Capitolo 1: Del passato
-Oggi pago io.-
-Il lavoro ti sta dando alla testa, Mika, smettila di pagare o ti ritroverai senza un soldo in tasca.- la redarguisce Eren, prendendo posto al solito tavolo collocato fuori al locale Cantine sociali, ammassato insieme agli altri su una pedana di legno, il gazebo bianco sopra le loro teste, mentre le luci soffuse tinteggiano di un giallo pallido i loro volti.
-Ha ragione Eren. Mika, faccio io.- interviene prontamente Armin, facendo per alzarsi dallo sgabello consumato sul quale è seduto; ma ecco che Eren solleva gli occhi al cielo spazientito, dirigendosi ingalluzzito nel locale a grandi falcate.
Quando si trova al bancone, lancia uno sguardo ai suoi due amici che lo osservano sbalorditi e scrolla le spalle divertito, prima di appoggiare gli avambracci sul ripiano di marmo bianco ed ordinare rispettivamente tre calici del vino più economico che offra la casa. Perché va bene che vuole compiere un atto di altruismo, ma quei venti euro che si porta dietro sono gli unici che possiede per poter pagare, e la sua generosità finirebbe nel tubo dello scarico se alla fine chiedesse ai suoi amici un extra per completare il pagamento. Così va sul sicuro e quando il barman, un biondone dallo sguardo sottile ed un ambiguo sorriso derisorio sulle labbra, gli fornisce il secchiello con ghiaccio ed un vino etichettato "Pinot nero" - senza tralasciare lo scontrino fresco di stampa – si dirige a passo di marcia verso i due, mentre litiga con se stesso perché Diciassette euro e novanta un cazzo, e menomale che era economico!
E proprio mentre insulta con taciti improperi il barman, una mano sulla spalla distoglie la sua attenzione, e la cosa non fa altro che incrementare il suo nervosismo, visto che vorrebbe essere lasciato in pace per trovare le bestemmie migliori del suo repertorio. Ma è l'espressione sbigottita dei suoi amici ed ex-compagni di università, a distorcergli i lineamenti in un cipiglio impensierito; quando si volta, dà ragione al loro sbalordimento, perché proprio non può fermarsi dall'emulare la stessa espressione.
-Eren? Che ci fai qui?-
-Che ci fai tu qui, piuttosto.- sembra quasi un'accusa, ma non lo è. Forse. Meglio dire che si tratti di confusione, miscelata con una buona dose di sorpresa, ecco. Solo questo, solo questo giuro, promette, riappacificandosi con se stesso per far fronte comune, sciorinando un sorriso stupefatto.
L'interlocutore si passa una mano sulla nuca, lo sguardo che rimbalza sulle sue scarpe, poi su un punto indefinito dietro di loro, prima di posarsi nuovamente sui suoi occhi, le ciocche d'inchiostro che oscillano mentre tende le labbra in un sorriso imbarazzato. -Mi sono laureato e sono tornato qui.-
Per quanto si stia sforzando, Eren proprio non riesce a mascherare l'entusiasmo, sebbene venga subito taciuto da un'emozione peggiore, più forte e autoritaria: nostalgia.
E mentre lo guarda i ricordi emergono, e lui davvero non vuole ricordare.
Non ha voglia di pensare a quando, sei anni prima, hanno avuto la loro prima, inestimabile relazione, a cui lui stesso ha posto fine nel modo peggiore, gettando al vento i momenti migliori del loro rapporto. E per quanto Eren continui a ripetersi da quel momento che erano soltanto dei sedicenni che non ne sapevano nulla di amore, che non ne conoscevano gli strumenti e le armi – soprattutto quelle -, comunque il fantasma di quella relazione ha sempre aleggiato su di lui, quando era il momento di affrontare un nuovo rapporto.
Perché la paura di distruggere con le proprie mani una persona, proprio come era accaduto con Levi, non l'avrebbe mai dimenticata, neppure quando l'analista da cui è in terapia da un anno gli ha detto, ribadito sino alla nausea che in quello studio che puzza di stantio, di libri vecchi e ingialliti che ogni tanto gli presta, Eren è maturato ed è diventato uomo. Sono cambiate tante cose da quando ha capito il motivo di così tanti atteggiamenti, fino a sradicare quella rabbia cieca che l'ha allattato fin da bambino, e che è riuscito a mitigare col passare degli anni.
"Sei sempre sulla difensiva, Eren. Perché tu hai la sindrome della presa in giro: appena credi che qualcuno ti voglia ferire, ti arrabbi. E sai qual è il risultato? Che risulti antipatico, e guasti la meravigliosa persona che sei." Quelle parole erano state marchio incandescente sulla pelle tenera del suo cuore, e così il pentimento, già di per sé esistente, era aumentato esponenzialmente al ricordo di tutte le accuse, delle grida che aveva rivolto a Levi. E se aveva avuto paura di essere lasciato, alla fine c'era riuscito davvero, o meglio, Levi era arrivato ad un punto tale che non era stato più in grado di amarlo come all'inizio, ed Eren aveva soltanto sancito la fine di quella relazione.
Ed ora è davanti a lui, e ci sono troppi pensieri e ricordi nella sua testa per mettere in ordine.
