Capitolo 7: Di rabbia
L'estate a Napoli è torrida, talmente afosa che vegetare sul divano è l'unica cosa possibile da fare, sebbene si sudi lo stesso. Il vento sferza pigramente fra le fronde degli alberi, quindi per lui, che abita sull'ermo colle del Vomero, è quasi una benedizione rispetto al centro urbano, per quanto i venti minuti in salita che distanziano il cuore della città dal suo quartiere siano atroci alla stregua di una croce legata alle spalle. Luglio è tremendo quell'anno, si prevede l'estate più rovente nell'arco degli ultimi decenni, ed è fermamente sicuro di non essere in grado di sopravvivere alla stagione.
O meglio, l'unica fase della giornata in cui ha la possibilità di uscire di casa è la sera, ed è in assoluto il momento che ama di più. L'umidità cala, la coercizione asfissiante della cappa si attenua notevolmente, e la città si accende come una lampadina, tutto diventa una festa.
È meno spossata Napoli, quando cala la notte, si stiracchia le zampe intorpidite dalla calura giornaliera, e la zingara gatta nera si addentra nei vicoli freschi grazie alle giallognole pareti di tufo. È più bella quando diventa accondiscendente e godibile per tutti, quando i ragazzi animano le strade, fanno chiasso ma a nessuno interessa, neppure agli abitanti dei palazzi. Perché è estate, e tutto è concesso: la musica pompa più forte dalle casse dei locali, formicai di giovani occupano Chiaia, San Pasquale, Mergellina e ogni anfratto della metropoli.
È incredibile, la Napoli notturna, e lui ama ogni aspetto di quella scugnizza. Lei vive davvero, senza paura, fino a perdere la voce e avere i capelli arruffati. Ecco perché la ama tanto, ma il pomeriggio... il pomeriggio no, soprattutto quando si esce di casa in un modo, e si rientra con i capelli impiastricciati di sudore, la maglietta a chiazze ed un caldo irritante fra le cosce.
Ed è per questo motivo che è rimasto sdraiato in modo scomposto sul divano, per quanto il fatto che sia di pelle non giovi a suo favore. Il balcone è spalancato, e l'aria dolce di resina gonfia le tende sottili e dorate, gli riempie i polmoni e respira appieno quella fragranza.
Profumo di casa, dice fra sé, mentre la mente gli restituisce l'immagine dell'edera aggrappata dispettosa ai palazzi, permeando il vento di quella nota acidula che tanto adora.
È rinfrescante, nonostante il puzzo pungente di nave subentri prepotentemente in quell'odore, anche se il suo appartamento è ben lontano dal porto, collocato esattamente sull'altro versante della città. Ma il vento ricorda a tutti gli abitanti che il mare li aspetta, in estate come in inverno, che sia un viaggio o soltanto un tuffo alla Gaiola, alle Rocce Verdi, oppure allo Scoglione. Ogni stagione è adatta per recarsi sugli scogli bianchi della riviera, per contemplarlo anche quando fa freddo, ed il tenue scrosciare della risacca risuona nel petto e non ti abbandona mai.
Che bella, la sua Napoli.
Però quel pomeriggio, col ventilatore puntato addosso ed il corpo che è ad un passo dall'emettere fumo dai pori, non proprio.
Clicca l'icona del microfono su What's App e, mentre un cipiglio si fa spazio sulla sua fronte imperlata di sudore, grugna un –Certo che Tokyo è proprio un'ebefrenica, per non parlare di Rio. Anche se lui mi fa più pena.- e stacca.
Di contro, Mikasa registra un audio di quarantacinque secondi, in cui grida – letteralmente – quanto siano insopportabili, per quanto l'attrice sia l'emblema della bellezza nuda e lui incredibilmente attraente.
"Non dirlo a Jean, che mi sembra piuttosto lontano dall'essere palestrato come Rio", risponde Armin ridendo, aggiungendo un'emoticon con la linguaccia.
"E per grazia divina! Rio è un cucciolo disperso e disorientato nella vita, almeno Jean sa come stare al mondo, più o meno", una frase a cui fa seguito un "Hey!", probabilmente del diretto interessato che sta guardando l'ultima stagione de La casa di carta nell'appartamento degli Ackerman.
Ridacchia giulivo, prima di cliccare nuovamente l'icona del microfono e dire –Jean, non ti offendere dai, conosco dei buoni steroidi se ti dovessero- ma le parole gli muoiono sulle labbra quando il trillo del campanello lo interrompe, portandolo a sedersi e a eliminare la registrazione, per poi gettare il cellulare alla rinfusa sul divano.
