Regola n.6: nessun tremito


Tutti volevano sapere chi fosse l'uomo misterioso che ballava con il principe. Forse era uno dei sei Alpha che era scampato all'accoglienza della regina, perché la stazza, l'odore, l'aspetto e la possanza tipica degli elementi migliori della società li incarnava completamente. Nessuno però immaginava chi potesse realmente essere. 

Tutto ciò che ci separava erano le catenelle dorate intrecciate sul mio petto. Per il resto, i passi di danza del corvino, il suo strusciarsi lentamente, in maniera torturante e audace, mi facevano sentire e provare molto bene le asperità e la consistenza del suo corpo virile. Il suo torace muscoloso, gli addominali scolpiti e la V che si perdeva dentro all'orlo dei pantaloni... Ogni cosa premeva contro al mio corpo e avevo la bocca secca. Arsa come una settimana nel deserto senza un goccio d'acqua. 

«C-co-com-come sei entrato qui?!» lottai per recuperare l'uso della parola, frenando bruscamente i miei passi, cercando di fermare anche lui, mettendo faticosamente distanza fra di noi. Per riuscirci avevo sollevato le mani a mo' di muro, un ostacolo fra i nostri pettorali nudi. Così facendo però, i miei palmi premevano direttamente contro i suoi muscoli e la sola sensazione del suo corpo che si fletteva sotto alle mie dita mi diede alla testa. Abbassai velocemente le braccia.

«Attraversando la porta. Come tutti.» rispose, con un sorriso sarcastico che gli stirò le labbra e le mani ancora appoggiate ai miei fianchi, come se non avesse alcuna intenzione di lasciarmi andare. E la prepotente pressione delle dita sulla mia pelle fu un messaggio che arrivò forte e chiaro, come il fatto che si stesse burlando di me, del mio castello, del sistema di sicurezza solidissimo che vigeva al suo interno, specie dopo quello che era successo. 

«No! Voglio dire, perché sei qui?! Con quale coraggio...» sibilai, a denti stretti. Anche se con difficoltà stavo tornando in me e l'idea che lo stesso Alpha che mi aveva quasi rapito fosse arrivato a casa mia, presentandosi sotto agli occhi di tutti quegli uomini armati e di tutta quella gente, mi faceva impazzire. E anche un po' spaventare. Fin dove si sarebbe spinto?

«Cosa ti fa pensare che non ti denuncerò immediatamente alle guardie?» continuai, portando le mani sui suoi polsi, cercando di strattonarli via dal mio corpo senza molto successo. La maschera non riuscì a celare il suo divertimento, che luccicò prima nell'occhio viola, poi in quello azzurro.

«Non essere sciocco, Altezza.» Sorrise, inclinandosi verso di me fino a raggiungermi l'orecchio. «Guardati intorno.» Mi premette contro di lui, inglobandomi dentro al suo mantello, quasi in un abbraccio. Col mento sulla sua spalla, ebbi modo di far scorrere gli occhi sul resto della sala. In moltissimi ci osservavano ancora, curiosi e affamati di pettegolezzi. Poi mi accorsi ciò che l'Alpha voleva io notassi. 

Come avevo fatto a non rendermene conto prima?

Parzialmente nascosti, sapientemente mescolati all'ambiente e alla folla, contai almeno una decina di uomini dal mantello scuro decorato di piume nere, con maschere e capelli identici a quelli dell'Alpha che mi stringeva. 

«Quanto tempo pensi ci metterebbero a capire chi è quello vero...» domandò, il tono ammiccante dentro al mio orecchio, sinuoso come un veleno che scivola lentamente dallo stomaco al cuore. «... prima che io uccida la regina?»

Lo scostai da me con uno strattone improvviso e, stavolta, mi lasciò andare, permettendomi di recuperare una necessaria distanza di sicurezza. Lanciai rapidamente un'occhiata verso i tavoli bassi riempiti di cuscini dove avevo visto mia madre Dafne chiacchierare con altri membri della famiglia reale. Era ancora lì, con la sua scorta al seguito, serena ed inconsapevole. 

«Non oseresti!» esclamai, sgranando gli occhi, il cuore che aveva preso a battermi all'impazzata contro la gabbia di costole e le tempie che mi pulsavano per lo sforzo di resistere a quei feromoni, senza cadere in ginocchio. L'espressione colma di fascino crudele che mi venne mostrata riuscì a farmi diventare lo stomaco di piombo.

«Non hai la minima idea di quello che oserei fare, principe.» scandì, con un sorriso sprezzante, bello e cattivo insieme. Mi fece venire le vertigini, ma riuscii a restare piantato sui piedi.

«Che cosa vuoi?» domandai, con cautela, stringendo i pugni tanto forte da sentire le unghie ficcarmisi nel palmo. Il corvino allungò una mano verso di me e, per un attimo, pensai mi colpisse, tanto che chiusi gli occhi di colpo. Invece, le dita scorsero fra i miei fitti ricciolini scuri, un gesto che accompagnò con una risata suadente. 

