Regola n.43: preparati al peggio


«Questo come mi sta?» cinguettò Tahani, mentre volteggiava sopra il piedistallo sollevando un po' i lembi della gonna per mostrare le scarpine di seta con un tripudio di fiori di pizzo abbinati a quelli dell'abito. Sembrava una bomboniera e non riuscivo nemmeno a credere che fossi stato svegliato presto e trascinato con la forza in quel dannato negozio di abiti da sposa.

«Bella, splendida, di-vi-na!» esclamò Amnon, il mio governante e anche un grande consigliere di stile, col suo irritante falsetto, che con le mie poche ore di sonno non aiutava. Lentamente mi stavano calando le palpebre. «Però andiamo al prossimo! Potreste essere ancora più bella, vedrete principessa, sarete la sposa migliore!»

«Oh spiriti...» ansimai, sprofondando nella poltrona imbottita di fronte al piedistallo, le braccia lungo i cuscini, la testa contro la spalliera e le palpebre pericolosamente pesanti. 

«Tayeee, tu cosa ne pensi? Mmhh?» chiese mia sorella, sistemandosi una tiara di diamanti e conchiglie sopra la testa. Mi raddrizzai di colpo, sentendo Tamsin ridacchiare insieme a mia madre Daphne, seduti l'una alla mia sinistra e l'altro alla mia destra. Al centro, sembravo avere fin troppa rilevanza nella scelta di uno stupido abito da sposa.

«Eh sì, splendida, di-vi-na.» ripetei meccanicamente quanto detto da Amnon. Era già il quinto vestito che Tahani provava, senza contare che l'abito nuziale se l'era già fatto realizzare da uno stilista rinomato e cucito su misura da una celebre sarta. Si era fissata di volere un secondo abito dalla sartoria di moda in cui ci trovavamo, solo perché le riviste di tendenza sostenevano che per una sposa fosse necessario un cambio d'abito. 

Ero talmente esasperato che volevo cavarmi gli occhi. «No, non mi piace! Passiamo al prossimo vestito!» disse la principessa, schioccando le dita in direzione degli zelanti commessi. Poveri commessi. «Il matrimonio è fra poche settimane e non abbiamo ancora trovato un secondo vestito decente! Per tutti gli spiriti animali!»

«Hani, non c'è ragione di essere nervosa, sei sempre bellissima qualsiasi cosa indossi...» borbottò Tam, invidioso, sbocconcellando un biscotto dal tavolino posto accanto alle nostre poltrone, dal rinfresco di benvenuto preparato dallo staff del negozio. Era evidente che non vedessero l'ora di avere la famiglia reale come clienti.

«Tuo fratello ha ragione, Tahani. Dovresti prendere più seriamente questa unione, un abito in fondo è soltanto un abito. L'importante è che tu ci sia, con tutta l'intenzione di completare la cerimonia.» intervenne mia madre, lisciandosi la gonna dello sfarzoso abito color bronzo che indossava, così simile al colore della sua pelle che la stoffa setosa sembrava un prolungamento del suo corpo.

«Sì?? Voi dite che a Quinn piacerà?» Mia sorella sospirò, sistemandosi i fiocchi sul corpetto del nuovo vestito. «Stringete di più questo corsetto!» strillò, curvando il viso in direzione dei commessi dietro di lei, che le allacciavano il nuovo abito che stava indossato e calzava come un guanto sul corpo flessuoso, con ogni curva al punto esatto. «Sapete, il mio futuro marito è un tipo piuttosto esigente!»

Volevo stamparmi una mano in fronte, ma mi limitai ad alzare gli occhi al cielo in maniera "discreta". Come potevo dirle che non m'importava un accidenti di che tipo fosse Quinn? Come potevo convincerla a non sposarlo, visto che Tahani sembrava vivere in funzione del suo stupido matrimonio?

«Vado a chiedere di farmi un tè alla menta.» sussurrai ai famigliari raccolti intorno a me, alzandomi dalla poltrona, sentendo più che altro l'esigenza di allontanarmi da quelle estenuanti prove d'abito. Se fossi rimasto ancora un minuto, avrei rischiato di schiaffeggiare mia sorella per tentare di darle una svegliata. Non che servisse davvero a qualcosa: dubitavo cambiasse idea sul suo idiota di futuro marito. «Torno presto.» avvisai mia sorella, poi me la svignai più veloce del vento.

Zakhar, ovviamente, era lì con noi: anche se un centinaio di vestiti da sposa non sembravano potenzialmente mortali, chiunque avrebbe potuto elaborare un attacco all'interno del negozio, perciò fuori dal palazzo più che in qualsiasi altra occasione, la sua presenza era preziosa.

