Regola n.44: non dubitare di me
Quando il Falco mi aveva detto, settimane prima, che si nascondeva uno schiavista nel mio palazzo, credevo che si trattasse di qualche membro della corte impelagato nella criminalità cittadina, magari qualche individuo corrotto che io conoscevo solo di vista. Quanto potevo essermi sbagliato?
Io lo schiavista lo conoscevo eccome. Era uno dei miei corteggiatori. Ci avevo passato del tempo insieme. Ci avevo chiacchierato, ci avevo ballato, probabilmente avevo anche riso insieme a lui, credendo che fosse una persona onesta. La realtà, ancora una volta, mi aveva preso in giro, schiaffeggiato ed insultato, giocando con la mia buona fede.
Come aveva fatto, mia madre, ad accettare fra la ristretta cerchia dei miei pretendenti qualcuno di simile? Come era riuscita a farsi sfuggire una simile informazione? Certo, aveva addirittura accettato Zakhar come mia scorta, senza rendersi conto che fosse il famigerato Falco. Ma, almeno in quel caso, si trattava della mia guardia del corpo.
Ma uno schiavista... come mio futuro marito, come futuro padre dei miei figli, come futuro Re! Era semplicemente inconcepibile. Non riuscivo ad accettarlo e il mio shock aveva peggiorato la situazione, nel Formicaio: tutti si erano mossi senza aspettare le mie direttive. Le guardie reali avevano arrestato i pochi personaggi loschi - barboni e drogati - trovati nelle caverne sotterranee. I sei Alpha avevano rovistato da cima a fondo nei cunicoli, alla ricerca di nascondigli, senza successo.
E io ero rimasto impalato, a non fare niente, solo profondamente preoccupato e disgustato. Non solo il problema "Formicaio" non era stato risolto, ma sapevo che, dopo l'imboscata di oggi, sarebbero presto tutti tornati a svolgere attività clandestine, più attivamente ma più segretamente di prima. Così sarebbe stato più difficile scovarli.
Inoltre, presto la notizia sarebbe giunta a mia madre, che invece appoggiava la criminalità di Samarcanda, perché riteneva che sacrificare altri Omega potesse proteggere i suoi figli. Ero così arrabbiato, furioso, scosso, nauseato e sospettoso di tutto e di tutti... Chi poteva essere stato? Chi osava, fra i miei pretendenti?
Akia, il Leone, che era destinato ad essere il mio primo marito e veniva dalla tribù di mia madre? No, non poteva. Jörvar, il Lupo Bianco, che mi aveva incoraggiato a combattere e mi aveva sostenuto in momenti di crisi? Nemmeno lui sembrava plausibile. Ma nemmeno gli altri quattro. Erano tutti principi o personaggi troppo illustri per abbassarsi a fare gli schiavisti.
A meno che...
Non c'erano soltanto i sei Alpha nella sala assemblee, quando parlavamo di rovesciare il Formicaio. C'era Zakhar. Ma non potevo credere a qualcosa di così terribile, non di lui, che voleva la caduta del Formicaio più di tutti. Non potevo credere che fosse lui lo schiavista. Insomma, perché avrebbe dovuto avvisarmi che ce n'era uno nel mio palazzo, altrimenti?
Eppure, quanto realmente ne sapevo del Falco?
Aveva detto che il Formicaio fosse un posto anarchico, dove ognuno faceva ciò che voleva, ma lui comunque riusciva ad esercitare un certo potere su di esso. Se lui avesse avvisato tutti quanti di andarsene prima del nostro arrivo, ero sicuro che gli avrebbero prestato ascolto. Magari, Zakhar mi aveva detto di uno schiavista nel palazzo soltanto per distogliere l'attenzione da sé.
Mi resi improvvisamente conto, con un tuffo al cuore, che io non sapevo niente del Falco. Né il suo passato, né le motivazioni che lo animavano. Forse Zakhar non era nemmeno il suo vero nome! Lui era il vero criminale della situazione. E, se non ricordavo male, sembrava conoscere l'uomo che, tempo addietro, aveva cercato di vendere all'asta i gemellini Omega che poi avevo salvato. Dietro ogni mio guaio c'era il Falco, che però era anche la mia anima gemella.
