🫖

Il Pothos era accogliente, con una bella vista sulla strada principale del quartiere. L'arredamento aveva visto tempi migliori, certo, ma era comodo e Kotoha lo teneva in maniera impeccabile. La sua dedizione al lavoro era direttamente proporzionale all'affetto che le riservavano i clienti, i quali non mancavano mai.

In quel momento il locale era gremito di studenti del Furin, e ciò rendeva il posto chiassoso e allegro.

Suo portò la tazza di tè alle labbra, gli occhi chiusi, assaporando il gusto amarostico dell'infuso. Non era buono come quello che preparava in casa seguendo la tradizione, ma gli piaceva. Forse era l'ambiente in cui veniva consumato a renderlo speciale.

«Suo-san! Suo-san! Tu che ne pensi?»

Suo posò la tazza nel piattino, dopodiché cercò lo sguardo di Nirei. Il compagno sedeva accanto a lui con il prezioso taccuino tra le mani, l'espressione entusiasta e i capelli in disordine. Il suo piatto era vuoto per metà: questo voleva dire che si era infervorato come al solito e aveva smesso di mangiare, troppo occupato a prendere appunti.

Il fatto che lo avesse interpellato su una questione tanto importante da interrompere il pranzo e non lo stesse nemmeno ascoltando suscitò in Suo il senso di colpa. Abbozzò un sorriso, dispiaciuto.

«Scusa, Nirei-kun, ero distratto. A cosa ti riferisci?»

La mano di Tsugeura, in piedi alle loro spalle, corse a scompigliare i ciuffi di Nirei e la sua povera testa si trasformò in un nido di rondini.

«Le virtù di Umemiya, ovvio! Secondo te quali sono?»

Suo sospirò, sfoderando un sorrisetto di circostanza. Ancora con quella storia? Era proprio una fissa...

A un paio di sgabelli di distanza, Kiryu si fece portavoce di quei pensieri. Senza neanche alzare gli occhi dallo schermo del cellulare, rispose: «Dovresti interessarti anche ad altro, Tsuge-chan. Le ragazze ti trovano noioso.»

Tsugeura spalancò la bocca, scioccato.

«Ehhhh?! Davvero?»

«Davvero davvero.»

Anche Nirei annuì, convinto, poi si sporse leggermente in avanti. Il suo viso venne illuminato dal sole e le lentiggini risaltarono sulla pelle chiara, una piccola spruzzata di stelle. Cercò la persona seduta accanto a Suo e che, imperterrita, aveva continuato a mangiare l'omurice ignorando la conversazione. «E tu, Sakura-san? Ti sarai fatto un'idea...»

Anche Suo, curioso, si voltò verso Sakura. Ne osservò il profilo che, da quella posizione, a una prima occhiata era piuttosto anonimo. Non poteva vedere né le ciocche argentee né l'iride color miele ma Suo era certo che brillasse, colpita dalla luce oltre la grande vetrina; sapeva persino quante pagliuzze dorate l'adornassero.

Sakura lasciò la posata nel piatto ormai vuoto, incrociò le braccia e sbuffò, sporgendo il labbro con strafottenza.

«Non me ne frega un accidenti delle sue virtù. Non ho bisogno di conoscerle per diventare il numero uno del Furin.»

Fortuna che Sugishita non fosse presente o sarebbe volato qualche tavolo.

Suo abbassò lo sguardo sulla tazza, fissando il liquido immobile al suo interno. Scuro, insondabile. Era così che doveva essere il proprio animo ma Sakura aveva il potere di mettere a soqquadro obiettivi, pensieri, emozioni.

«È davvero questo che vuoi, Sakura-kun? Diventare il più forte?»

Sakura si girò verso le persone che passeggiavano lungo la strada, dall'altro lato del vetro. «È il motivo per cui mi sono trasferito in questa città.»

Il campanello della porta d'ingresso tintinnò e l'attenzione di tutti si rivolse a Hiragi, fermo sulla soglia, e alla sua squadra. Avevano appena finito di pattugliare la zona. Suo tornò a fissare il tè, l'espressione distesa e le mani a coppa sulla ceramica. Il suo animo era però in tumulto, scosso da una sgradevole sensazione che non sapeva decifrare.