Un capogiro lo coglie appena si alza, stelle bianche gli offuscano la vista finché, dopo aver trovato sostegno come un ubriaco alla testata della poltrona, si dirige claudicante verso la porta d'ingresso del salotto. Il pomello freddo è estremamente piacevole contro la sua pelle umidiccia e accaldata, ma il sollievo dura un battito di ciglia perché, non appena apre la apre, la figura ansante di Levi con un casco nero in mano gli si staglia davanti, e prega che lo sbalordimento non sia così tanto lampante sul suo volto.
Ma è difficile scendere a compromessi con le sue emozioni, quando si tratta di Levi Ackerman, soprattutto quando lo osserva famelico a quel modo, tracciandogli con gli occhi taglienti i pettorali nudi. Annulla la distanza e getta il casco a terra, chinandosi quel tanto per caricarlo di peso mentre gli artiglia le cosce, Eren che lo sovrasta in altezza ed incrocia i polpacci dietro i suoi fianchi, la porta che sbatte violentemente.
Si baciano di fretta, per quanto la pelle di Levi sia scivolosa per il sudore ed i denti scontrino di continuo per l'enfasi, ma ad Eren non interessa.
Il desiderio è così brutale mentre il ragazzo percorre ad ampie falcate il corridoio in ombra, accostandosi di tanto alla parete per far strofinare le patte tese dei loro pantaloni, che non ha neppure la forza necessaria per poter formulare un pensiero corretto. Gli tira il labbro inferiore con i denti e Levi ansima pesantemente sulla sua bocca, per poi lasciarlo cadere sul materasso e spogliarsi della t-shirt bordaux.
-E le scarpe di Jean?- chiede il castano, per quanto non gli interessi neppure un fico secco di che diamine di fine abbiano fatto quelle maledette scarpe.
Si mette a sedere per afferrargli i fianchi e vezzeggiargli in baci umidi e voraci l'addome, inspirando forte l'odore della sua pelle, mentre gli slaccia frettolosamente i jeans bianchi e glieli strattona insieme ai boxer. Le pupille gli si dilatano a quella vista, e si avventa con la lingua sull'erezione turgida, i movimenti lenti e calcolati accompagnati appena dalla mano di Levi affondata della zazzera nocciola.
-L'ho convinto a prendere delle fottute Vans classiche, così che farà sicuramente colpo su Mikasa. Ora dovrebbe già stare da lei a sfoggiarle.- dice, sciorinando un sorrisetto di scherno, ora le iridi metalliche fuse con le sue accese di iniziativa.
Gli restituisce la stessa espressione, una fragorosa risata che gli scuote le spalle. -E tu invece? Che ci fai qui?- domanda retorico, massaggiando piano con le dita i testicoli soffici, lasciandogli un sentiero di morsi sul ventre. -Avevamo forse qualcosa in sospeso?- sussurra mellifluo, compiendo un paio di rotazioni sul glande con la punta della lingua.
Lo sente, il respiro di Levi mozzarsi a quelle attenzioni, ma ogni volontà viene spazzata via quando le dita, dapprima intrecciate coi suoi capelli, gli artigliano una spalla e lo trascinano sul letto, coinvolgendolo subitamente in un rinnovato bacio, 'sta volta più placido rispetto ai precedenti. Un bacio che lo disorienta, ma niente a confronto con ciò che la bocca tumida di Levi formula ad alta voce, incatenando le loro pupille.
-Anche, ma soprattutto perché stamattina stavi di merda, ed è da una settimana che non ci vediamo.-
È quella frase, a rovinare tutto. Per quanto l'eccitazione gli stia galoppando feroce nel sangue, la voglia di fare sesso con Levi viene spenta come la testa di un fiammifero da quella blanda lucidità che ancora gli resta. Perché sa, che si stanno aggrappando entrambi a qualcosa che vada oltre il mero scopo egoistico di appagare i propri istinti, ma quella corda non ha vita lunga. Si sta spezzando, è logora e sfilacciata, ed Eren vorrebbe avvisarlo della caduta che seguirà quell'ennesimo incontro.
Ma è fatta di nostalgia - sempre quella maledetta e onnipresente biscia velenosa -, quella corda maledetta a cui entrambi si stanno tenendo, ed è per colpa sua se Eren non è ancora in grado di dire "No, aspetta, aspetta". È questa la ragione per la quale si infiamma di collera, un'ira intossicante che nulla ha a che fare con Levi, ma che proprio non riesce ad evitare di riservargli. Così ribalta le posizioni e gli stringe la vita fra le ginocchia, sollevando il bacino quanto basta per abbassarsi il bermuda della tuta con l'intimo, iniziando ad ancheggiare per percepire l'erezione di Levi tendersi all'inverosimile fra le sue natiche. -Non dire stronzate.- sono ferali le sue parole, le iridi cerulee sono incendiate di riluttanza dinnanzi a ciò che Levi vorrebbe offrirgli, ma che non vuole accettare a nessun costo.