Quando vide che mi stavo allontanando dalla zona della prova d'abito e dai camerini, si staccò dalla sua posizione statica contro al muro e mi seguì nei corridoi pieni zeppi di abiti, veli e stoffe. «Un criminale in mezzo a tutti questi fiocchetti... Fai quasi ridere.» sussurrai, curvando le labbra in un sorriso divertito. Alzò il sopracciglio in un'espressione compiaciuta: tutto vestito di nero, spiccava davvero tanto fra la carta da parati color pastello e le rastrelliere piene d'abiti candidi. 

«Se qualcuno mi avesse detto, mesi fa, che mi sarei ritrovato in un negozio di abiti da sposa col principe ereditario, ammetto che avrei avuto qualche dubbio.» Fece un passo nella mia direzione, abbastanza vicino da spingermi con la schiena contro un mucchio di abiti, inglobandomi sotto centimetri di tulle. «Ma la vita è imprevedibile, Taye.» sussurrò, molto lentamente, facendomi intrecciare lo stomaco.

Afferrò un lungo velo, sospeso accanto alla mia faccia, facendomelo calare sul capo. «E un giorno - molto vicino, secondo i calcoli delle tue madri - potresti trovarti anche tu sotto a questo velo.» La sua espressione mutò dall'ironia al divertimento, dall'ilarità alla totale incomprensione. Rimase in silenzio, fissandomi attraverso il tulle mentre io arrossivo. «Ma guarda quanto sei carino.» Il suo tono sembrava sarcastico... Ma non solo quello.

Per un breve istante in cui i nostri occhi restavano incrociati, al di là della stoffa trasparente, mi chiesi come sarebbe potuto essere un matrimonio con lui. Ma era un futuro del tutto irrealizzabile.

«Ma piantala...» Strattonai via il velo da sopra alla mia testa. «Sappiamo bene entrambi che non mi sposerò! I piani non sono quelli.» sibilai, cercando di non farmi sentire dalla stanza adiacente, dove c'era anche mia madre. Schioccai la lingua contro al palato, scontento. «E non prendermi in giro. Niente velo per me. Non sarò la sposina di nessuno, sarò il Re.» affermai, caparbio. «Già è difficile, se non impossibile, cercare di far capire a mia sorella che sposarsi con quell'idiota di Quinn sia una pessima idea.»

«Attento, Taye. Quell'Alpha non è un idiota.» mi corresse Zakhar, affilando le palpebre. «Anzi. Sa molto bene cosa sta facendo. La volpe non è arrivata all'uva e adesso si accontenta di ciò che sta a portata di mano, solo perché così potrà raggiungere i suoi scopi. Stare nella famiglia reale, avere potere e prestigio.»

«Peggio! Un ulteriore motivo per mollarlo all'altare!» sbraitai, stringendo i pugni. Mi ci voleva un miracolo dagli spiriti per scongiurare le stupide nozze di Tahani.

«E' tua sorella che non brilla d'intelligenza.» continuò il Falco. Stavo per intimargli di non insultare Tahani, ma lui continuò: «Ha avuto molti segnali sul suo futuro marito, ma ha preferito ignorarli e dare la colpa agli altri se il comportamento di Quinn era discutibile. Questo genere di persona non vuole essere aiutata. Dovrà scontrarsi da sola con la verità e se sarà troppo tardi, allora peggio per lei.»

«Spiriti...» sospirai. «Ma hai mai avuto qualcuno a cui tenevi? Non posso lasciare che mia sorella minore "si scontri con la verità" se questo significa che si farà del male e soffrirà!» sbottai, stringendo nei pugni il tessuto degli abiti che mi circondavano, letteralmente rubandomi l'aria e lo spazio. 

«Sì, ho qualcuno a cui tengo.» rispose, piegando le labbra in un sorriso sghembo. «E indovina? Anche lui si è scontrato con la verità. E' successo quando qualcuno gli ha drogato il cibo, inducendogli il calore, e si è accorto di che razza di animali stava pensando di prendersi come mariti.» 

Ah. Stava parlando di me. Avvampai violentemente, distogliendo lo sguardo dal suo mentre con gli incisivi mi azzannavo il labbro inferiore. Il fatto che ammettesse così schiettamente di tenerci era una novità. Del resto, non avevo ancora imparato a capire come ragionava il Falco. «Non funziona sempre così... Per me è diverso.» mormorai. Perché a me non importava veramente di nessuno dei miei corteggiatori, perché ero innamorato di Zakhar. Ma a mia sorella importava davvero di Quinn.

Il Falco mi passò una mano fra i riccioli, rabbonendo l'espressione. «Quello che sto cercando di dirti è che non sempre le persone sono disposte ad ascoltarti e costringerle a vedere le cose dal tuo punto di vista potrebbe soltanto peggiorare tutto.» Le sue dita callose passarono sulla mia guancia e si fermarono sul mento, che mi prese fra le dita e mi sollevò nella sua direzione. «Ma prima o poi capirà. Fino ad allora, cerca di non preoccuparti troppo per questa faccenda. Hai già troppo a cui pensare.»