«Se ci riuscissi, cosa farai?»

Sakura, al suo fianco, si irrigidì.

«Che intendi?»

«Sei venuto qui per diventare il numero uno, ma dopo? Ci hai mai pensato?»

Sakura trattenne il respiro qualche secondo, l'espressione persa di chi scava tra i ricordi. «Non sono come Tomiyama.»

«No, hai ragione. Però non sei neanche come Umemiya.»

Sakura digrignò i denti, le sopracciglia aggrottate, e rivolse a Suo uno sguardo duro.

«Mi stai dando del debole?»

«Non si basa tutto sulla forza, Sakura-kun.»

«E invece sì, perché solo i più forti sanno farsi valere!»

Il chiacchiericcio del locale copriva la loro discussione. Nirei, Tsugeura e Kiryu avevano raggiunto Hiragi, poco più in là. Sakura e Suo erano i soli seduti al bancone.

«Credi che gli abitanti della città ci temano? Che abbiano paura di noi?»

Sakura strinse i pugni e il cuore di Suo si fece improvvisamente più piccolo nell'udire la sua risposta.

«Per quale altro motivo dovrebbero considerarci?»

Un rumore secco e il liquido nella tazza tremò. In sala, improvvisamente, regnò il silenzio. Persino Kotoha si affacciò dalla cucina per vedere cosa stesse accadendo.

Tutti fissavano Suo, che aveva appena sbattuto con forza il palmo sul ripiano liscio del bancone. Un gesto inusuale, lontano dal suo modo di essere, o quantomeno apparire. Quando parlò, la sua voce era limpida e chiara ma dentro di lui si agitava una violenta tempesta.

«Se è questo che pensi, allora non hai capito proprio niente né del Furin né di Umemiya. Forse non sei adatto a essere capitano. Forse non saresti mai dovuto venire a Mokochi.»

Suo uscì dal locale senza voltarsi indietro, ignorando Nirei che lo chiamò preoccupato. Il campanello trilló, poi i rumori della strada lo investirono. Suo attese qualche secondo. La porta alle proprie spalle però rimase chiusa. Sakura non lo aveva seguito e Suo pensò che, da quando lo aveva conosciuto, non era cambiato. Quel pensiero lo intristì.

Si incamminò verso casa con un sapore amaro in bocca. Non era quello del tè, ma della delusione.

*****

La forza con cui calciò il manichino fece vibrare la solida struttura di legno, nell'angolo del patio. Il sudore gli scivolò sulla nuca e Suo provò a riguadagnare compostezza.

Aveva ancora quel sapore sgradevole in bocca e più le ore passavano, più si faceva intenso.

Credeva di aver capito Sakura, di aver saputo leggergli dentro, ma la verità era che si era soltanto illuso. Aveva proiettato su di lui l'immagine che aveva costruito nella propria mente e, soprattutto, nel proprio cuore.

Prese un respiro profondo e si mise in posizione per eseguire un taolu, di solito lo aiutava a rimettere in ordine il caos interiore.

Tre colpi al grande portone della tenuta fecero voltare Suo, interrompendo quel proposito. Il sole stava tramontando, l'aria si era già fatta più fresca. Il ragazzo percorse il giardino a passi lievi, le mani intrecciate dietro la schiena. Era raro che ricevesse visite, chi poteva essere a quell'ora?

Scostò l'anta e, quando vide la persona dall'altro lato, per un attimo si dimenticò di respirare.

Sakura lo fissava da sotto le ciglia lunghe, le guance arrossate e le mani ficcate nelle tasche dei pantaloni.

«Sakura-kun...»

Il capitano abbassò lo sguardo e spostò il peso da un piede all'altro.

«Possiamo parlare?»

«Come facevi a sapere dove abito?»

«Ho chiesto a Nirei.»

Quello in effetti spiegava molte cose, sì.

Suo si fece da parte e, con un gesto della mano, lo invitò a entrare. Sakura superò la soglia, guardandosi timidamente attorno. Il piccolo laghetto ospitava due carpe koi e lo shishi odoshi scandiva il tempo, col suo movimento regolare e il suono secco che ne seguiva.

