Regola n.50: credi nei miracoli
Quando un tritone muore, si dice che la sua anima vada a finire negli Abissi Eterni, accompagnata dai suoi spiriti protettori, per riposare nelle profondità dell'acqua per sempre. Avrei potuto lasciarmi affondare anch'io, e diventare un tutt'uno con la natura. Lasciar andare l'ultimo respiro, dimenticare che cosa mi tratteneva nella vita terrena ed elevarmi a qualcos'altro, qualcosa di lontano dai tradimenti, gli inganni e l'agonia.
Ma non ci riuscivo. C'era qualcosa che mi tratteneva, che mi impediva di andarmene. Qualcuno.
Che mi stava tenendo la mano proprio adesso.
Quando aprii gli occhi, rimasi stordito dall'odore delle erbe medicinali che bruciavano nell'incensiere appeso ad elaborati soffitti a mosaico. Il mio corpo era pieno di dolori, ragion per cui dovevo essere ancora vivo. Stretto in un ammasso di fasciature e avvinghiato fra lenzuola sottili, con una flebo nel braccio, ero steso su un semplice letto di ferro battuto, in una stanza circondata da mazzi di fiori.
L'ospedale reale, ecco dove mi trovavo.
E dove si trovava anche Zakhar, che era seduto al mio capezzale, con una mano stretta nella mia e il viso posato al bordo del letto, mentre dormiva silenziosamente, forse per sfinimento: aveva l'aria di chi non dormiva da giorni. Con la tunica di lino dell'ospedale - così strana su di lui - riuscivo comunque ad intravedere tutte le bende che gli attorcigliavano il torace muscoloso.
Avvertì i miei movimenti, nonostante fossero impercettibili, come se aspettasse un mio gesto da chissà quanto. Gli occhi si aprirono di scatto e il corpo tornò dritto, sull'attenti sopra la sedia, sbattendo rapidamente le palpebre. Non indossava lentine: il suo splendido sguardo era eterocromatico, azzurro e viola, come lo amavo io.
Quando si rese conto che ero davvero sveglio, che non se lo stava solo sognando, sgranò gli occhi ed emise un verso strozzato, di gola, prima di mormorare con voce rauca: «Taye...» Un soffio disperato, e poi mi prese il viso fra le mani e mi baciò.
Non un singolo bacio, ma tanti e piccoli, che schioccavano sulla bocca ripetutamente come bolle di sapone. Le sue labbra si spostarono sulle guance, sul mio collo, il suo naso si strofinò dietro alle mie orecchie. Mi abbracciò, infilando una mano fra i miei riccioli per tenermi premuto contro di lui. Avvinghiato, fin quasi a togliermi il fiato.
Ansimai una specie di verso dolorante, ma non osai dirgli nulla perché non volevo che si allontanasse. Anzi, gli gettai le braccia al collo e lo strinsi a mia volta, sentendo le lacrime affiorare e poi rotolare sulle guance. Lacrime di commozione e di gioia, di sollievo e di tristezza. I ricordi di tutto quello che ci era successo mi fecero tremare, ma le sue mani mi cullarono e mi calmarono, senza lasciarmi andare. Non smetté di baciarmi le guance, quasi sorseggiando le mie lacrime come se fosse un modo tutto suo per far sparire il mio dolore.
«Zakhar...» sospirai, tirando su col naso. «Le tue ali...» L'idea che le avesse perse per sempre mi faceva un male quasi fisico, come se le avessero strappate a me.
Scosse la testa, con gratitudine per la mia preoccupazione. «Non sono andate. Ricresceranno.» Mi illuminai. «La muscolatura avrà bisogno di tempo per riformarsi, ma... niente di impossibile.» Il sollievo precedette una nuova ondata di panico. Quasi affondai le unghie nelle sue braccia, sorreggendomi a lui come se rischiassi di cadere in un buco che mi si stava aprendo sotto al pavimento, sotto di me, in attesa di inghiottirmi.
