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Sakura era abituato al dolore. Non c'era stato un solo giorno, nella sua vita, in cui non ne avesse sentito. Le percosse da parte dei genitori affidatari, da bambino, erano all'ordine del giorno, almeno finché non aveva iniziato a reagire. La violenza era l'unico modo che conosceva per comunicare: nessuno gli aveva mai insegnato altro e, a giudicare dagli sguardi di condanna e le parole di odio che aveva sempre ricevuto, dubitava sarebbe servito. Era più facile trattarlo come un mostro e per lui era più semplice comportarsi da tale, tanto che si era persino convinto di esserlo. 

I mostri non provavano altro che rabbia, per questo distruggevano ogni cosa. 

L'euforia di uno scontro, l'ebrezza della vittoria, erano le uniche sensazioni positive che sentiva. In un mondo senza un briciolo di affetto, combattere lo gratificava; lo faceva sentire vivo. 

Quello che Sakura percepiva in quel momento, però, era totalmente diverso da qualunque altra cosa avesse mai sperimentato. Non riusciva a smettere di tremare, contorcersi, sudare. Il calore era così forte che con molta probabilità si sarebbe sciolto, su quel futon. Forse sarebbe addirittura morto, tra quelle lenzuola consumate. 

Lo schiocco umido echeggiò nella stanza spoglia e Sakura si coprì gli occhi con i palmi, il volto cremisi e le ciocche argentee appiccicate alla fronte. 

«Non è da te essere così silenzioso, Sakura-kun.» 

Sakura non poteva vederlo, ma era certo che Suo stesse sorridendo. Lì dove un attimo prima c'era la sua bocca, la sua mano si muoveva su e giù scivolando sul sesso turgido. Il ventilatore nell'angolo produceva l'unico rumore al di fuori dei loro respiri - e quello di Sakura era il più affannato dei due, poco ma sicuro. Cos’era quel formicolio incessante che gli attraversava gli arti uno per uno, raccogliendosi nello stomaco? Perché il sangue gli sembrava fuoco liquido nelle vene? 

«Neanche tu stavi parlando, mi pare…» grugnì, cercando di camuffare la voce un po’ troppo tremula per i suoi gusti. 

«Avevo la bocca piena» trillò Suo, allegro, e i suoi orecchini di seta gli solleticarono le cosce. Sakura, imbarazzato, si morse il labbro con forza. 

«Ti sembra una cosa da dire?!» 

«Preferisci che stia zitto, Sakura-kun?» 

«Sì, accidenti!» 

«Va bene» rispose Suo, col solito tono sereno che lo caratterizzava. Un attimo dopo, la sua bocca bollente gli avvolse nuovamente il sesso e a Sakura sfuggì un singulto. 

Sentiva il volto in fiamme, la pelle così sensibile da poter distinguere ogni singola goccia di sudore che scivolava verso il basso. La maglietta, sollevata all'altezza del petto, si poteva strizzare tanto era bagnata. 

La lingua di Suo gli accarezzò la fessura e Sakura si tappò la bocca, provando a ingabbiare il verso imbarazzante che voleva uscire con prepotenza. Suo ridacchiò e quel verso di gola si riverberò lungo l’erezione, facendogli arricciare le dita dei piedi. Sakura sollevò la testa quel tanto che bastava per osservare Suo, il cuore che batteva come impazzito e il sangue che gli rimbombava nelle orecchie. 

I capelli di Suo ricadevano ordinatamente sulla fronte liscia, nascondendogli lo sguardo. La cosa infastidì Sakura. Voleva guardarlo negli occhi, o perlomeno quello non coperto dalla benda. Chissà cosa celava, sotto… Non si sentiva autorizzato a fargli una domanda tanto personale, nonostante ciò che stavano facendo in quel preciso momento fosse piuttosto... intimo. Insomma, Suo non sembrava uno che lo succhiava a chiunque e Sakura di certo non si calava le mutande col primo tizio di passaggio. A stento si era mai toccato da solo… Cristo, fino a qualche mese prima quasi non sapeva che farsene, del pisello, e adesso Suo glielo stava leccando come una cazzo di caramella! Sì, ci sarebbe morto in quel futon

La lingua di Suo era umida e morbida, simile al velluto: gli accarezzò l'asta, dalla base fino in cima, un movimento lento che diede a Sakura le vertigini e lo costrinse ad artigliare le lenzuola, alla ricerca di un sostegno. Bastarono un paio di lappate e un movimento deciso del polso affinché il piacere esplodesse incontrollato, lasciando Sakura in preda agli spasmi mentre si riversava nella bocca di Suo. Il compagno non si mosse, accogliendolo, proprio come la prima volta. 