«Se non ti conoscessi, direi che ti stai preoccupando per me.» dissi, aggrottando la fronte. In fondo, si trattava pur sempre del Falco. Evidentemente aveva le sue strane ragioni per dirmi quelle parole, magari uno strano piano segreto. 

Invece, Zakhar mi avvolse la vita fra le braccia, seppellendoci più a fondo fra i corridoi di abiti da sposa. Affogato fra balze di seta bianca e il suo abbraccio nero come la pece, sentii le sue labbra sfiorarmi l'orecchio e la sua voce che sussurrava, come una carezza di velluto nei miei canali uditivi: «e sarebbe così sbagliato?»

Rimasi talmente di sasso che non seppi cosa rispondergli, ma il desiderio di baciarlo mi fece formicolare deliziosamente le membra. Mi abbandonai mollemente a quella stretta, ricordandomi però, solo qualche secondo dopo, che eravamo ancora nel negozio di abiti da sposa, che mia sorella si stava sicuramente chiedendo dove fossi finito e che mia madre avrebbe trovato la cosa stranamente sospetta. Mi staccai.

«A che punto è l'organizzazione dell'imboscata nel Formicaio?» cambiai argomento, ma anche quello era molto importante per me. Le dita - solide, sensuali, calde, maledette - di Zakhar si allontanarono dai miei fianchi, appoggiandosi alle impugnature dei suoi coltelli. 

«E' tutto pronto e tutti hanno mantenuto il silenzio. Ora dipende da te: basta che tu dia l'ok e avviserò i tuoi pretendenti di prepararsi per la serata.» mi avvisò senza scendere nei dettagli, in maniera pragmatica. Mi fidavo di lui: se aveva preparato un piano per entrare di soppiatto nelle fondamenta segrete della malavita di Samarcanda, sicuramente era buono.

«Prima è, meglio è. Credi sia possibile avvisarli che domani sarà il giorno?» decisi. Lui annuì. «Bene allora, domani.»

Il Falco strinse le labbra e serrò la mascella. «Preparati al peggio, Taye.»


⚜⚜


E il peggio arrivò.

Solo che io non me lo aspettavo. Non in quel modo. Non così

I miei corteggiatori avevano cercato di convincermi a non partecipare all'imboscata con loro, perché sarebbe stato troppo pericoloso e si sarebbe presentata una ghiotta occasione per attaccarmi, in un momento di tumulto in cui avrei potuto anche trovarmi privo di protezione, perché tutti gli Alpha sarebbero stati troppo occupati a combattere con i criminali del posto.

Non m'importava. Il gioco valeva la candela: potevo accettare qualche rischio e non avevo paura. La possibilità di sgomberare il Formicaio era troppo importante e preziosa per farsela scappare e io dovevo essere lì, dovevo guardare quel maledetto posto cadere.

Così seguimmo tutti alla lettera le indicazioni di Zakhar: entrati di soppiatto da una rete fognaria, discesi fra gallerie segrete, serpeggiando in tunnel sempre più profondi... C'erano molti modi per raggiungere la Samarcanda sotterranea. C'eravamo portati dietro frotte di guardie e la nostra operazione non doveva essere passata inosservata, ma se la voce aveva raggiunto la Regina Jelani, ormai era troppo tardi per fermarci.

Tutti i sei Alpha che mi corteggiavano erano equipaggiati con armature e le loro armi migliori. Anche io: portavo con me la spada che mi aveva regalato il Lupo Bianco ed indossavo un'armatura leggera in cuoio rigido. Il Falco mi stava praticamente incollato, come se temesse per la mia incolumità e sapesse che "il peggio" sarebbe stato un attacco multiplo alla mia persona. Tanti criminali su un solo principe per assicurarsi una taglia spaventosamente alta. 

Non importava. Non avevo paura. L'unico pensiero che mi mandava avanti, era che avrei liberato molti più Omega di quanti ne avessi mai conosciuti in vita mia. 

La verità era che nessuno si aspettava che "il peggio" fosse un mortorio assoluto. Perché il Formicaio, con la sua solita attività brulicante di vita, di crimini orrendi, di traffici umani, droghe e sangue, stasera era vuoto. Non c'era nessuno, a parte qualche barbone e qualche drogato che sembrava incapace di formulare pensieri lucidi. 

Non c'era nessun prigioniero. Non c'era nessun pericoloso aguzzino, nessuna folla. Non c'era quasi niente, come se il Formicaio fosse tutta una grossa leggenda metropolitana, qualcosa che non esisteva. I sei Alpha e le guardie reali rimasero di sasso. 

Mentre Zakhar, invece, si piegò sul mio orecchio per bisbigliare: «Sai che significa? Che le uniche persone che sapevano dell'imboscata, da abbastanza tempo da poter avvisare tutti di non farsi trovare nel Formicaio, sono i tuoi Alpha. Lo schiavista, la spia, è uno di loro.» 

"Preparati al peggio", aveva detto il Falco. Ma non ero preparato a questo.  

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