Io ero vivo. Ero sopravvissuto. Ma c'era qualcosa che poteva essere stato perso per sempre, qualcosa di molto più grave rispetto alle sue ali. Qualcuno.
«Lui... non ce l'ha fatta, vero?» domandai, con il cuore che mi martellava nelle orecchie per il terrore. Lui. Non sapevo nemmeno se fosse un maschio, era troppo presto e, in fondo, ormai che cosa importava? Che differenza faceva? Mi imposi di restare calmo. Di smettere di piangere. Sarei stato forte, sarei stato in grado di superarla.
Zakhar mi guardò con un'espressione indecifrabile. «Lo sai? Quando fai il mio lavoro, smetti di avere speranza. Totalmente.» Serrò la mascella, così perfettamente cesellata, e sollevò gli occhi nei miei. Ciò che vidi - la felicità che vidi - mi tolse il fiato. «Ma tu mi hai insegnato a credere nei miracoli.» Mi ero imposto di non piangere, invece scoppiai in una tempesta di singhiozzi commossi, nascondendo il viso contro il suo petto. «I dottori ci hanno assicurato che tu e il nostro bambino stavate bene, e che ti saresti risvegliato presto. I proiettili ti hanno preso tutti in punti non vitali, ma ci sono andati vicino. Un miracolo, hanno detto.»
Mi misi a ridere, un suono buffo se mescolato al pianto, ma liberatorio. «Ma com'è possibile?! Cos'è successo?» Eravamo in un'isola in mezzo al mare. Ero convinto sarei morto, anche solo per dissanguamento. «E... e come hanno fatto a catturarti? E perché sei qui, non hanno scoperto che sei il Falco?» Avrebbe dovuto essere in prigione.
Il corvino abbozzò un mezzo sorriso dei suoi, sornioni e affascinanti, di chi ne sa una più del diavolo. «Vacci piano con le domande.» Socchiuse gli occhi, storcendo però le labbra in una smorfia. «E' iniziato tutto dal matrimonio di tua sorella. Non era un attentato contro di te, ma contro di me. Ormai sapevano che fossi il Falco, che fossi pericoloso, e dovevano indebolirmi. Quando mi sono svegliato all'ospedaletto del palazzo, ho ricevuto un messaggio di Tamsin, che mi invitava nella stanza delle regine. Avevo capito che, ormai, lui sapeva che avevo scoperto le sue reali intenzioni, perché lo tenevo d'occhio da molto tempo. Era chiaro che fosse una trappola.»
Non lo interruppi, ansioso di sapere come continuava la storia. «Però tua madre non sapeva il ruolo di Tamsin nei tuoi attentati. Quando sono arrivato nella stanza, già debole per le ferite dall'attacco al matrimonio, ho trovato tuo zio Dalmar che teneva la pistola puntata alla testa di Tamsin. Lui fingeva di fare la vittima davanti a tua madre, così potevano tenerla sotto scacco, impedendole di contrattaccare. Impotente, ha lasciato che Quinn le mettesse il coltello alla gola.» Rabbrividii.
«E qui sono entrato in gioco io. Ho svelato i teatrini, perciò tua madre ha cercato di difendersi, ma Quinn continuava a tenerle il coltello alla gola. Quel bastardo mi ha costretto a fare esattamente ciò che diceva, se non volevo che tua madre morisse.» Alzò gli occhi nei miei, solenne. «Non avrei mai potuto permetterlo.» Rimasi stupito da quella rivelazione. Il Zakhar di un tempo l'avrebbe lasciata morire senza pensarci due volte. «Così ho permesso loro di legarmi. Quando mi hanno tagliato la prima ala, sono svenuto. E mi sono risvegliato solo al tuo arrivo nel faro, non sapevo cosa fosse successo a tua madre.»
«Mia madre!» esclamai, improvvisamente fulminato da quella consapevolezza. «E' viva?!»