«È diverso da come lo immaginavo» commentò Sakura, studiando lo spazio circostante. «È tutto molto...»

«Giapponese?» gli andò incontro Suo. Avrebbe voluto sorridere di quella considerazione, ma non ci riuscì.

«Sì.»

«Perché sono giapponese, Sakura-kun.»

Suo calpestò il breve sentiero di ciottoli e attese che Sakura lo raggiungesse presso il genkan, indicandogli le pantofole destinate agli ospiti mentre indossava le proprie. Spostò lo shoji ed entrò in casa, il battito irregolare e le emozioni che facevano a gara per avere il sopravvento.

«Ti preparo una tazza di tè» disse, per spezzare quel silenzio.

«Sei da solo?»

«Sì.»

Suo si fermò al centro del salotto, gli shoji aperti offrivano uno scorcio del giardino. Sentiva Sakura dietro di sé. Poteva percepire la sua aura, il suo calore, il suo odore.

«Mia madre è cinese.» Un'informazione irrilevante, assolutamente non necessaria, che rotolò fuori dalle labbra di Suo senza che ne avesse alcun controllo, e a cui ne seguì un'altra, e un'altra ancora. «Il padre si trasferì qui in Giappone quando lei era molto piccola. È lui che mi ha insegnato a combattere.»

«Tuo nonno?»

«Non l'ho mai chiamato così. È il mio Shifu. Siamo allievo e maestro.»

«Suo...»

Suo si voltò e gli orecchini gli solleticarono il viso, assecondando quel movimento.

«Sei venuto fin qui per parlare, Sakura-kun. Ti ascolto.»

Sakura incatenò lo sguardo a quello di Suo, chiuse i pugni e li alzó davanti a sé, assumendo la tipica posizione da combattimento. Suo doveva aspettarselo: dopotutto quello era il modo in cui Sakura sapeva dialogare meglio. Un moto di tenerezza gli accese il petto e Suo soffocó quell'emozione, concentrandosi sul proprio avversario. Disegnando un arco, portó indietro il piede e sollevò il braccio. Con le dita in alto e il dorso della mano rivolto verso Sakura, si preparò allo scontro.

«Ho pensato a cosa hai detto oggi» disse il capitano.

«Ne ho dette molte, di cose, temo di non ricordare» replicò Suo, pacato.

Sakura saltò in avanti, la gamba tesa, mirando al fianco di Suo che evitò il colpo con l'avambraccio, scartando di lato. Sakura atterrò sul ginocchio, guardando Suo da sopra la spalla. Sotto la seta degli abiti larghi, un brivido risalì lungo la schiena di Suo, trafitto dai suoi occhi così particolari.

«Mi hai chiesto cosa desidero davvero» specificò Sakura.

Rimasero fermi al centro del tatami, pochi passi che li separavano. Fuori stava facendo buio e nella stanza era calata la penombra. Non c'era alcuna fonte di luce a illuminare l'ambiente.

Sakura si alzò di scatto, girandosi e caricando un pugno che Suo riuscì a schivare senza troppa difficoltà.

«Ho sempre pensato che essere il più forte mi avrebbe garantito il rispetto della gente» disse, con espressione determinata. «Quando sono arrivato qui, seguendo le voci che parlavano del Furin, credevo di essere nel posto giusto.»

«Hai cambiato idea?»

«No, ma... Forse sono cambiate le ragioni.»

L'oscurità stava inghiottendo lentamente ogni cosa. Suo pensò che avrebbe dovuto accendere il piccolo lampadario sul soffitto, ma il riflesso della luna che colpiva i capelli di Sakura, mentre si muoveva veloce, era ipnotico. Le sue iridi uniche squarciavano il velo scuro che era sceso su di loro, uno spettacolo di cui non voleva privarsi. Suo evitò due calci, girando intorno a Sakura che non lo perdeva di vista neanche un attimo.

«Quando te ne sei andato, oggi... Ho provato a seguirti ma Nirei mi ha fermato.»

