Regola n.48: accogli la lieta notizia


Quando mi svegliai, la prima cosa che vidi furono un paio di giganteschi, tondeggianti occhi gialli. Per poco non caddi dal letto per lo spavento. Invece, mi drizzai a sedere e un martellante dolore alla testa mi colse impreparato, al punto che mi rituffai steso, la faccia contro il cuscino morbido. 

«Piano, piano.» disse una voce gentile accanto a me. A quel punto, vidi il piccolo becco ad uncino, gli occhiali a cerchio come fondi di bottiglia e il camice bianco. Finalmente riconobbi il dottore che aveva da sempre lavorato nell'ospedaletto del Palazzo d'Estate, un mansueto beta, un gufo mannaro che aveva curato ogni mio singolo ginocchio sbucciato, quando ero piccolo.

«Oh spiriti...» gemetti, afferrandomi la testa dolorante e le tempie che pulsavano ferocemente. Avevo l'impressione di sentire delle spine conficcate nella base del cranio. Mi resi frettolosamente conto che, fuori dalla finestra, era buio pesto. «Quanto ho dormito?» biascicai.

«Tre giorni, Altezza.» rispose il dottore. Al sentire quella cifra inaspettata ed esorbitante, per poco il cuore non mi schizzò in gola. 

«Che cosa?!» Ritornai nuovamente a sedere, dritto sul letto come un fuso. Pessima scelta: la mia testa venne attraversata da un dolore fitto e lancinante. Nausea e bile mi salirono fino alla bocca e deglutii la mia stessa voglia di vomitare. 

«Restate steso a riposarvi. Ve lo chiedo per favore. Avete subito un brutto trauma cranico, perciò se continuate a fare movimenti tanto bruschi, vomiterete.» mi spiegò il gufo in camice, ora seduto al mio fianco. «C'è comunque un secchio accanto a voi, in caso vi serva.» aggiunse, col massimo tatto possibile, raddrizzandosi gli occhiali sul becco con la mano dalla pelle scura come il piumaggio che aveva in volto. «Se vi sentite confuso, avete dei vuoti di memoria e la testa vi gira, è solo temporaneo.»

Mi massaggiai la fronte, cercando lentamente di riacquistare la memoria e di ricostruire tutto ciò che era successo. Pian piano, i pezzi del puzzle tornavano al loro posto. Il matrimonio. L'attacco. Quinn che mi sorrideva. Zakhar, Jörvar e Akia che correvano a difendermi. E il Falco che mi faceva scudo col suo corpo, ferendosi orribilmente...

«Zakhar!» ansimai, raggelato. Aveva un pugnale nella schiena e frecce nelle gambe. Era ridotto male. «Dov'è?! Dov'è Zakhar?!» esclamai, angosciato, quasi sul punto di afferrare il dottore e scuoterlo violentemente per il camice. Era confuso, come se non sapessi di che parlavo. «La mia scorta!» specificai. Non ero in grado di ricordarmi quale nome fasullo usasse il Falco a corte.

Il gufo si illuminò. «Oh, lui!» E poi si rabbuiò, di nuovo. «L'ho medicato ma, senza neanche avvisare, è sparito dalla sua barella due giorni fa. Probabilmente si starà occupando di tutto quello che è successo. Fra il matrimonio saltato, l'attentato alla vostra vita e la morte del prigioniero... Comunque non vi preoccupate, Altezza. La vostra scorta è un Alpha, si riprenderà in fretta.» cercò di tranquillizzarmi, anche se sorridere col becco non gli riusciva granché.

Battei le palpebre, cercando di stare al passo con tutto quello che mi aveva detto. Zakhar era sparito. Due giorni fa. Mentre io ero svenuto? Assurdo. «Aspettate.» Mi si gelò il sangue nelle vene. «La morte del prigioniero? Di che state parlando?» Avevo un orribile presentimento e, vedendo come il dottore sbatteva i grandi occhi gialli, capii che era proprio come stavo pensando.

