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Pov Nora.
L'aeroporto di Miami è immenso.
Ebbene sì: sto aspettando il volo per New York che mi porterrà dritta da Justin.
E una volta lì, cosa farò? Come dovrò comportarmi? Come una ragazza ancora innamorata del suo ex ragazzo, o come una sorella che ha appena scoperto di avere un fratello?
È tutto così assurdo, eppure non faccio altro che pensare a quando lo rivedrò. Gli salterò al collo o manterrò le distanze?
Penso che lo scoprirò una volta arrivata, quando saremo di nuovo faccia a faccia.
<<Nora, tutto okay?>>
La voce di Izzy mi stacca dai miei pensieri, richiamandomi sul pianeta terra.
Lei e Theo hanno insistito per accompagnarmi in aeroporto nonostante la mia solida decisione di andare da sola, ma alla fine apprezzo molto il loro volermi stare vicino.
Vederli mano nella mano, seduti accanto a me, mi rende un po' invidiosa, lo ammetto. Loro adesso possono avere tutto: stanno insieme, avranno un bambino, avranno un futuro.
Mentre io e Justin cosa abbiamo ora? Solo uno stupido legame di parentela che ci ha impedito di essere quello che volevamo di più al mondo: essere una felice coppia di ragazzi universitari che escono insieme, studiano, vanno al cinema e fanno sesso.
<<Nora...>>
Stavolta è Theo che mi richiama, per la seconda volta, alla realtà posandomi la mano sul ginocchio.
<<Sto bene>> sussurro stringendomi di più nel mio giaccone pesante.
Nonostante sia all'interno di un edificio e il riscaldamento sia acceso, sento freddo, ho i brividi che mi pervadono tutto il corpo riducendomi a un piccolo ghiacciolo.
<<Dovresti dirgli che stai andando da lui>> mormora la ragazza in piedi di fronte a me, portandosi una ciocca di capelli che le è ricaduta sul viso, dietro l'orecchio.
Scuota la testa. <<Quando atterrerò sarà la prima cosa che farò. Adesso non voglio dire niente a nessuno, non voglio che si agiti o che...>>
Sento un improvviso nodo alla gola, e la cosa non mi fa proseguire nel discorso. Tutto ciò che invece riesco a fare è portarmi le mani sul viso e scoppiare in un pianto liberatorio.
Sento le braccia di Izzy avvolgermi calorose, il suo viso affonda nell'incavo tra collo e spalla, mentre la mano di Theo mi accarezza i capelli come a farmi coraggio.
Tra i singhiozzi penso a quello che sto per fare.
Sto facendo la cosa giusta o dovrei semplicemente lasciare le cose come stanno?
______
Guardo fuori dal finestrino e ciò che si para davanti ai miei occhi mi fa dimenticare per un po' la situazione in cui sono coinvolta.
Le nuvole passano sotto di noi veloci come il vento e leggere come piume. Hanno le forme più diverse e bizzarre, e sembrano tutte della soffice e deliziosa panna montata.
Le mie labbra si incurvano timidamente all'insù a quella vista, così decido di estrarre il cellulare e fare una foto per immortalare lo scenario che, in una giornata tutt'altro che felice, è riuscito a strapparmi un sorriso.
Un secondo dopo aver bloccato nuovamente lo schermo con l'intenzione di posarlo nella borsa, sento l'oggetto vibrarmi in mano e quando guardo il display vorrei sotterrarmi.
Mia madre.
Non rispondo alle sue chiamate e ai suoi messaggi dalla sera prima, ora è giunto il momento di affrontarla. Quindi, anche se so benissimo che in aereo è severamente vietato parlare al cellulare per via delle interferenze, decido ugualmente di risponderle.
<<Nora finalmente!>> esclama non appena sente la mia voce, <<si può sapere dove eri finita?>>
Oh, ora le importa cosa fa sua figlia?
<<Come se la cosa ti importasse, vero?>> dico acida come non sono mai stata.
<<Tesoro ascoltami, fammi spiegare>>
<<No mamma, ascoltami tu!>> sbotto, <<come hai potuto metterti d'accordo con John su una cosa così? Allontanare me e Justin a questo modo? Davvero mamma? Pensavate fosse la cosa migliore dividerci come si divide un pezzo di pane?>>
Riesco a stento a trattenere le lacrime mentre la voce, ormai, è diventata tremante e piagnucolosa.
<<Siamo persone, esseri umani, e anche se quello che ci avete confessato ci ha distrutto l'anima, non avevate il diritto di decidere per noi>>
Silenzio. Per un attimo penso che sia caduta la linea, ma poi sento un leggero respiro dall'altra parte del ricevitore.
<<Nora, io e tuo padre..>>
No, non glielo permetto.
<<John non è mio padre. Non lo sarà mai. Avete sbagliato a tenerci segreta una cosa simile come se fossimo dei bambini di due anni. Siamo grandi ormai, andiamo al college porca miseria! Ci avete rovinato la vita, lo capisci? Eravamo, siamo per quanto mi riguarda, innamorati uno dell'altra, con dei sogni che avremmo potuto realizzare insieme, e invece...>>
La donna riprende parola appena sente che io non riesco più a dire nulla per via dei singhiozzi.
<<Lo so, ti do ragione. Avremmo dovuto dirvelo e credimi, mi dispiace, dispiace ad entrambi aver reagito in questo modo, ma lo abbiamo fatto per il vostro bene>>
Pff, stronzate.