Suo stavolta bloccò il pugno nel proprio palmo e sgranò gli occhi, sorpreso.

«Sul serio?»

«Sì. Secondo lui non ero abbastanza calmo per affrontare una discussione con te, e non lo eri neanche tu. Aveva ragione.»

A quel pensiero, le labbra di Suo si curvarono appena all'insù. Lo liberò dalla sua presa e portò le mani dietro la schiena. Il loro non era mai stato un vero scontro, nessuno dei due voleva sconfiggere l'altro: stavano solo cercando un modo per avvicinarsi senza ferirsi ancora.

«Lo credo anch'io. Nirei-kun è un buon osservatore.»

Sakura restò lì a fissarlo, le braccia lungo i fianchi e lo sguardo deciso.

«È un buon... amico.» Quella parola si scollò a fatica dalla bocca di Sakura, un termine che evidentemente gli era estraneo. «Non ho mai avuto un amico prima di lui... e di te.»

La delusione dovette riflettersi nei suoi occhi, perché Sakura fece un passo avanti. Suo ne fece uno indietro. «Gli amici non fanno quello che facciamo noi, Sakura-kun. Almeno, non io.»

«Non ho mai fatto con nessuno le... cose che faccio con te, Suo. Questo lo sai.»

«Perciò chi sono, per te?»

«Sai che non sono bravo con le parole...»

Sakura avanzò piano, con cautela. Sembrava stesse camminando su una fune, l'equilibrio precario, in bilico su un precipizio. Un alito di vento e sarebbe caduto.

«Avevo un obiettivo, quando sono arrivato in questa città. Voi ragazzi invece mi avete dato un motivo per restare... Soprattutto tu.»

Suo abbassò lo sguardo quanto bastava per guardare Sakura negli occhi, ora che era a pochi centimetri da lui.

«Sei molto loquace, stasera, Sakura-kun.»

«"Non si basa tutto sulla forza". I pugni possono comunicare le intenzioni, però... Non è così che voglio il nostro rapporto.»

«Come vuoi che sia, allora, Sakura-kun? Pensaci bene, perché non è un gioco e io ho bisogno di una risposta chiara.»

Sakura strinse i pugni, prese un lungo respiro, poi parlò.

«Voglio discutere con te, se serve a farti capire cosa provo; voglio affrontare il domani sapendo che, qualunque cosa accada, tra noi non cambierà niente.»

Il cuore di Suo si gonfiò di gioia. Sempre così diretto, Sakura; uguale al primo giorno in cui lo aveva conosciuto, eppure totalmente diverso. Non aveva sbagliato su di lui. Sorrise, inclinando il capo di lato, e le iridi di Sakura brillarono nel buio della stanza.

«Quindi hai fatto tutta questa strada per litigare, Sakura-kun?»

Le dita di Sakura si strinsero sul colletto del changshan di Suo e, con uno strattone, lo attirarono a sé. Suo spalancò gli occhi, sorpreso, mentre Sakura lo baciava con le palpebre serrate e il volto in fiamme. Le labbra si muovevano piano su quelle di Suo, quasi avesse timore di essere respinto. Una paura infondata, non sarebbe accaduto nemmeno tra un milione di anni.

Quando si staccò, Sakura distolse lo sguardo, un po' imbronciato.

«Se avessi voluto litigare, avrei ignorato Nirei e ti avrei gonfiato di botte in mezzo alla strada» bofonchiò.

Suo sorrise, così tanto che i muscoli della faccia gli facevano male. Il cuore gli batteva fortissimo nel petto.

«Bastava dire "facciamo pace", Sakura-kun.»

Sakura, ostinato, continuò a fissare fuori, il suono dello shishi odoshi che accompagnava i loro respiri.

«E l'abbiamo fatta?» chiese, incerto.

Suo si abbassò e con una mano colpì le gambe di Sakura, sbilanciandolo, mentre l'altra corse a sostenergli la schiena. Si trovò inginocchiato sul tatami con Sakura in grembo che lo fissava, rosso in viso.

Suo si avvicinò piano al suo volto e Sakura trattenne il respiro.

«Sì, l'abbiamo fatta. Adesso, però, ho voglia di stringerti e non lasciarti più andare.»