Annuì. «E' grazie a lei se non sono in prigione. Ormai sanno tutti che sono il Falco, ma ha riconosciuto il sacrificio che ho fatto per cercare di proteggerla.» Le sue ali. Per mia madre. Ero scioccato e, in qualche strana maniera, grato al destino per quell'imprevedibile congiunzione di eventi. Anche mia madre, un tempo, avrebbe mandato a morte Zakhar senza pensarci due volte. «Quanto al modo in cui ti sei salvato...» Lo fissai, interrogativo. Stava facendo una smorfia. «E' stato Tamsin.»
«Cosa?» Aggrottai la fronte. «Non capisco.»
«Immagino sia assurdo, dopo aver passato la maggior parte del suo tempo a pianificare di ucciderti...» Sciolse le spalle muscolose, un movimento normalissimo, eppure sensuale se prodotto da lui. «Le persone fanno spesso cose assurde. Forse perché i suoi alleati erano tutti morti. Forse perché non si aspettava di vederti morire per davvero e la realtà gli ha dato un bello scossone.» spiegò.
«E' stato quando lo abbiamo sentito correre fuori dal faro. Credevo stesse fuggendo, invece è andato a nuoto fino alla terraferma e ha avvisato i soldati che pattugliavano la zona di ciò che era successo. Dopo che ti hanno salvato, si è costituito.» proseguì, lasciandomi completamente sbigottito. «E' probabile che abbia fatto la cosa che gli è convenuta di più. Ormai sia io che tua madre lo avevamo scoperto.»
Era così? Lo aveva fatto solo per convenienza? Tamsin... Se solo avessi almeno percepito le cose terribili che si agitavano dentro di lui. Se solo avessi fermato in tempo quella follia. Ingoiai il rimpianto, cercando di essere pragmatico. «E' stato interrogato?»
«Sì, ma non ha detto nulla di nuovo. Ha dato tutta la colpa a Quinn e a tuo zio. Non so che destino gli spetterà.» ammise, ma con un tono che cercava di non farmi pensare al peggio. Perché Tam si era macchiato del più terribile fra i crimini. L'alto tradimento. Si veniva messi a morte per molto meno.
Mi lasciai ricadere sul letto, travolto da quel pensiero. Molti avrebbero detto che se l'era cercata. Che se l'era meritato. Appena si sarebbe diffusa la notizia, in tutto il Regno di Smeraldo avrebbero voluto vedere il suo cadavere penzolare dalla forca. Ma io la trovavo una cosa terrificante.
«Che cosa succederà ora?» sospirai, coprendomi la faccia con il braccio, stanco anche se mi ero svegliato da poco. Ormai il mondo conosceva l'identità del Falco. Avrebbe conosciuto anche l'identità dell'unico fra i miei attentatori rimasto in vita. E il Formicaio? E mio fratello Taro? E il corteggiamento? E il trono? Mi girava la testa.
Il cigolio delle molle del letto ricatturò la mia attenzione. Ben presto, ritrovai Zakhar accanto a me: il materasso non era pensato per due, così mi si strinse addosso e mi premette contro di lui, attento a non farmi male. Con un braccio mi avvolse la vita e col volto colmò la curva del mio collo, soffiando contro la pelle in un modo che suscitò in me piacevoli brividi, elettrici come piccoli fulmini.
«Ci saranno sicuramente molti cambiamenti...» immaginò, facendo scorrere le dita sul mio ventre, da sopra alle garze e alla tunica ospedaliera. «Qualsiasi scelta deciderai di fare, voglio che tu sappia una cosa.» Eravamo quasi fronte contro fronte, e i suoi occhi brillavano di una sfumatura tormentata. «Resterò sempre un criminale e questo non cambierà. Non posso e non voglio essere il sovrano... o il consorte del Re.»
«Oh.» lasciai andare un sussulto deluso, ma lui interruppe qualsiasi cosa stessi per dire.
«Ma sono sicuramente tuo. E tu sei innegabilmente mio.» Mi curvò il viso, in un'angolazione che gli consentì di poggiarmi le labbra su un punto preciso della nuca. «Ed è arrivato il momento che tutto il mondo lo sappia.»
Poi, mi marchiò come suo.
⚜⚜⚜
Il mio odore era cambiato. Il mio corpo era cambiato.
