suoi fianchi, Suo lo fece scendere dal ripiano e Sakura lo fissò, incuriosito.

«Voglio fare una cosa» rispose Suo alla tacita domanda, iniziando a slacciargli la cintura e sbottonargli i pantaloni. Quando Suo si inginocchiò ai suoi piedi, trascinando con sé anche vestiario e intimo, Sakura emise un singulto. La sua erezione pulsava, in cerca delle attenzioni che sperava di ricevere da Suo, il quale la osservava con muta riverenza. I suoi palmi risalirono lungo le cosce di Sakura, gli accarezzarono i glutei per poi afferrargli nuovamente i fianchi con decisione. Sakura credeva di sapere cosa sarebbe accaduto di lì a poco; già sentiva il calore della bocca di Suo intorno al sesso, la sua lingua stuzzicargli la fessura e le dita lunghe massaggiargli i testicoli. Non riuscì a trattenere la sorpresa, quindi, nell'attimo in cui Suo lo fece voltare verso il mobilio della cucina. Coi gomiti sul ripiano, la schiena inarcata e le gambe appena divaricate, Sakura sentì il viso andare a fuoco nel realizzare quale parte del proprio corpo fosse all'altezza del volto del compagno. L'imbarazzo lo mangiò vivo.

«C-che cazzo fai?» balbettò con più acredine del necessario, ma Suo ridacchiò. Posò i palmi sulle sue natiche, stringendole e accarezzandole fino a esporre il punto proibito, e Sakura si irrigidì come un tronco. Allungò una mano, provando a coprire la zona, mentre si voltava verso l'altro con uno scatto repentino. Suo gli bloccò il polso, la sua presa ferma eppur delicata.

I loro occhi si trovarono, due calamite dai poli opposti. Da sopra la spalla, Sakura fissava Suo, inginocchiato sul pavimento; nonostante la posizione di netta superiorità, tra i due era Sakura quello in svantaggio. Si sentiva come una preda impaurita, in attesa del colpo fatale.

«Se non dovesse piacerti prometto di fermarmi. Va bene, Sakura-kun?»

Come poteva negargli qualcosa quando lo guardava in quel modo? Quando gli parlava come se fosse l'essere più prezioso sulla faccia della Terra? Come se potesse sbranarlo da un momento all'altro e Sakura ci sarebbe morto, tra le sue braccia, senza alcun rimpianto.

Annuì piano, un movimento quasi impercettibile, le orecchie che quasi emettevano fumo. Suo sorrise e piano, molto lentamente, avvicinò il viso al suo sedere nudo. Una scarica elettrica lo attraversò da capo a piedi appena la lingua di Suo gli leccò l'apertura. Sakura provò a ritrarsi, scandalizzato.

«Ti ha dato di volta il cervello?!»

Suo era bravo a nascondere le proprie emozioni, ma Sakura distinse la delusione nel suo sguardo.

«Lo hai trovato sgradevole, Sakura-kun?»

Sakura ci rifletté su: non era stato sgradevole, piuttosto... strano, e intenso. Tutto sommato la sensazione sembrava piacevole. Puntò lo sguardo altrove, sporgendo il labbro per poi balbettare: «P-puoi rifarlo, s-se vuoi.»

Di nuovo, la lingua di Suo accarezzò l'anello di muscoli e le gambe di Sakura si tesero, mentre tentava di scendere a patti col proprio corpo che sembrava gradire quel tipo di attenzione.

«Chiudi gli occhi, Sakura-kun. Concentrati su di me.»

Fece come gli era stato chiesto, tremando appena per l'aspettativa.

Il modo in cui lo stomaco si contraeva a ogni leccata, ogni brivido che gli attraversava la schiena, addensava il piacere nel basso ventre di Sakura senza soddisfarlo davvero. Era troppo e troppo poco allo stesso tempo. Gli sfuggì un gemito e la sua mano corse fino al sesso, cercando di amplificare la sensazione di godimento.

Più si masturbava, ansimando, più Suo lo leccava, come se fosse una pietanza di cui andava ghiotto senza averne mai abbastanza.

«H-Hayato...» lo chiamò, prigioniero del desiderio che, da flebile fiammella, si era tramutato in un incendio.

Nell'attimo in cui Suo spinse la lingua oltre la barriera, Sakura spalancò gli occhi e liberò un gemito, venendo a fiotti sul mobile della cucina.

Le gambe cedettero l'istante dopo ma, invece di cadere sul pavimento, si trovò seduto sul grembo di Suo, stretto nell'abbraccio più caldo che avesse mai ricevuto in vita sua.

Suo posò le labbra sul suo collo, risalendo piano fino all'orecchio dove il cuore martellava impazzito, rischiando di sciogliergli il cervello.

«Ti amo, Haruka-kun. Ti seguirei in capo al mondo.»

Sakura restò lì, una bambola di pezza tra le sue braccia, ad ascoltare quei sussurri romantici che in un'altra occasione lo avrebbero fatto fuggire via in preda alla vergogna e all'imbarazzo. Lasciò che le sue parole mettessero radici, artigliandogli il cuore in una morsa così stretta che niente avrebbe potuto sradicarle da lì. Permise a Suo di farsi strada dentro di lui, di arrivare in profondità dove regnavano solo buio e sconforto, e di accendere la luce della speranza.

Anche lui era degno di essere amato.

Tutta l'angoscia, la tensione e la paura provata quel giorno lo abbandonò, privandolo dell'ultimo briciolo di energie che gli era rimasto. Non riusciva a tenere gli occhi aperti ma era certo che, stavolta, non sarebbe caduto dalla fune. Ci sarebbe stato Suo, a prenderlo.

«La prossima volta ti proteggerò...» mormorò, stanco, sfiorando la fasciatura sul suo braccio mentre posava la testa sulla sua.

Sotto di lui, Suo si irrigidì per poi stringerlo con maggior forza. Qualcosa di umido gli bagnò la spalla.

«È così facile amarti, Haruka-kun» ridacchiò, un verso strano, quasi spezzato.

Sakura chiuse gli occhi, stranito.

Cos'aveva detto di speciale? In fondo, il Bofurin proteggeva ciò che è importante...

E cosa c'è di più importante della persona che si ama?

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