Va oltre, va tutto oltre, è tutto tremendamente fuori pista rispetto al suo progetto originario che vorrebbe urlare, e poi piangergli addosso come il misero che è. Vorrebbe dirgli che lo desidera così intensamente che gli duole lo stomaco all'idea di perderlo, ma che il terrore di guastare tutto come è accaduto in passato è arrogante e prepotente, quando gli dà da pensare nel cuore della notte. Che non gli piace neanche più vagare per Napoli a tarda sera, perché i suoi pensieri galoppano troppo lontano da dove vorrebbe dirigerli lui stesso. Che non è sicuro di saper propriamente amare, se anche la relazione intrattenuta l'anno addietro è risultata incredibilmente fallimentare. E che si freghino, tutti coloro che gli hanno detto che non sia stata colpa sua, perché che diamine ne sa lui, di amore?
-Mi vuoi anche togliere il diritto di dire la verità?- ringhia cupo Levi, afferrandogli gli avambracci e capovolgendo ancora una volta le posizioni, due bestie che hanno ingaggiato una lotta fino all'ultimo respiro. Gli morde un fianco che lo fa mugolare di piacere, fino a calarsi all'altezza della sua apertura, distanziando le natiche quanto basta per avervi libero accesso con la lingua.
Eren sgrana gli occhi, vittima della lussuria più spietata, mentre va incontro a quella lingua spingendosi verso di essa, per quanto ciò che più teme continui a bussare all'entrata della sua mente, rapinandolo di un piacere che gli spetta di diritto. -Perché, di quale altro ti avrei privato?-
E lo sa, miscredente dei sentimenti più genuini, a che cosa si stia riferendo, ed è per quella stessa artificiosa ottusità che Levi non gli risponde, mentre si solleva per poggiare il podice sui talloni. Lo guarda furioso, occhi che fanno razzia di tutto, dichiarano guerra ed Eren non alza la bandiera bianca, ma si prepara a sua volta. È la fine, lo sente: tutto si concluderà in quella giornata iniziata con tante promesse, e terminata così brutalmente.
Si cosparge il sesso di lubrificante e lo penetra veloce, ed Eren, dal canto suo, se lo tira addosso e gli morde le labbra, gli graffia le spalle, mentre Levi si spinge con ritmo secco e concitato fra le sue pareti, mugugnando e ansimando sul suo volto, mentre quel risentimento che gli lampeggia negli occhi non vacilla neppure per un singolo istante. Entrambi desiderano che non finisca mai, perché sanno, che sarà l'ultima volta, eppure il catastrofico sollievo che ne seguirà sarà catartico. Anche di questo, ne sono sicuri.
Eren geme ad alta voce con la bocca spalancata, gli occhi gli si gonfiano di lacrime, piange di piacere come non ha fatto mai, mentre si aggrappa a lui con tutte le sue forze, lo attorciglia come un boa fa con la sua preda. Lo annienta, nella carne e nell'animo, come quell'orgasmo taciuto che coinvolge e sconquassa i loro corpi. È incredibile, per quanto sia silenzioso, entrambi nolenti di rendere il partner partecipe di un piacere che li ha visti protagonisti.
La guerra è finita, ci sono macerie di ricordi, brandelli di sogni e sentimenti che imbrattano il campo, Levi piange in cuor suo mentre si sfila dal suo corpo, ed Eren fissa il cielo, oltre la finestra. Si sono arresi, non c'è vincitore, se non Paura, mentre Nostalgia ha esalato l'ultimo respiro.
Adesso ella infesta anche il petto di Levi, mentre si reca in bagno per gettare il preservativo nel cestino e sciacquarsi, ed Eren lo comprende non appena il ragazzo ritorna e non ha neppure il coraggio di guardarlo in volto. Si riveste velocemente per scappare lontano da lui, per la seconda volta. Ora ci sono troppi passi a distanziarli, e poca voglia di stare insieme. Dura una manciata di secondi, il silenzio che segue la sua preparazione, Levi sul ciglio della porta ed Eren rannicchiato nell'angolo del letto sfatto.
-Non sei cambiato affatto.-
Eccola, Paura trionfa e regge con le mani le teste di entrambi.
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