«...Ho bisogno di portare il principe al sicuro. Svolgeremo un'indagine approfondita su stanotte, ma per ora è il caso che nessuno di voi faccia parola di quanto è successo quaggiù. Intesi?» disse lui, rivolgendosi sia ai sei Alpha, sia alle guardie che stavano strattonando persone tanto intontite dalle droghe da non opporre resistenza.
Li sentii parlottare, distratto, mentre continuavo a guardare Zakhar come se fossi fuori dal mio corpo, in preda alla paranoia. Ogni mio sospetto e pensiero sembrava portare a lui, ma poi ripensavo a tutte le volte che mi aveva salvato, a tutte le volte in cui aveva creduto in me. A quelle in cui mi aveva baciato e stretto a sé, a quelle in cui mi aveva sorriso, dedicandomi parole imprevedibili. Ripensai alle volte in cui mi aveva chiesto di fidarmi di lui e in cui mi aveva detto che non mi avrebbe mentito, perché non aveva ragione di farlo.
Io amavo il Falco. Lo amavo abbastanza da sentire - percependolo nel profondo del mio essere - che non poteva essere lui lo schiavista.
«Andiamo.» disse, avvolgendomi le spalle con un braccio per accompagnarmi fra gli arzigogolati tunnel, sempre più lontano da occhi e orecchie indiscrete. Ad un certo punto, mi scostai dal suo tocco, deciso ad affrontarlo direttamente.
«C'eri anche tu mentre organizzavamo l'imboscata.» esalai, tutto d'un fiato, fissando il pavimento mentre digrignavo i denti. «Io non so niente di te, Zakhar. Niente di niente, perché non vuoi dirmi nulla! Come faccio a sapere che non sei tu lo schiavista?» Alzai gli occhi ambrati su di lui. «Mi hai anche detto che hai un'idea di chi sia il colpevole dei miei attentati, ma non vuoi rivelarmi neanche quello.»
Contrasse la mascella e affilò gli occhi. «Dopo tutto quello che abbiamo fatto, dubiti ancora di me?»
Mi aggrappai alla sua blusa nera e ruvida, stringendo il tessuto in due pugni. «Ti prego, ti prego, aiutami ad avere fiducia.» Lo stavo implorando. Perché nemmeno a me piaceva la situazione: era il mio compagno, per l'amor degli spiriti! Mi aveva indirizzato verso le scelte giuste e mi aveva protetto, molte volte. Certo, mi aveva anche detto che se mi fossi dimostrato un principe indegno, mi avrebbe ucciso. Ma quello era l'inizio di tutto, quando non ci conoscevamo veramente.
Zakhar mi piaceva, mi piaceva da morire... No, non era un sentimento così semplice. Lo amavo. Anche se sapevo di non potermelo permettere, visto quanti ostacoli c'erano tra di noi. Per questo non credevo possibile che fosse lui lo schiavista: non mi sarei mai innamorato di qualcuno di così orribile. Il mio compagno era migliore di così. E io percepivo che ci fosse del buono, nel Falco: combatteva, uccideva per una giusta causa.
L'Alpha sospirò, sollevandosi la camicia da sopra la testa e poi cingendomi la vita fra le braccia. «Allora tieniti forte.» Con uno scrocchiare d'ossa, spinse le ali fuori dalla sua schiena e i due grandi arti piumati mi circondarono in un abbraccio nero come la mezzanotte. Poi spiccò il volo e io mi aggrappai a lui.
⚜⚜⚜
«Dove stiamo andando?» gridai sopra il fischio del vento, nascondendo il viso contro il suo petto e tenendo strette le palpebre per la velocità del volo. Riuscivo a vedere solo parzialmente la città che scorreva sopra di noi, captando il luccichio del Casinò e del grande santuario del Delfino Dorato a sud, molto vicino al mare, lì dove il piccolo fiumiciattolo della città aveva il suo sbocco.
Il Falco non mi rispose, ma si alzò di quota, sempre più in alto, al punto che credetti volesse raggiungere le nuvole. Ma poi, improvvisamente, atterrò e con delicatezza mi lasciò andare, permettendomi di guardarmi intorno.