«E' una domanda difficile...» mormorò, col tono all'improvviso un po' meno brutale e un po' più gentile. Aprii gli occhi, solo per ritrovarmi inchiodato da un'occhiata penetrante. «Voglio tante cose.» disse, fissandomi in un modo che mi sfidava a non arrossire. «E tu, vorresti sapere chi è che mi ha assoldato per rapirti?» Strabuzzai le palpebre, sconvolto dall'importanza di quell'informazione in suo possesso, dichiarata così, a bruciapelo. Sogghignò, notando la mia espressione. «Dovresti preoccuparti della tua vita, prima di quella degli altri.»

«Dimmi quello che sai!» sbraitai, agitando i pugni per l'enfasi di quella domanda. Era d'importanza vitale. Se me lo avesse detto e il responsabile fosse stato catturato, forse sarei riuscito a scampare al matrimonio combinato con uno dei sei Alpha scelti da mia madre. 

«Se ci tieni tanto a saperlo, vediamoci all'una sotto l'arco di gelsomino.» Indietreggiò, pian piano, iniziando ad aumentare la distanza che ci separava. Eppure, i punti dove mi aveva toccato bruciavano ancora. «Ti aspetterò.» Poi si fece inghiottire dalla folla e tornò a nascondere i suoi feromoni alpha, mescolandosi fra i suoi alleati. 

Non era difficile immaginare che fosse una trappola. Ma era troppo importante per lasciar correre.

⚜⚜⚜

E finalmente arrivò il momento di conoscere i miei pretendenti. Non volevo assolutamente lasciar intravedere la mia angoscia, ma la verità era che il mio corpo si stava tramutando in un fascio di nervi. Da quando Ymir era sopraggiunta, tempestandomi di domande sul ballerino misterioso - a cui io non avevo saputo o voluto rispondere - c'era stato poco tempo per farmi spiegare qualcosa sui sei Alpha. Poco dopo la Regina Jelani mi aveva mandato a chiamare ed era stato troppo tardi. Era venuto il tempo di farsi conoscere, di mostrare a tutti la ragione per cui Amnon mi aveva conciato come un maialino da banchetto pronto ad essere addentato.

Presi dei lunghi, profondi respiri, camminando a passo esageratamente lento verso la sala privata dove mi stavano aspettando, lasciandomi alle spalle i suoni intensi della festa, dallo scroscio di risate al tintinnio di bicchieri.

Tutte le informazioni che la mia scorta mi aveva fornito su quegli uomini ora erano confuse come se le avessi mescolate in un calderone e non sapessi distinguerle fra loro. Chi era il principe? Com'è che si chiamava il Duca? Pazienza. Sarebbe stata comunque una sorpresa vedere riuniti nella stessa stanza un numero di Alpha così abbondante da non averne mai visti tanti in vita mia. 

Fermo dietro alla grande porta intarsiata, riuscivo a sentire anche da sotto alla soglia l'odore di feromoni, così forte da farmi tremare le ginocchia come un budino e desiderare di girare i tacchi per darmi ad una fuga spericolata. Chiusi gli occhi, presi fiato e poi inghiottii l'ansia crescente che mi saliva dal petto per ricacciarla giù, in fondo allo stomaco. Potevo farcela. E poi, non avevo intenzione di fare colpo su nessuno di loro. Non m'interessava affatto. 

«Sono pronto. Apri questa porta.» esclamai verso Ymir, che mi guardava con la fronte aggrottata, evidentemente preoccupata per me. Le mostrai un cenno d'assenso col capo, per invitarla a fare quanto avevo detto. Ora o mai più

Quando la donna aprì i battenti, l'odore di tutti quegli Alpha mi aggredì improvvisamente: fu come essere travolti da un fiume in piena. Per un attimo mi fece oscillare sulle gambe e ringraziai il cielo che la mia scorta fosse lì con me, pronta a sorreggermi nell'evenienza che crollassi. Sperai che non accadesse. Poi sentii il profumo di rose: una graziosa fontana interna vantava, su un piedistallo centrale, un vaso con centinaia di rose sulle tinte del fucsia e del confetto. 

Mi concentrai sui fiori per non affrontare il resto. Tuttavia, sapevo che non avrei potuto procrastinare tanto a lungo il confronto: con la coda dell'occhio notai il tavolo basso colmo di vivande e alcolici, intorno al quale erano seduti i sei individui e la Regina a capotavola.

«Signori» annunciò Ymir, un passo davanti a me, prima di farsi indietro per mostrarmi alla sala. «Sua Altezza ereditaria, Taye Okoro.»

Non tremare. Nontremarenontremarenontremare

Fui fiero della saldezza delle mie gambe quando avanzai verso il tavolo e mi inchinai in una riverenza, forse un po' goffa, ma pur sempre un gesto di apprezzabile cortesia. Avrei potuto sputare a terra per perseguire il mio piano di farmi disprezzare ed evitare il matrimonio, ma in quel momento, sotto il peso di sei sguardi così potenti, non me la sentii. 

Dopodiché mi sedetti al capo del tavolo opposto a dove si trovava mia madre, con gli Alpha seduti in tre alla nostra sinistra ed in tre alla destra. Avevo tenuto lo sguardo basso fino ad ora. Avevo rimandato e rimandato, e sapevo che adesso mia madre mi stava insistentemente fissando. Esattamente come gli altri, che cercavano di capire che tipo di marito e padre potessi essere per i loro figli. 

Ma io non ero quello. Io ero il futuro Re di Samarcanda e avevo intenzione di farlo capire molto bene. Perciò alzai il viso e li affrontai.

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