«Lorence Williams, Altezza.» No, non poteva essere vero. «Si è ucciso. Lo hanno trovato impiccato nella sua cella, due giorni fa.» Un'ondata di disgusto e nausea mi si scatenò nella pancia e per poco non mi girai al lato del letto per vomitare nel secchio. Per fortuna, trattenni il conato. 

Lorence si era ucciso, oppure lo avevano levato di mezzo? O, peggio ancora... Poteva essere stato Zakhar, che mi aveva detto avrebbe sistemato le cose? No. No, no no, era semplicemente assurdo. 

Scattai nuovamente giù dalla branda, in fretta e furia, con l'intenzione di mettere a soqquadro il castello per capire cosa diavolo stesse succedendo. Qualcuno doveva sapere chi ci avesse attaccato, al matrimonio. Qualcuno doveva aver almeno scoperto chi aveva dato a Lorence una corda per impiccarsi. Accidenti!

«No, principe Okoro! Per favore, dovete restare a letto, siete ferito e nelle vostre condizioni non è ottimale...» Il dottore cercò di trattenermi steso con la forza, ma io mi stavo divincolando come un'anguilla fra le mani di un pescatore goffo. 

«Sto già molto meglio! Il mal di testa è passato, guarirò da solo!» esclamai, ma il gufo mannaro stava vincendo su di me, che ero un Omega stanco, ferito e ancora impastato dal sonno. 

«Ma non mi riferisco a quelle condizioni, Altezza.» Il dottore mi lasciò andare, delicatamente, e sondò la mia espressione corrucciata e confusa. «Oh. Non siete ancora a conoscenza della lieta notizia.» Di nuovo: stava cercando di sorridere, e più di prima, ma col becco la sua espressione diventava grottesca.

Caddi dalle nuvole. «Quale lieta notizia?»

«Voi aspettate un bambino!» esclamò, a bruciapelo. 

Continuai a fissarlo, inebetito, sbattendo le palpebre. «Eh?» Forse non avevo sentito bene. Sicuramente. Avevo un trauma cranico, del resto.

«Sì, aspettate un bambino, Vostra Altezza.» continuò, con convinzione. A quel punto, scoppiai a ridere, un suono ugualmente inebetito e stupido, come se fosse troppo surreale - paradossale - per crederci. «Sì, è un ottimo modo per accogliere la notizia!» disse il dottore, come se avesse preso quella mia risata per un verso di gioia. Solo dall'ultima frase mi resi conto che non stava mentendo.

All'improvviso mi ricordai la notte che avevo passato con Zakhar nel suo nido, dopo aver fallito la retata nel Formicaio. Non avevo preso nessuna pillola. Non ero in calore, perciò non ci avevo pensato subito... E la cosa mi era sfuggita dalla mente, troppo preso dai guai che mi piombavano addosso.

Oh spiriti. Il dottore diceva la verità.

Aspettavo un bambino.

Dal peggior criminale di Samarcanda.

Per poco non mi strozzai con la mia stessa saliva, facendo un verso che assomigliava al gracidare di una ranocchia mentre stava affogando. Anche se le rane non affogano. Del resto, nemmeno i tritoni come me. 

Poi balzai giù dal letto in uno scatto imprudente. Il mondo roteò intorno a me, ma strinsi i denti e aggirai il dottore prima che potesse fermarmi. Corsi verso la porta dell'ospedaletto e mi scontrai letteralmente con una schiera di guardie armate. Evidentemente erano lì per proteggermi. «Dov'è la mia scorta?!» tuonai. Ora più che mai avevo bisogno di vederlo.

Per un minuscolo attimo mi soffermai su quel pensiero: il mio bambino. E di Zakhar. Se tutta la mia vita non fosse sembrata un candelotto di dinamite sul punto di esplodere, se il Falco non fosse stato un ricercato in attesa di essere messo a morte, se io non fossi stato il principe ereditario... Se non ci fossero stati tutti quei se, l'avrei trovata una bella notizia. 