Mi trovavo sul ciglio di un balcone, privo di ringhiere, che si affacciava sulla città da una un'altezza vertiginosa di centinaia di metri. Grandi archi di pietra scolpita e merlata, del colore della terra bruciata, creavano punti d'accesso per la terrazza a cielo chiuso, riparata da una grande cupola istoriata, da cui scendevano moltissime lanterne colorate. Le candele, al loro interno, diffondevano bagliori variopinti che si riflettevano all'interno, rimbalzando sui tanti specchi infranti posizionati agli angoli della terrazza.
Infranti, come se qualcuno ci avesse tirato un pugno sopra. Mentre camminavo davanti ad essi, la mia immagine si riflesse nelle tante sfaccettature rotte e, dietro di me, c'era Zakhar che mi osservava, con le spalle appoggiate ad un arco, proprio vicino al vuoto.
Sembrava la cima di una torre altissima, oppure di un faro, che era riempita da lanterne, candele, specchi e tendaggi che svolazzavano ad ogni folata d'aria, gonfiando il tessuto viola e azzurro come se spettri si introducessero nella stanza.
La sala era riempita da un grande letto, cuscini di seta e una scrivania, sopra cui c'erano molti ritagli di giornale e, a loro volta, erano stati appoggiati sassi a mo' di fermacarte. Il pavimento era di legno coperto da tappeti - e qualche piuma nera - ma c'era una botola che risaltava e mi lasciava immaginare si potesse scendere di sotto, verso altre zone della torre-faro.
«Questo posto è...?» Avevo un'idea, ma non volevo darne voce per non sembrare presuntuoso, perché non mi immaginavo che Zakhar mi portasse realmente a casa sua. Un posto che sembrava uscito da un sogno, ma che, in fondo, era molto reale: il panorama si affacciava sulle strade bianche di Samarcanda. Si vedeva il suq, il fiume, la via della seta, i santuari e soprattutto il Palazzo d'Estate, casa mia, allineato sopra una falce di luna che risplendeva nel cielo.
«Il mio nido.» rispose il corvino, gettando sul letto la blusa, che si era allacciato intorno alla vita prima del volo, e venendo verso di me. Una brezza gentile penetrò all'interno della terrazza e una tenda arrivò a toccarmi, lentamente, prima che lui mi raggiungesse. Appoggiò una mano contro la colonna dell'arco contro cui posavo il peso del corpo, come inchiodandomi.
Il suo nido. Aveva tutta l'aria di esserlo. E scommettevo che, nelle stanze di sotto, non ci fossero scale per rendere raggiungibile la torre dalla strada, così che potesse raggiungere la sua casa soltanto chi era capace di volare. Perciò lui mi aveva appena portato in un luogo impossibile da raggiungere, la sua base, la sua dimora, e questo aveva il sapore di nuovo segreto condiviso, che mi fece fremere con un brivido piacevole.
«Te l'ho già detto quando sono state trovate le piume nella bomba. Qualcuno sta cercando di incastrarmi e di rendermi il colpevole perfetto, ai tuoi occhi. Non dubitare di me, Taye, solo perché ho molti segreti.» disse, accarezzando la mia guancia e lasciando scorrere le dita fra i miei ricci fitti. Spinsi lo zigomo contro il suo tocco, accoccolandomi in quella carezza.
«Non mi piace farlo. Dubitare di te. E non penso davvero che sia tu lo schiavista.» Lo osservai attraverso il poco spazio che ci divideva, ed ebbi l'impressione che l'aria fra di noi crepitasse, come prima di una tempesta, per la tensione e il desiderio. «E' solo che vorrei davvero capire chi sei, Zakhar.»
Si avvicinò ancora, introducendo un ginocchio fra le mie cosce, schiacciandomi contro il pilastro su cui poggiavo. Sentivo contro la schiena ogni scanalatura della pietra e sui fianchi il calore delle sue mani callose. Era inebriante. E pericoloso, abbastanza da farmi dimenticare il motivo per cui lui mi aveva portato lì.
«Ma lo sai. Sono il Falco. Quello pericoloso che uccide i corrotti e che ruba ai ricchi per dare ai poveri.» disse, con uno dei suoi suadenti sorrisi oscuri ed insieme ironici. «Ma sono anche quello che spera da tutta la vita che il Formicaio cada e che fino ad ora non ha fatto che proteggerti.»