«S-stringermi?»

«Ti desidero, Haruka-kun.»

Quella verità galleggiò tra di loro e una bolla li avvolse, annullando tutto ciò che li circondava.

«Però i tuoi...» provò Sakura, ma Suo fermò subito il suo accenno di protesta.

«Non tornerà nessuno.»

Un dato di fatto che, forse, raccontava molto di Suo, della sua famiglia, del modo in cui si relazionava col prossimo. Sakura assorbì tutto e i lineamenti si distesero in un'espressione seria, complice: nessuno meglio di lui poteva capire come ci si sentiva a convivere con la solitudine.

«Siamo io e te, Haruka-kun. Resta qui, stanotte.»

Con me, in questa casa, nella mia vita. Resta con me. Resta per me.

Le dita di Sakura sfiorarono i capelli di Suo, accarezzarono l'orecchio e scesero fino al lobo, titillando la gemma fredda che lo decorava per poi far scorrere la coda di fili dorati nel palmo. Suo non aveva mai permesso a nessuno di toccare quegli orecchini. Sakura era il primo; probabilmente, sarebbe rimasto l'unico.

«Va bene, Hayato. Resto» e il modo in cui lo disse sembrava racchiudere tutto ciò che Suo avrebbe voluto sentirgli dire.

Sakura raddrizzò la schiena, trovandosi faccia a faccia con Suo, la postura fiera e il fuoco negli occhi. Portò le mani a coppa sul suo viso e, dopo averlo guardato qualche secondo, calò le palpebre, sporgendosi in avanti.

Le labbra di Sakura erano morbide e Suo sentì la fame montargli dentro. Quel contatto non era abbastanza: voleva infilarsi tra le sue crepe, saldare i cocci, diventare tutt'uno con Sakura; sentiva il bisogno di ingabbiarlo tra le proprie braccia, mentre danzava tra le fiamme che gli bruciavano dentro.

Suo schiuse la bocca e con la lingua si fece spazio, approfondendo il bacio. A Sakura sfuggì un gemito. Fu come gettare un fiammifero sulla benzina. Le mani di Suo si intrufolarono tra i suoi capelli, li strinsero, tirando le ciocche fino a farlo ansimare e lui si approfittò di quella debolezza.

Di più. Ancora.

Sakura si aggrappò alle sue spalle, gli infilò le dita tra i capelli e aprì la bocca, la lingua che cercava frenetica quella di Suo. Era una corsa delirante fatta di respiri spezzati e carezze scomposte. I corpi sfregavano tra loro a un ritmo irregolare, gli abiti impedivano alla pelle di toccarsi, alimentando l'incendio in corso. Suo intrappolò il labbro di Sakura tra i denti e il ragazzo emise un lamento disarticolato.

«Ah...!»

Suo succhió forte mentre Sakura si contorceva dal piacere. Rilasciò la carne gonfia con un suono umido e la fronte andò a posarsi contro quella di Sakura, che aveva gli occhi ancora chiusi e il fiato corto.

«Haruka-kun...»

«Mh...?» faticò a rispondere l'altro.

Credo di essermi innamorato.

«Sei bellissimo» disse, invece. Il viso di Sakura divenne più rosso di quanto non fosse già, l'espressione imbarazzata e un po' indispettita.

«Che cazzo dici, idiota!»

Suo sorrise, le gambe di Sakura intorno ai fianchi e le sue braccia sulle spalle. Averlo addosso così gli piaceva.

Lentamente, infilò le mani sotto la felpa aperta, spingendola indietro. Sakura capì e si lasciò spogliare, sfilando poi la t-shirt bianca. Il fisico era asciutto, tonico, modellato da esercizi e risse. Aveva un paio di lividi sul braccio e Suo, d'istinto, li baciò uno per uno, come se così facendo potesse farli sparire. Sakura tremò a quel tocco, ma non obiettó. Con dita esitanti, sbottonò il changshan di seta partendo dal collo. Ogni centimetro di pelle che scopriva equivaleva a un sussulto, man mano che realizzava la portata di quel gesto. Di cosa ne sarebbe seguito. Di cosa sarebbe cambiato.