<<Durante la cena di Natale abbiamo visto quanto amore vi teneva uniti, un amore che, purtroppo, non era buona cosa per voi>> sussurra, mi sembra che anche a lei, ora, tremi la voce. << Avremmo preferito che foste cresciuti insieme, quello è certo, ma è andata così. Io e tuo padre, John, ci siamo separati tanti anni fa, eravamo ancora piuttosto giovani e... Io ho deciso di andarmene lasciando Justin a lui perché sapevo che avrei avuto te dopo pochi mesi>>
Continua a parlare ma io ormai non la sto più a sentire. Il danno è stato fatto e nessuno può porvi rimedio.
<<Senti mamma>> la interrompo, <<non mi interessa. In ogni caso, io sto andando a New York, da Justin, e nessuno può impedirmelo. Se devo dirgli addio, lo farò come pare a me. Ti saluto>>
Detto ciò, chiudo la chiamata e, sotto l'occhiata di sdegno che mi rivolge la signora accanto a me, che per tutto il tempo ha fatto finta di leggere il suo libro ingiallito ma che invece ha ascoltato tutta la conversazione con orecchie da elefante, chiudo gli occhi e cerco di dormire in quelle tre ore che mi separano dal ragazzo che amo.
Pov Justin.
La mattina dopo mi sveglio, se così si può dire, piuttosto tardi. Sono infatti le 10.23 del mattino, quando il torpore dei raggi solari mi accarezza le palpebre abbassate.
In realtà non ho dormito affatto. I miei pensieri erano tutti rivolti a Nora.
Dopo il messaggio che le ho mandato in cui le rendevo nota la situazione, non mi ha nemmeno risposto e la mia paura è che voglia davvero buttarsi tutto quanto alle spalle.
Cercando di cacciare quel pensiero, a mio parere assurdo, nei meandri più profondi della discarica cranica, stropiccio gli occhi e sospiro profondamente e rumorosamente, prima di mettere i piedi giù dal letto e alzarmi per ripartire immediatamente per Miami.
Se lei vuole dimenticarmi, io non ne ho alcuna intenzione.
E poi non ho assolutamente voglia di continuare la mia vita qui, in questa casa a me sconosciuta, appartenente alla famiglia di Chantal, con mio padre che mi comanda a bacchetta. Io ho un futuro a Miami, vado al college porca puttana, e ho intenzione di laurearmi.
Possibile che mio padre riesca a pensare solo a cosa è meglio per lui?
Così, afferro alla veloce i vestiti che la sera prima avevo gettato a terra spogliandomi, e mi vesto alla velocità della luce, mi lavo, mi do una sistemata al ciuffo di capelli ribelle che mi ricade sempre sulla fronte, e scendo le scale.
Davanti a me, compare Chloe. Ha un delizioso pigiamino di Winnie the Pooh e mi sorride sdentata.
Non sento alcun rumore provenire nè dalla cucina nè dalla sala, così ne approffitto. Mi abbasso verso di lei e le appoggio le mani sulle spalle.
<<Piccola, il tuo fratellone va a fare un giro nel quartiere, d'accordo. Non so quando tornerò>> dico sorridendole. So che le sto mentendo e che è solo una bambina, ma se facessi questa conversazione con mio padre non riuscirei mai ad uscire di qui. <<Avverti tu papà e mamma appena si svegliano?>>
Lei annuisce ed io afferro il piumino dall'attaccapanni in fondo al corridoio, prima di dirigermi verso il portone ed uscire.
_____
Non so come farò una volta arrivato in aeroporto.
Non so nemmeno quanto mi toccherà aspettare prima che ci sia un volo da New York a Miami, ma aspetterò.
Per Nora, potrei aspettare anche tutta la vita.
Ed è proprio quando metto il piede giù dal taxi, che mi squilla il cellulare.
Pago l'autista ed estraggo l'oggetto dalla tasca dei jeans.
Sul display compare il suo nome e il mio cuore perde un battito, mentre dal canto suo il mio stomaco si è imbattuto in mille farfalle.
<<Nora..>>
<<Justin... Sono a New York!>>
Cosa? Lei è qui? È venuta da me?
Sorrido come un'idiota sentendo quella frase e mi blocco all'istante.
<<Sei qui?>> mi trema la voce per l'emozione. <<Ma dove? Stavo per tornare a Miami da te>> mormoro attendendo la sua risposta.
<<Sono in aeroporto>>
Probabilmente sta correndo sento che ha il fiatone.
Mi dirigo a passo svelto verso l'entrata e una volta dentro corro verso la zona degli arrivi.
<<Sto arrivando Nora, non muoverti da dove sei ora>> esclamo accelerando il passo.
Abbasso lo sguardo per riattaccare e mettere via il telefono, quando qualcosa, o meglio qualcuno, mi viene a sbattere contro.
<<Mi scusi>>
Ancor prima che io possa girarmi a vedere chi mi ha urtato, riconosco la voce. E infatti, appena mi volto, lei è lì che si guarda intorno spaesata alla ricerca di qualcuno. E penso di sapere chi.
Non mi ha nemmeno visto ed io non posso fare a meno di sorridere nel vederla di spalle che mi cerca con lo sguardo.
Mi mordo le labbra, per frenare una fragorosa risata e mi avvicino di soppiatto a lei.
Con dolcezza le metto le mani sugli occhi e subito lei si irrigidisce.
Mette le mani sulle mie e le stringe forte mentre sento che dai suoi occhi stanno uscendo lacrime calde.
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