Era il nostro bambino. In effetti ero felice. E scioccato. E disperato, fra le altre cose. 

Tornai frettolosamente alla realtà quando mi dissero che non ne sapevano nulla di Zavlian - era il nome falso del Falco - e che la regina li aveva mandati tutti a sorvegliarmi fino a data da destinarsi, proprio perché anche la mia scorta era stata ferita e io avevo bisogno di maggior protezione. Non avevo idea di dove Zakhar potesse trovarsi, ma speravo che fosse nella mia stanza. Nella peggiore delle ipotesi, poteva aver lasciato un messaggio, o un indizio.

Perciò, mi feci accompagnare verso le mie camere. Fui davvero sorpreso di trovare ad aspettarmi, davanti alla porta, una donna familiare. Molto alta, lentigginosa, dal taglio sbarazzino e la pelle bruciata dal sole. Ymir alzò la testa di scatto e corse ad abbracciarmi: tutti la conoscevano, aveva lavorato per vent'anni nel castello, come mia scorta. Quindi nessuno la fermò. 

Mi avvinghiò nel suo abbraccio, dentro cui mi tuffai liberamente. Dopo tutto quello che avevo passato senza di lei, riabbracciarla per poco non mi fece scoppiare a piangere come un bambino. Ma ero cresciuto, ormai, e non potevo permettermi di crollare adesso, perciò inghiottii le lacrime e sgusciai nella mia stanza insieme a lei. 

«Sono venuta il prima possibile.» Portava una borsa di pelle a tracolla, che si tolse velocemente e posò su un tavolino fra poltroncine imbottite. «Ci abbiamo messo un po', ma alla fine io e Cray siamo riusciti ad aprire il rompicapo.» Cray era suo marito, il fabbro a cui Zakhar aveva lasciato la scatola che Lorence mi aveva regalato. «Appena abbiamo messo le mani sull'interno, sono corsa qui.»

Il cuore mi batté ad una velocità spaventosa, quando vidi i fogli ripiegati più volte su se stessi, che vennero fuori dalla borsa di Ymir. «Allora... vediamo.» Trattenendo il respiro, dispiegai la carta e mi accorsi che si trattava di una lettera. La lessi ad alta voce, tremante. 

"Mio caro Sir Williams,
vi prego di non essere tanto impaziente da mandarmi i vostri uomini quando sono nel Formicaio. Ognuno ha bisogno dei suoi momenti per rilassarsi un po', giusto? Mi spiacerebbe che la vostra irruenza rovini tutti i nostri piani e non gradisco affatto la maleducazione. 
Mi merito un trattamento di favore, invece. Dovreste essermi molto, molto grato, perché è solo grazie a me se siete entrato nella lista dei corteggiatori del principe. O ve ne siete dimenticato? Ho messo io una buona parola su di voi con la Regina Jelani e ha accettato con entusiasmo. Ora, visto che non riuscite a stare tranquillo, devo anche ricordarvi cosa dovete fare?
Restate paziente. Non attirate l'attenzione, se non quella del principe Taye. Conquistatelo a tutti i costi. Se non riusciremo ad ucciderlo, allora entrerete in gioco voi: diventerete il Re e ci spartiremo il potere com'era da accordi. Se invece l'assassinio andrà a buon fine - ne ho una certa sicurezza - Quinn sposerà la principessa ereditaria e diventerà il sovrano. A quel punto, applicheremo le leggi anti-Omega che tanto desiderate.
Non preoccupatevi, Williams. Ho tante spie nel Palazzo d'Estate, alcune delle quali sono molto, molto vicine al principe Taye. Tuttavia, se siete ancora incerto di qualcosa e non potete proprio fare a meno di rivolgervi a me, usate Quinn come intermediario. E' uno stupido imbecille, ma fa quello che gli dico.
Un ultimo consiglio: non fatemi arrabbiare. Posso distruggervi facilmente."