-Oh,- esita, perché Levi porta il volto del fallimento che Eren è stato da ragazzino. -ne sono contento.- conclude poi. -Anche io mi sono laureato a marzo, ora mi sto prendendo un momento di pausa, prima di mandare curriculum a destra e a manca.-
-Concordo.- sorride affabilmente Levi. -Sto facendo lo stesso. E poi,- si guarda intorno, ed Eren riconosce quella stessa nostalgia che sta provando lui, brillare nelle iridi chiare del ragazzo. -diciamo che mi è mancato tutto questo. O meglio, al momento mi sento così, poi non so.- scherza divertito, coinvolgendo anche Eren in una bassa risata, rilassandosi lentamente mentre riacquistano confidenza.
-Ti assicuro che può solo peggiorare, a casa di nuovo con i tuoi.- ride allegro, spensierato come non è mai stato quando si fidanzarono da sedicenni.
Levi è bello, più bello di allora, assolutamente affascinante, con la t-shirt nera che gli fascia il busto tonico, la giacca di jeans chiara abbinata ai pantaloni tagliati sulle ginocchia, sneakers nere ai piedi. La mascella si è indurita con la crescita, le spalle si sono fatte più larghe e robuste, e giurerebbe che si sia allenato nel corso degli anni per guadagnare un fisico del genere, sebbene di costituzione sia sempre stato asciutto.
-È incredibile, Eren, non basta avere ventidue anni ed essere laureati, per essere liberi dalla smania dei genitori di trattare i figli come bambini, soprattutto ora che sono tornato dopo tre anni.- snuda i denti, e gli occhi di Eren vengono calamitati da quella bocca che ha formulato il suo nome con quella spontaneità perduta tempo prima.
Quella che lui ha distrutto, depredando Levi di tutto l'amore che aveva coltivato nei suoi confronti. Ma non gli manca nulla di quel rapporto, solo parlare con lui, capirsi, come nessuno, prima e dopo di Levi, è riuscito a fare. Neppure quel ragazzo di cui si è innamorato l'anno addietro, e che dopo qualche mese l'ha annichilito per un tradimento inaspettato.
Che bastarda carogna, la nostalgia, perché Eren lo sa, che è per colpa sua che gli domanda di sedersi al loro tavolo, e Levi, dopo aver sollevato la mano verso un gruppetto di amici poco lontano, per assicurar loro che si sarebbe trattenuto in sua compagnia, accetta volentieri, salutando Armin e Mikasa affabilmente, sebbene traspaia dal suo viso un certo imbarazzo. I due gli rivolgono occhiate confuse, e l'istante seguente Armin ammicca nella direzione di Levi, guadagnandosi un calcio sotto il tavolo da Mikasa, che lo fulmina seduta stante.
Ben presto, si vengono a creare discorsi scissi fra i quattro giovani, divisi dalla voglia dei due ragazzi di recuperare il tempo perduto, senza alcuno scopo preciso verso il quale virare. Si lasciano trascinare da risa e rivelazioni su qualche accadimento degli ultimi anni, come ad esempio il fatto che Levi abbia acquistato un cane quando era fuori città, e che, quando l'ha portato con sé nella sua vecchia dimora, Kuchel, ignara di tutto, ha minacciato di cacciarli entrambi.
-E poi?-
-E poi guarda qui.- e gli mostra il video di Kuchel che gioca col cane, lanciandogli una pallina da tennis insalivata, senza risparmiare appellativi smielati al cucciolo di pitbull.
Eren si lascia travolgere da una risata sincera, afferrandogli spontaneamente il polso della mano con cui sta reggendo lo smartphone, gli occhi bagnati di lacrime di gioia. Basta un solo istante, per rendersi conto di quel contatto, ponendovi fine immediatamente. Se Levi vi ha prestato attenzione, non lo ha dato a vedere.
E poi, mentre riflette sull'ultima volta che l'abbia sfiorato, toccato, un pensiero balugina nella sua mente: lui e Levi non hanno mai fatto sesso.
Gli occhi scivolano sulle clavicole pronunciate, sino ad arrivare al collo tornito, concludendo su quella mascella da mordere.
Ma come gli è sovvenuto un ricordo del genere?
Eppure deve essere onesto con se stesso, Eren, perché ogni relazione gli ricorda che non ha mai provato il sollievo di fare l'amore con una persona che lo amasse altrettanto. A conti fatti, è sempre andato a letto con persone con cui non aveva implicazioni sentimentali, e la cosa, ora come ora, lo infastidisce all'inverosimile: avrebbe potuto perdere la verginità con lui, di cui si fidava ciecamente, ma gli ripeteva sempre "Non ancora" e "Non è il momento, non me la sento".
Non si pente di quelle scelte, o meglio, un tempo non se ne sarebbe mai pentito, insicuro com'era persino di se stesso, ma ora che ha ventidue anni compiuti, la frustrazione di non aver gioito di quel corpo ha messo radici nella sua testa, e chissà, se è soltanto un modo come un altro per trovare un pretesto per riaverlo vicino, ma senza ferirlo con le lame affilate e avvelenate dei sentimenti.
È un giusto compromesso, riflette fra sé, ma non è mica sicuro che Levi possa accettare così, dall'oggi al domani, una simile richiesta.
Così, mentre il ragazzo sorseggia la sua birra ghiacciata, Eren appoggia il volto sulle nocche chiuse, e con tono mellifluo soffia –Ci sei domani per un caffè?-
Mikasa di fianco a lui si strozza con il vino, tossendo fino a diventare paonazza, ed Armin le dà sonori colpi sulla schiena per farla riprendere.
Levi, dal canto suo, guarda i due allibito, per poi volgere gli occhi verso il fautore di quell'apocalissi.
-Perché no.-
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