Sakura si issò sui gomiti mentre Suo, ingoiato il frutto del suo godimento, gli baciava la cappella con delicatezza. Quel gesto gli contorse lo stomaco. Allungò una mano senza riflettere e con le dita scostò il ciuffo dal volto di Suo, scoprendo l'occhio sinistro. L’iride color rubino, illuminata di stupore, trovò i suoi occhi in cerca di una risposta. 

Sakura non ebbe nemmeno bisogno di pensare. 

«Voglio guardarti» mormorò, le guance che scottavano e le costole che facevano fatica nel tenere il cuore al proprio posto. 

Suo lo baciò di nuovo - una, due, tre volte -, massaggiando il sesso ormai spento senza distogliere lo sguardo da quello di Sakura. 

«Ti basta questo, Sakura-kun? Non vuoi altro?» chiese, la voce meno gioviale del solito. Era… torbida, una pozza scura impossibile da sondare. 

«In che senso?» chiese, e alcuni capelli sfuggirono alla sua presa fattasi incerta.

Suo lo fissò per dei secondi che parvero interminabili, completamente immobile. 

«Io ti guardo, Sakura-kun. Credo di non aver fatto altro dal giorno in cui sei entrato in classe, dicendo di voler diventare il numero uno.»

«Ero figo, eh?» sogghignò e Suo rise, coprendosi la bocca col dorso della mano libera. 

«Non avrei puntato su di te un solo centesimo, se vuoi saperlo.» 

«Ehi!» sbraitò Sakura, offeso, ma Suo non aveva ancora finito. 

«Guardarti, però, non mi basta più… Voglio farti cose ben più sconce di questa» sussurrò, roco, sfiorandogli il pube con la guancia. 

C'era una luce perversa nello sguardo di Suo, una promessa languida e tentatrice. Sakura avrebbe dovuto temerla, ma per qualche motivo non ne aveva paura. 

«Che tipo di… cose?» domandò, titubante. Le labbra di Suo si curvarono in un sorriso pericoloso.

«Cose che ti farebbero contorcere tra le mie braccia, godere con le mie dita e urlare per il piacere.» 

Sakura deglutì a vuoto, intimorito e anche un po’ contrariato dal suo “bagaglio culturale”. 

«E come sai tutte queste cose?» 

Suo inclinò la testa di lato, la solita allegria nella voce. 

«Mi piace studiare.» 

Sakura si fece paonazzo. «Non è il genere di cose che si studia, questo!» 

«Perché no?» 

«Perché… Perché…» provò a ribattere, ma non gli venne in mente nessuna ragione plausibile.

Suo gli accarezzò l'interno coscia e un brivido risalì lungo la spina dorsale di Sakura, prigioniero del proprio corpo che non voleva saperne di rispondere alla ragione e assecondava, invece, un'altra parte piuttosto interessata…

«Vorrei tanto fare con te quelle cose, Sakura-kun.» 

«Non voglio essere la tua cavia!» 

«Non ho mai detto di non aver fatto pratica» affermò Suo, tranquillo. La delusione che investì Sakura gli tolse il respiro peggio di un pugno in pieno stomaco. 

Girò la faccia e mise il broncio, indispettito. «Allora puoi anche tornare dove–» 

«Non ho nemmeno detto di averla fatta» gongolò Suo, sorridente, e Sakura provò il forte desiderio di strozzarlo a mani nude, avvolgerlo nel futon e disfarsi del suo cadavere. 

«Quale delle due, brutto bastardo?!» 