«So cosa hai fatto e so che sei il Falco.» Allungai il viso nella sua direzione, vicino alle sue labbra, per soffiare a bassa voce: «Ma chi c'è veramente dietro la maschera dello spaventoso Alpha?» Gli avvolsi il torace con un braccio, tenendolo stretto a mia volta e aggrappandomi con la mano alla base di una delle sue ali, per non lasciarlo andare. «Io mi fido di te. Ma anche tu devi fidarti di me.»
Nel volo aveva perso la lentina che gli nascondeva l'occhio viola e adesso il suo sguardo era ritornato quello autentico, eterocromatico, che io ricordavo: un occhio azzurro intenso e l'altro d'ametista, sotto il sopracciglio segnato da una cicatrice laterale, netta, tagliente come i suoi lineamenti. Il modo in cui mi fissava, così, era ancora più penetrante.
«Sono nato nel Formicaio. Ecco perché lo conosco così bene e disprezzo così tanto quel posto. Mia madre era un'omega straniera, che fu importata come schiava qui in Oriente.» Una Omega. Ecco perché Zakhar aveva così a cuore i nostri diritti.
«Era...?» sussurrai, con la pelle d'oca, e il corvino mi rivolse un sorriso amaro, di conferma. Era. Parlava al passato perché sua madre era morta.
«Era già incinta di me quando è stata portata con la forza nel Formicaio. Mi ha raccontato che mio padre morì nel tentativo di salvarla.» Scrollò le spalle. «Volevano metterla nel giro della prostituzione, ma era una donna furba. E' riuscita a scappare e ci siamo nascosti per anni, continuando a spostarci nelle profondità del Formicaio. Siamo sopravvissuti col contrabbando di veleni e lo spaccio di droga: volevamo salire in superficie, ma era troppo pericoloso per una omega e un bambino.»
Deglutii. Avevo paura per la continuazione di quella storia, sentivo che mancasse il lieto fine. «E poi..?»
«E poi è successo. Abbiamo cercato di lasciare il Formicaio, specialmente per causa mia, perché stavano iniziando a crescermi le ali e restare lì era contro la mia natura volatile, mi soffocava. Ma quel posto sa essere una vera trappola per chi ci vive dentro.» Socchiuse gli occhi e strinse i denti. «Ci hanno scoperto.» In nessun punto della storia aveva distolto lo sguardo, che adesso era diventato oscuro, macabro, davvero tremendo. Fu difficile, per me, sostenere i suoi occhi.
«Il proprietario di mia madre, un nobile che teneva le redini di molte attività di prostituzione, per punirla di essere scappata per tutti quegli anni e per avergli fatto perdere molti soldi, l'ha violentata davanti ad una folla. E ha lasciato che altri abusassero di lei.» Aveva un tono davvero gelido, gelido di rabbia. «Io c'ero. Ho visto.» Lo shock mi riempì gli occhi di lacrime. «Nessuno ha mosso un dito, ovviamente. Perché era soltanto una omega nel Formicaio, una dei tanti. E io ero troppo piccolo per salvarla.» Prese dei respiri profondi, che gli scossero il petto e che io sentii vibrare fra le mie mani, mentre lo stringevo, lo abbracciavo, e non osavo dire nulla.
«E dopo, per la disperazione, la vergogna, e l'ostinazione di non appartenere a nessuno, mia madre si è uccisa.» concluse, lasciandomi a bocca aperta. Non me n'ero neppure accorto, ma le lacrime mi sgorgavano copiosamente sulle guance, ma me le asciugai velocemente, come se non avessi il diritto di piangere per quella storia, non io che avevo sempre vissuto nella comodità del mio palazzo, coperto di bei vestiti, gioielli e tanti privilegi.
«Sai chi era il proprietario di mia madre? Il colpevole di tutto?» Fece una pausa, mentre io riprendevo fiato, dopo averlo trattenuto tanto a lungo. «Quel tuo prozio, quello che era colpevole anche degli abusi su alcuni accoliti del Tempio del Cervo Grigio.» Quello che aveva ucciso quando io ero ancora un adolescente inconsapevole di tutto. Quello che lo aveva reso il famoso Falco. Avevo gli occhi sgranati. «Capisci perché non volevo dirtelo?» Scosse la testa, corrugando la fronte con vera e propria sofferenza. «E' una storia troppo brutta.»