E la lettera si concludeva così, senza una firma. 

«Non posso crederci. Quel disgraziato di tuo cognato...» sussultò Ymir, prendendo la lettera dalle mie mani per esaminarla meglio.

La testa mi girava, ma stavolta non era né per il trauma cranico, né per la gravidanza. «Il matrimonio...» ansimai. "A meno che tu non riesca a fermare queste nozze. Ma, be', ti ci vorrebbe proprio un miracolo. O chissà..." ecco cosa mi aveva detto Quinn, sorridendo con furbizia, perché sapeva cosa sarebbe successo. "O chissà..." Sapeva che le nozze non si sarebbero compiute per via dell'attentato. «Ma perché fermare il suo stesso matrimonio?»

Ymir si rabbuiò. «Perché se tu morissi dopo che lui si è sposato e fossi già impegnato con uno dei tuoi corteggiatori, faresti passare il titolo al tuo compagno. Invece, Quinn ha bisogno di sposare Tahani dopo la tua morte, morte che sperava accadesse il prima possibile, così la sua promessa sarebbe stata proclamata principessa ereditaria. E lui sarebbe diventato Re.»

Strinsi i pugni. Sapevo che Quinn fosse un bastardo, un disgustoso verme viscido, ma fino a questo punto? E chi diavolo aveva scritto quella lettera? Chi poteva essere tanto influente da convincere mia madre a mettere Lorence nella lista della gara di corteggiamento? "Ho tante spie, alcune delle quali sono molto, molto vicine al principe Taye" di chi si parlava? Rabbrividii. 

«Ora capisco perché abbiano fatto fuori Lorence.» osservò Ymir. «Sapeva troppo e questa ne è la prova.» Sventolò la missiva con fare eloquente. «Si è tenuto la lettera come garanzia, nascondendola nel rompicapo che ti ha regalato, dove nessuno l'avrebbe cercata. Così, se si fosse trovato in difficoltà, avrebbe potuto incastrare Quinn e sollevare un bel polverone.»

«Ma è troppo tardi.» sussurrai, spaventato. Lo avevano ammazzato. «Dobbiamo avvisare immediatamente mia madre. Lei si ricorderà chi le ha raccomandato Lorence per il corteggiamento!» esclamai, concitato. Finalmente avevamo una pista: era un peccato che Zakhar non fosse lì.

Ci catapultammo fuori dalla mia stanza e, senza fornire alcuna spiegazione alle guardie, corremmo a perdifiato verso gli appartamenti reali delle sovrane di Samarcanda. Sperai di trovare Tusajigwe Jelani lì: era sera, e se mia madre Dafne partecipava a cene e balli per intessere frivole relazioni diplomatiche, sapevo che Tusa apprezzasse la calma silenziosa della sua camera da letto.

Già dal fondo del corridoio iniziai a rallentare. Il mio cuore perse un paio di battiti. «Per tutti gli spiriti animali...» sussurrò Ymir, mentre io ammutolivo. Anche da lontano, riuscivamo a vedere che c'era qualcosa che non andava. 

Le guardie davanti alla porta della camera reale erano morte. La porta era spalancata. «Resta qui!» mi intimò Ymir, precedendomi ed estraendo la spada che portava nel fodero. Ma io la seguii lo stesso, anche se mi bloccai sulla soglia. L'orrore minacciò di farmi cadere sulle ginocchia.

I morbidi tendaggi erano stracciati e pezzi di stoffa sparpagliati ovunque. I mobili erano rovesciati, come se ci fosse stata una brutta colluttazione, e frammenti di legno e calcinacci si spargevano per la stanza. C'era sangue dappertutto. E piume nere. La firma del Falco.

E al centro di tutto, stesa in una pozza, sui tappeti orientali intrisi di rosso scarlatto, c'era la Regina Jelani di Samarcanda con la gola tagliata. 