Suo gattonò su di lui, posando i palmi ai lati della sua testa, e Sakura istintivamente affondò nel cuscino. Quella posizione sottomessa fece suonare tutti i campanelli d'allarme possibili e immaginabili all'interno del suo cervello in avaria. Le mani si chiusero veloci in due pugni sul changshan mezzo sbottonato di Suo, stringendo la seta con forza, pronto a contrattaccare. 

Suo però era rilassato, i suoi muscoli distesi e l'espressione illeggibile. Non c'era aggressività nel suo sguardo e Sakura si sentì colpevole. Insignificante. Indegno.

«È davvero così importante?» gli chiese, calmo. «Tu mi piaci, Haruka-kun. Faccio sul serio con te.» 

Si sarebbe mai abituato a sentir pronunciare il suo nome? Avrebbe sempre avuto quel suono, oppure era Suo a renderlo speciale? 

«Io… Suo, io-» balbettò, le ginocchia molli e gli occhi lucidi. 

Ho paura, Suo. Di me, di te, di noi. 

Ho paura di fidarmi. Ho paura di deluderti. Ho paura di essere ferito. 

Posso sopportare calci, pugni, schiaffi… Ma non posso sopportare il tuo disprezzo. 

«Lo so, Haruka-kun. Ma credimi se ti dico che sei speciale. Sei un bocciolo di ciliegio sopravvissuto all'inverno, e io non vedo l'ora che giunga la primavera per vederti fiorire.» 

Una goccia scivolò dal viso di Sakura fino all'orecchio, lasciando una scia umida sulla pelle. Era sudore? E perché Suo lo guardava in quel modo? Provava pietà per un essere abietto come lui? Compassione? Quale sentimento nascondeva il suo sguardo? 

«Non volevo farti piangere, Haruka-kun.» 

«Non sto piangendo.» 

Suo sollevò una mano e Sakura provò a indietreggiare ancora perché poteva incassare un colpo, ma quello… Quello era… 

Il pollice di Suo corse ad asciugargli la lacrima che, traditrice, aveva abbandonato quei suoi occhi maledetti dal destino. Suo sospirò, un sorriso appena accennato sulle labbra rosse e gonfie, e Sakura sentì una stretta al cuore. 

«Tu mi confondi» mormorò, un sussurro appena udibile che trascinava con sé la potenza di un terremoto, lo stesso che minava tutto ciò che Sakura era sempre stato. 

«È un complimento, Haruka-kun?» Suo sorrise e gli orecchini ondeggiarono, seguendo il movimento del suo volto; lo incorniciavano in maniera perfetta, sposando le linee del suo viso e il suo incarnato. 

Per una volta, una soltanto, Sakura non volle sforzarsi di apparire ma si concentrò su cosa voleva sentire: desiderava il calore di Suo, dentro e fuori, le sue carezze e i suoi sorrisi, in un modo che non credeva concepibile e invece era fin troppo reale. 

Le dita lasciarono la stoffa del changshan e, lentamente, si posarono sul volto di Suo. La sua pelle, a contatto con la propria, era liscia e fresca e il vice capitano inclinò appena il volto, alla ricerca di maggior contatto. 

«Quando siamo…» Sakura deglutì a vuoto, cercando la risoluzione necessaria per proseguire. «Quando siamo insieme, provo sensazioni che non ho mai provato prima.» 

Suo gli baciò il palmo, guardandolo negli occhi. Chissà cosa vedeva, in quelle iridi dai colori opposti. 

«Ed è un male?» 

«Non lo so…»

«Anche io provo sensazioni che non ho mai provato prima, Haruka-kun.» 

Si osservarono a lungo, respirando piano per non infrangere quel momento. 

«Credo che tu mi piaccia… Hayato.»

Nell'udire quelle parole, lo stupore illuminò il volto di Suo e questo fece sentire Sakura in imbarazzo. Il Capitano allungò le braccia e lo attirò goffamente a sé, facendolo sprofondare nell'incavo del suo collo. La risata di Suo gli solleticò l'orecchio e Sakura si ritrovò a sorridere, gli occhi rivolti al soffitto e la mente affollata da mille pensieri. 

Erano tante le emozioni che non capiva ma, con Suo al proprio fianco, Sakura era certo che la primavera non fosse così lontana. 

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