Prologo

PASSATO

Sono a letto, con la testa sotto le lenzuola mentre il cuore mi batte forte.

Gli uomini con il camice bianco sono entrati nella mia stanza e io, faccio finta di dormire.

Vengono a trovarmi quasi tutti i giorni per farmi dei prelievi. Odio la sensazione di quel maledetto ago che mi entra nel braccio.

Uno di loro mi toglie con la forza le lenzuola di dosso e io scatto a sedere con la schiena appoggiata alla spalliera del letto. Mi abbraccio le ginocchia e li guardo intimorita.

«è l'ora del prelievo» dice, prendendomi da un braccio e facendomi scendere dal letto con forza.

Io, non mi lamento. Come sempre. Anche se dentro di me sto urlando.

Mi siedo sul solito sgabello e mi guardo le braccia. Sono martoriate dai buchetti degli aghi. Scelgo quello sinistro perché è messo meno male e lo appoggio sul logoro tavolino che c'è nella mia stanza.

L'uomo di fronte a me mi guarda con una strana espressione in viso, come se si dispiacesse per me.

E' sempre stato più gentile dell'altro.

Il mio stomaco emette un rumore. Ho molta fame. L' ultima volta che ho mangiato è stato due giorni fa. Credo.

Ormai ho perso la cognizione di tutto. Del tempo, soprattutto. Non ricordo nemmeno più il mio nome.

Non ricordo nemmeno se ce l'ho mai avuto un nome.

«stai tranquilla piccola. Lo sai che ti spetta la cioccolata dopo il prelievo» dice l'uomo di fronte a me, quello più gentile.

«non darle troppa confidenza!» esclama l'altro alle mie spalle.

L'uomo più gentile mi stringe delicatamente il laccio emostatico intorno al braccio.

Io, giro la testa perché non mi piace la vista del sangue. Mi da una sensazione di nausea, soprattutto se sono a stomaco vuoto.

Sento la morbidezza del cotone bagnato con quello strano liquido sulla pelle del braccio. L'odore forte mi invade le narici facendomi venire i conati di vomito.

«se vomiti pulirai tu, piccola streghetta» sento dire alle mie spalle «ti faccio lucidare il pavimento con la lingua»

Dopo pochi istanti, sento l'ago entrare nel braccio.

«sei stata brava come sempre» dice l'uomo gentile, dandomi del cotone da premere sul foro appena aperto.

Prima di andarsene, mi da la mia barretta al cioccolato ma, l'altro uomo me la toglie subito dalle mani.

«cosa fai?! Restituiscile immediatamente la cioccolata»

Lo guardo in silenzio mentre la spoglia della carta e le tira un morso per farmi dispetto.

Poi me la porge.

«ecco. Ora e tua»

La prendo e la tengo stretta tra le mani fino a che non vanno via. Appena chiudono la porta inizio a divorarla. Ha un sapore così buono che vorrei non finisse mai.

Quando l'ho mangiata tutta, vado vicino al lavandino e mi lavo i denti. Mi hanno detto di farlo sempre dopo i pasti. Non so a cosa serva ma mi fa sentire meglio. Anche fare la doccia mi fa sentire meglio, però posso farla solo due volte a settimana.

Mi sento un po' più in forze, ora che ho ingerito zuccheri.

Raccolgo la carta da terra e mi sdraio sul letto. La tengo vicino al naso per poter sentire ancora l'odore della cioccolata e mi addormento così.

*****

Dopo non so quanti giorni. Gli uomini del prelievo vengono a dirmi che devo trasferirmi in un'altra stanza e che da oggi in poi avrei avuto compagnia.

Uno dei due mi strattona facendomi cadere a terra e io mi rialzo senza battere ciglio.

«ma perché non la lasci in pace?» chiede l'uomo gentile.

«voglio avere una sua reazione, cazzo!» esclama l'altro «non ci credo che è figlia di quell'uomo. Un uomo che tutti temono non può aver generato una pappa molla come questa» dice, spingendomi di nuovo a terra.

Ma, io non capisco di cosa stia parlando.

«basta! Hai già detto abbastanza» fa' l'altro, porgendomi la mano per aiutarmi a rialzarmi ma, io mi rialzo da sola.

«che cosa è una figlia?» chiedo.

L'uomo cattivo, si mette a ridere mentre l'altro mi guarda con compassione.

«andiamo» mi ordina e io, riprendo a seguirli.

Arriviamo in una stanza con la porta identica alla mia. Grande e con un'apertura dove poter infilare il piatto con il cibo.

Cibo. Appena ci penso mi brontola lo stomaco.

L' uomo gentile, prende le chiavi dalla sua tasca, ne sceglie una e la infila nella serratura. Quando apre scorgo la figura di due bambini, forse più grandi di me, abbracciati uno all'altro che ci guardano con terrore. Io, invece sono curiosa.

L'uomo cattivo mi spinge dentro la stanza e mi dice che da oggi, sarei stata qui con i nuovi arrivati. Sento sbattere forte la porta alle mie spalle senza battere ciglio a differenza degli altri due che sussultano. Sento il rumore della chiave che gira nella serratura.

Continuo a fissarli curiosa. Sono un bambino e una bambina. Il maschio ha i capelli diversi dalla femmina però, nei lineamenti scorgo qualcosa di somigliante fra i due.

Mi guardano impauriti.

«tu, chi sei?» chiede il bambino. Fa' per staccarsi dall'altra che non vuole mollarlo. Lo tira dal braccio ma, lui le accarezza la testa e lei lo lascia andare anche se dal suo sguardo, capisco che non vorrebbe che si allontanasse da lei. Così, si alza e lo segue.

Si avvicinano entrambi a me. Lei, resta dietro di lui sporgendo solo la testa da dietro la spalla del bambino per osservarmi.

Hanno entrambi occhi grandi e luminosi ma, il bambino li ha più belli. Lo guardo negli occhi incantata. Non mi ricordo di aver visto mai qualcosa di così incantevole.

«io sono Pietro mentre lei è Wanda. E tu come ti chiami?» chiede il bambino con gli occhi belli. Non so di che colore fossero perché nella cella, mai nessuno mi ha insegnato i nomi dei colori.

«io, non ho un nome» ammetto, vergognandomi un po'.

«davvero?»

Annuisco leggermente.

«allora da oggi ti chiamerai Nina. Ti piace?»

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