Lanciai un grido terrificante e mi accovacciai al fianco di mia madre, dall'altro lato rispetto ad Ymir, che le stava sentendo il polso. «MAMMA!» urlai, tappandole la ferita aperta sul collo per cercare di contenere il sangue che ancora sgorgava copiosamente. «CHIAMA AIUTO!» gridai ad Ymir, singhiozzando, e la donna volò. «Mamma... Mamma, ti prego!» la chiamai, senza lasciarle il collo.

Tusa era una donna severa, rigida, che aveva fatto scelte sbagliate e aveva delle palesi preferenze. Ma era mia madre, la donna che mi aveva segretamente rimboccato tante volte le coperte, quand'ero piccolo, credendo che fossi già addormentato. La donna che mi aveva sorriso davanti ai miei successi di studio e che, della sua tribù, mi aveva raccontato qualche piccola storia, solo a me, come se fosse un segreto fra noi. Non potevo credere che fosse...

Aprì di scatto gli occhi. Annaspò, gorgogliando sangue dalla bocca, e poi sollevò debolmente la mano che stringeva a pugno, aprendola davanti a me. Aveva un pezzo di carta sul palmo. Un biglietto. Lo afferrai in fretta.

"Ho ucciso la regina, così possiamo finalmente stare insieme. Vieni sull'isola di Khiva, stasera. E non tradirmi portando con te delle guardie, perché io ho con me tuo fratello Tamsin... Sai cosa succederebbe, altrimenti. Ti aspetto con ansia, amore mio.

- Tuo, il Falco"

Boccheggiai, come se mi avessero dato un pugno nello stomaco, di quelli da mozzare il fiato. Zakhar mi aveva già scritto in passato, perciò potevo riconoscere la calligrafia. Era la sua. «No... No.» Non ci credevo. Non aveva senso. Non lui, io mi fidavo di lui, era il mio compagno. Il mio Alpha. 

Mia madre mi strattonò il polso, attirando la mia attenzione. Aveva un terribile colorito, ed era ridotta male, ma stava cercando di dirmi qualcosa. Non riusciva però a parlare con la gola in quello stato. Fissai le sue labbra in movimento: "T... u... o... f... r... a... t... e... l... l... o..."

Tornò di nuovo a strattonare la mano con cui reggevo il bigliettino. Soltanto adesso mi resi conto che certe lettere erano più calcate, rispetto alle altre.

"Ho ucciso la regina, così possiamo finalmente stare insieme. Vieni sull'isola di Khiva, stasera. E non tradirmi portando con te delle guardie, perché io ho con me tuo fratello Tamsin... Sai cosa succederebbe, altrimenti. Ti aspetto con ansia, amore mio."

Trappola. Non c'era nessun romantico incontro segreto. Mio fratello era in pericolo. Mio fratello e anche Zakhar, perché se aveva scritto lui il biglietto, aveva per forza anche calcato quel messaggio in codice. 

Un intero esercito di guardie e dottori, accompagnati da Ymir, si tuffarono nella stanza. La mia ex scorta mi allontanò dal corpo di mia madre, delicatamente, e poi si affiancò al resto delle guardie, troppo occupata per badare a me. Erano tutti troppo occupati per badare a me.

Così indietreggiai, mentre nessuno mi vedeva, e sgusciai fuori dalla camera. Solo nel corridoio, mi misi a correre. 

"Vieni sull'isola di Khiva, stasera" 

Bene. Se questa era la resa dei conti, non mi sarei certo fatto attendere.





⚜⚜

*N D A*

Hola!Pubblico anche questo sabato perché un paio di settimane fa avevo del tutto saltato l'aggiornamento, quindi eccoci qua. Sì, è stato un capitolo fitto fitto di cose, informazioni, colpi di scena. Inutile dire che siamo molto vicini alla fine, tenetevi forte!

Alla prossima <3

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