Questo avrebbe potuto constatarlo qualsiasi Alpha dotato di un naso. Compresa mia madre.
Lei fu la seconda persona che incontrai dopo il mio risveglio, dopo un rapido controllo da parte di un'equipe ultra pagata di dottori. Il nostro incontro faccia a faccia era inevitabile, irrevocabile, e la mia scelta di vita, il legame col mio compagno, erano impossibili da cancellare. Non si tornava più indietro.
Eppure, la Regina Tusajigwe Jelani di Samarcanda non andò su tutte le furie quando sentì il mio odore. Si limitò ad accomodarsi accanto al mio letto, su una semplice sedia, in uno scenario che la faceva sembrare addirittura umile. Aveva un aspetto terribile, come si confaceva a chi aveva scampato alla morte per un soffio... Aspetto che dovevo avere anche io, sicuramente.
I lunghi capelli erano lisciati intorno al volto e le ricadevano sul petto, non riuscendo a nascondere del tutto le fasciature intorno al collo. Aveva la faccia scavata, le borse sotto gli occhi e un'espressione che avrei definito semplicemente come sconfitta.
«Madre... Sono felice di vedere che siete viva.» esordii, cercando di cancellare l'immagine di lei che annaspava nel suo stesso sangue.
«Sì.» gracchiò, con una vocina soffocata. Forse non avrebbe più recuperato completamente le sue corde vocali. Calò il silenzio nella stanza, pesante come una cappa di fumo. Mi mordicchiai le labbra, cercando di dissimulare la mia ansia con quel piccolo gesto di sfogo. «Ho fatto degli errori terribili con te e i tuoi fratelli. Specialmente con te, Taye.» Parlava con una voce che sembrava fatta di vetri infranti.
Ebbi una specie di sussulto, ma non la fermai. «Volevo una vita tranquilla e rispettabile per tutti voi. E volevo tenerti lontano dal trono per farti stare al sicuro. Il potere porta troppe minacce, troppi intrighi. » ammise, sospirando. «E inoltre, credevo che gli Omega fossero troppo deboli per sopportare il peso della corona. E' stata una convinzione radicata nei secoli della storia di Samarcanda.» disse, ed io non osavo interromperla, mentre mi torcevo le lenzuola in grembo. Zakhar ci aveva lasciati soli, ovviamente.
«Ma hai affrontato di molto peggio. E sei sopravvissuto, pur non essendo un Alpha.» gracidò. «Io non sono riuscita a proteggerti.» ammise, duramente, biasimando se stessa. Era quel genere di discorso a cuore aperto che aspettavo di sentire da tutta la vita. «Non ho visto l'intrigo che si svolgeva sotto i miei occhi e mi sono lasciata ingannare dal mio stesso figlio.» Volevo dirle che era riuscito ad ingannare tutti. Volevo dirle che non era colpa sua.
Ma, in realtà, aveva dato manforte alla presenza di Quinn, anche se era risaputo che fosse un Alpha spregevole. Perciò non aprii bocca.
«Ecco perché devo fare ammenda. Non sono più degna del ruolo che ricopro.» Non capii dove voleva arrivare. «Ho abdicato.»
«Cooosa?!» La sorpresa mi fece contrarre il corpo e avvertire una scarica di dolore su tutti i fori di proiettile che mi avevano ricucito.
Mia madre mi guardò negli occhi, con determinazione e solennità. «Puoi fare ciò che vuoi della tua vita o della gara di corteggiamento. E non sarà affatto facile cambiare le cose, ma potrai prendere le tue scelte per il Regno di Smeraldo.» Lentamente, compresi dove voleva andare a parare. Eppure, poteva essere? Era possibile?
Era vero?
«Perché adesso, diventerai tu il Re.»
⚜⚜⚜
*N D A*
Hola!
Sfrutto quest'angolino per dirvi che il prossimo è l'ultimo capitolo della storia! Ci sono ancora mooolte sorprese in serbo, ma ve ne parlerò nel prossimo angolino. Insomma, tenetevi pronti alla fine <3
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