Rimasero entrambi a petto nudo, le erezioni strette nei pantaloni e il bisogno di viversi in maniera totalmente nuova.

Suo slacciò la cintura di Sakura con dita esperte mentre uno tsunami di emozioni faceva strage del suo autocontrollo, sempre più logoro. Quando il compagno fece leva sulle ginocchia, sollevandosi per permettergli di abbassare i pantaloni, il capezzolo che Suo si trovò davanti fu il colpo di grazia. Sakura non ne era consapevole ma gli aveva appena offerto un banchetto, e Suo era troppo debole per rifiutare.

Spalancò la bocca e morse.

«AH! Che fai?!» provò a divincolarsi Sakura, facendosi indietro con occhi spalancati.

Un palmo di Suo scivolò sulla sua schiena nuda, tenendolo fermo, mentre l'altro scese sull'addome piatto, fino al rigonfiamento che implorava di essere liberato. Succhió il capezzolo con vigore crescente, osservando il volto del compagno da sotto in su. Sakura stava combattendo una guerra contro sé stesso, incapace di abbandonarsi totalmente alle sensazioni che il suo corpo provava. Suo lo liberò soltanto per riappropriarsi della sua bocca e ingoiare i suoi gemiti.

«Mh...! Suo, f-fermati...» biascicò Sakura, sopraffatto. Un rivolo di saliva gli colò sul mento e Suo leccò anche quello.

«Non credo di riuscirci, Haruka-kun...» rispose, massaggiandogli l'erezione che pulsava sotto la stoffa, la guancia sul suo petto. Sakura imbronciò le labbra, scostandolo con un gesto brusco, e Suo sgranò gli occhi. Un attimo dopo si trovò mezzo nudo senza quasi saper come. Sakura gettò con stizza il changshan dall'altro lato della stanza, incrociando poi le braccia.

«Stai facendo tutto tu, mi hai preso per una cazzo di bambola?!»

Allora Suo sorrise, inclinando la testa di lato.

«Certo che no, Sakura-kun. Puoi farmi tutto ciò che vuoi» trilló, allegro. L'altro deglutì a vuoto, impreparato a tanto entusiasmo. Sakura lo squadrò, neanche dovesse montare un mobile IKEA senza istruzioni. Alla fine, dopo un'attenta riflessione, posò le mani sul torace di Suo, palpeggiandolo goffamente. A Suo sfuggì una risata e Sakura voltò il capo, risentito.

«Non prendermi in giro!»

«Sei molto tenero, Sakura-kun.»

«Tenero? IO?!» quasi urlò, il volto in fiamme e il corpo rigido come un tronco.

Suo prese le mani di Sakura tra le proprie e, lentamente, le guidó verso il basso. Sotto i pantaloni morbidi, il suo sesso era duro.

«Puoi cominciare toccando qui» suggerì Suo, la voce languida e lo sguardo torbido.

In modo un po' maldestro, Sakura scostó la stoffa scura e la virilità di Suo svettó tra di loro, umida e pronta. A giudicare dalla reazione, un serpente a sonagli lo avrebbe spaventato meno.

«Puoi toccarlo. Non morde mica.»

«Questo lo so!» sbraitò l'altro, continuando a fissarglielo.

«Fai quello che fai di solito quando sei da solo, andrà bene.»

«È che io non... lo faccio spesso...» Sakura arrossì fino alla punta delle orecchie, lo sguardo nascosto dai capelli. «Mi piace quando... quando...»

«Mh?»

«... mipiacequandomitocchitu!» sputó fuori, incassando la testa tra le spalle.

Un forte calore si irradió dal cuore di Suo e si espanse, raggiungendo ogni articolazione e giuntura. Aiutò Sakura a sistemarsi meglio sul proprio grembo e i loro sessi si sfiorarono, facendoli sussultare. Per un istante, Suo desideró togliersi la benda e mostrare a Sakura cosa nascondeva, ma non si sentiva pronto. Non ancora. Lasciò che Sakura si immergesse nell'unica iride visibile, bagnandosi di tutta la passione che riusciva a trasmettere attraverso un solo occhio.