Era una storia agghiacciante, tremenda, di cui mi sentivo quasi colpevole, soltanto perché l'aveva ordita un mio parente. «Mi dispiace. Mi dispiace tanto... E mi dispiace perché le mie scuse sono così stupide, non servono a niente, non riporteranno indietro tua madre.» sussurrai, con la voce rotta dal pianto. «E mi dispiace per aver avuto dei sospetti su di te, non avrei mai dovuto, potuto e voluto dubitare-» stavo balbettando, perché ero mortificato e sconvolto.
C'erano state troppe emozioni, per stasera, ed era quasi difficile starne al passo. Zakhar mi prese il viso fra le mani, abbozzando un sorriso triste. «Non è colpa tua. E poi, sono io quello che ti ha rapito e che era pronto ad ucciderti. Mi aspettavo fossi un principe viziato ed egoista, invece mi hai sorpreso più di quanto potessi immaginare. E invece che combatterti, mi sono ritrovato a combattere insieme a te. Per te.»
Mi alzai sulle punte dei piedi e lo baciai, stringendogli con una mano la base dell'ala e con l'altra la nuca, infilando le dita fra piume e capelli. «Ti amo, Zakhar.» sussurrai, contro le sue labbra, con la voce un po' tremante ma carica d'emozione. «Non posso dubitare di te, perché ti amo.»
Non mi rispose, però sorrise e mi baciò più forte, trascinandomi sul suo letto morbido come una nuvola. Aveva ancora le ali spalancate, perciò rimase sopra di me, a coprirmi la luce con l'ampia apertura alare. Mi spogliò lentamente, guardandomi negli occhi, con meno impeto selvaggio del solito e più desiderio di goderci quel momento, facendolo durare più a lungo possibile.
«Sei stupendo.» sussurrò, guardandomi steso e nudo fra i cuscini di seta, la mia pelle nocciola che spiccava contro le lenzuola color pesca e le mie mani sul suo petto, che lo accarezzavano e seguivano il battito rapido del suo cuore. Ansimai quando le sue labbra mi baciarono ovunque, lappando e mordendo la mia carne. Volevo così tanto - così tanto - che mi marchiasse, ma gli unici segni che lasciò sul mio corpo furono i numerosi succhiotti fra le mie cosce.
Inarcai la schiena e urlai di piacere quando entrò dentro di me, prendendosi tutto il tempo prima di iniziare a muoversi, per assaporare quell'istante. Quello era un altro livello d'unione, un altro modo di fare l'amore, ancora più profondo, da lasciare senza fiato. Ad un certo punto, mentre i nostri corpi combaciavano, allontanandosi ed avvicinandosi - ancora e ancora e ancora - si alzò in volo e continuammo mentre lui volava.
Atterrò, con un cigolio di molle, soltanto quando raggiungemmo l'amplesso insieme e lui venne dentro di me, con un lungo sospiro di piacere, che si intrecciò al mio gemito e poi venne trasportato via dal vento. Alla fine, rimasi con le gambe avvinghiate alle sue, la guancia sul suo petto e un braccio che mi circondava le spalle per tenermi più vicino a lui.
«Pensi che lo schiavista e il mio attentatore siano la stessa persona?» domandai, dopo un lungo momento di silenzio passato a fissare le lanterne sopra la nostra testa, tenendo le mani intrecciate alle sue.
«Non lo so. Ma ormai sappiamo che lo schiavista è uno dei tuoi pretendenti e non credo che loro abbiano un interesse nella tua morte. Anzi, sposandoti diventerebbero sovrani di conseguenza, quindi perché ucciderti?» rifletté, accarezzandomi la schiena. «Sarebbe controproducente. Però penso che potrebbe esserci un collegamento, fra lo schiavista e il colpevole degli attentati. Forse, se catturiamo il primo, potremmo avvicinarci al secondo.»
«Quindi che facciamo?» chiesi, reclinando la testa per guardarlo, mentre lui invece abbassava il capo.
Mi sorrise, con quelle sue espressioni scaltre e malefiche, di chi aveva già ordito un piano da un pezzo. «Gettiamo l'amo e vediamo chi abbocca.»
⚜⚜⚜
*N D A*
Hola a tutti!
Scusate il ritardo per l'aggiornamento, ho avuto pochissimo tempo per scrivere e questo, tra l'altro, è stato un capitolo abbastanza impegnativo (e anche più lungo)! Spero che vi sia piaciuto, alla prossima <3
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