Intrecció le dita con le sue in un incastro perfetto.

«Allora facciamolo insieme, Haruka-kun.»

Suo abbassò le loro mani, stringendo le erezioni, e Sakura strizzó le palpebre reprimendo a stento un mugolio. Le mosse su e giù, a un ritmo che permettesse a entrambi di godere. Sakura inizió a sudare, assecondando quel movimento cadenzato, ansimando ogni volta che i loro palmi toccavano la cappella, lucida di umori. Anche Suo, nonostante fosse il più composto tra i due, non era messo meglio: la voce di Sakura, i suoi gemiti erano il canto di una sirena e gli ci volle tutta la forza di volontà che gli era rimasta per non gettarsi su di lui, cedendo a quel richiamo.

«A-ah, S-Suo, fa un po' male...»

In effetti le poche gocce di liquido non bastavano a diminuire l'attrito. Si rese conto di non avere il necessario per un rapporto completo, e Suo non voleva che Sakura soffrisse. Aveva già troppi ricordi dolorosi per aggiungerne un altro.

Schiuse le labbra e lasciò che la saliva colasse, bagnando i loro sessi sensibili. Sakura fissó la scena, imbarazzato, le guance rosse e la bocca stretta in una linea. Il movimento, ora, era più scorrevole.

«Va meglio?» domandó Suo, bloccandosi l'istante dopo. La saliva di Sakura si unì alla propria e il capitano si asciugó col dorso di una mano, prima di riportarla accanto alle sue.

«Adesso sì» bofonchió, evitando di guardarlo in faccia.

Era troppo, non ce la faceva più.

Con uno slancio, Suo si impossessó della bocca di Sakura, reclamó la sua lingua, pretese ogni gemito mentre masturbava entrambi con foga, la stessa di chi era stato privato di qualcosa troppo a lungo. Il suono umidiccio di quell'atto impuro echeggiava tra le pareti, unendosi al frinire dei grilli in giardino.

I versi di Sakura, sempre più acuti, segnavano l'avvicinarsi dell'orgasmo.

«S-Suo, cazzo, io... AH! Ci sono quasi, H-Hayato, sto per...!»

Un fiotto caldo ricoprì le loro mani unite e Suo digrignó i denti, mentre il piacere lo scuoteva con la stessa violenza di un terremoto.

Restarono lì, sporchi e sudati, la pelle lucida e il fiato corto, guardandosi attraverso i ciuffi spettinati. Non ebbero bisogno di parlare.

Un abbraccio era tutto ciò che serviva.




Omurice: Il piatto è costituito da riso fritto con pollo, avvolto in uno strato sottile di uovo fritto e condito di solito con ketchup.

Taolu: È una serie di movimenti concatenati delle arti marziali cinesi, in italiano può essere reso come "forma" o "sequenza". Più specificatamente si tratta di una sequenza di tecniche prestabilite, sia di attacco che di difesa, atte a migliorare l'abilità tecnica, la coordinazione, la potenza, la velocità e la resistenza del praticante.

Genkan: È la tradizionale anticamera d'ingresso che separa l'ambiente esterno da quello interno nelle abitazioni e in alcune strutture pubbliche in Giappone.

Shoji: È un particolare tipo di porta, usato comunemente in Giappone, nelle case tradizionali o nei dojo. Realizzata in carta di riso, permette alla luce naturale di filtrare attraverso la porta, ma permette un'ottima privacy, in quanto la carta di riso non è trasparente.

Shifu: Maestro, in cinese.

Tatami: È una tradizionale pavimentazione interna giapponese composta da pannelli rettangolari modulari, costruiti con un telaio di legno o altri materiali rivestito da paglia intrecciata e pressata.

Shishi odoshi: Si compone di una canna di bamboo basculante collegata, tramite un perno, a un paletto pure di bamboo ma fissato nel terreno. Un getto costante d'acqua riempie la parte mobile, che con il peso ruota verso il basso: l'acqua accumulata al suo interno viene invece scaricata su una roccia o raccolta in un contenitore; il bamboo, inoltre, sbattendo genera un forte suono cadenzato.

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