Regola n.40: scappa!
«Mmmh... ba-basta.» mugugnai, mettendo una mano sulle labbra del principe Rajat per frenare quei baci. Se fossi stato mio fratello Taro, ci avrei messo un attimo a rimettere a posto i pretendenti insistenti, anche se si trattava di Alpha: lui sapeva sempre cosa dire e cosa fare con chi se lo voleva portare a letto. Era una specie di superpotere tutto suo.
Invece io, il cui primo bacio e prima volta era stata rubata - in maniera piuttosto consenziente, in realtà - da un criminale, non sapevo da che punto iniziare. Con tutta questa faccenda del corteggiamento, rifiutare le attenzioni di Rajat, oppure Akia, o il Lupo Bianco, sembrava... inappropriato.
Stupida diplomazia. Stupido senso del dovere. Stupidi sentimenti per Zakhar. Stupido matrimonio obbligatorio. Quello non l'avrei mai fatto però, non importava quanto mi costringessero: l'intenzione iniziale era farmi odiare dai miei corteggiatori. Prenderli in giro, raggirarli, farli scappare. Fino ad ora, non ero nemmeno riuscito a mettere la cosa in pratica!
«Aspettate.» Il principe Rajat mi strinse il polso, leccandosi le labbra. Sembrava che, adesso che aveva avuto un assaggio, non fosse disposto a lasciarmi andare tanto facilmente. E infatti fece per inclinarsi sulle mie labbra, di nuovo.
«Devo ballare con molti altri ospiti!» esclamai, sgusciando via dalla sua presa come una lucertola dal pugno di un bambino.
Prima che potesse fermarmi, io mi ero già infilato fra la folla, inseguito da decine di occhi indiscreti e curiosi. A sbarrarmi la strada per primo fu Thiago, il famoso Duca spezzacuori. Mi mostrò un sorriso da copertina e si ravvivò all'indietro la chioma mogana. Aveva una corona di rose rosse incastrata fra le corna da toro, un mantello scarlatto e un bolero nero e oro, con le spalline piene di frange. Non sapevo che razza di spirito animale stesse incarnando - lo spirito del kitsch, forse - e non glielo chiesi neanche.
«Finalmente un'occasione per ballare di nuovo insieme.» esordì, rivolgendomi uno sguardo ammaliatore. Sarà stato pacchiano, però capivo perché tutti a corte avessero perso la testa per lui: era veramente attraente! Io però non avevo voglia di passare del tempo con lui. Avevo l'impressione che fosse quel genere di Alpha che volesse sposarmi per avere un marito da esibire alle feste, per fare bella figura.
Mi avvolse la vita fra le braccia e mi fece fare una giravolta, prima di ritornare composti, con le mani sulle sue spalle e il volto reclinato nella sua direzione. «Posso farvi una domanda, duca?»
«Tutto quello che volete, gioiellino.» sciorinò, accarezzandomi la guancia con le nocche della sinistra, delicatamente, proprio come se fossi un fiore e avesse paura di sgualcirmi.
«Vedo come vi guardano le persone. E vedo come voi interagite con loro.» Spostai lo sguardo ambrato da lui alla folla circostante, che ci guardava. «Perché volete incastrarvi in questo stile di vita? Non credo che sposarci funzionerebbe. Voglio dire...» Mi morsi il labbro inferiore. «... i matrimoni reali obbligano alla monogomia.» Era chiaro cosa volessi dire fra le righe. Non lo credevo capace di essermi fedele.
Quell'insinuazione lo lasciò senza parole. Fuori uno dal gioco. «Ho altri ospiti con cui danzare, ma grazie per il ballo!»
«Principe, aspettate! Non...» cercò di rispondermi, ma era troppo tardi. Jorvar mi aveva preso per mano e aveva fatto di me il suo nuovo compagno per le danze. Non era un grande ballerino, a differenza di Thiago, che sapeva esattamente che cosa fare, tanto che sembrava stesse fermo in mezzo alla folla che si dondolava ed eseguiva passi elaborati.
Lui indossava una maschera da lupo bianco, esattamente in tema con ciò che era, ed era talmente ben fatta che sembrava vera, ricavata dal muso impagliato di una bestia. Con le labbra esposte, i capelli biondo platino ben pettinati e gli abiti di seta bianca, sembrava venuto fuori da una favola nordica, oppure da una di quelle palle di vetro con la neve dentro. Sarebbe stato l'abitante perfetto.
«Ho saputo quello che vi è successo.» disse, puntandomi con gli occhi di ghiaccio attraverso i fori della maschera. «Mi dispiace. Dev'essere stato estremamente pericoloso. E voi estremamente spaventato.»
«A dir la verità, è stato tutto troppo veloce per provare qualcosa.» dissi, incapace di non essere onesto con lui. «Lo spavento è venuto dopo. Quando mi sono reso conto che, ancora una volta, l'assassino era troppo vicino a me e io ho avuto solo tanta fortuna.» ammisi, abbassando lo sguardo. Mi prese la faccia fra le mani per sollevarmela, spingendomi a guardarlo in volto.
«Ricordate, non avete bisogno che io vi inviti per venire ad allenarvi con me nella palestra d'addestramento.» mi rincuorò con sincerità e serietà, non mi stava prendendo in giro.
«Lo sapete che non sono per niente bravo. È più facile che mi colpisca da solo.» replicai, non con autocommiserazione, più come un'accettazione delle mie misere capacità fisiche. Questo non significava che mi sarei arreso. «Ma avete ragione. Dovrei continuare a fare pratica.» Anche solo per smettere di sentirmi impotente ed indifeso. «Grazie per l'offerta.»
«E se temete per la vostra sicurezza, di notte, potete dormire nella mia stanza com'è già successo.» propose, facendomi arrossire un poco. «Non vi farò niente.» aggiunse, avendo la premura di specificarlo.
«Non ne dubito.» Annuii, allentando la presa sulle sue mani. «Ci penserò. Godetevi il resto della festa.» E mi congedai, passando subito al prossimo Alpha da salutare, visto che tutti loro mi marcavano stretto come guardie del corpo.
Finii fra le braccia di Akia, che era davvero appariscente vestito da leone, con una maschera color rame scintillante su metà viso, i lunghi dread intorno alle spalle muscolose e tutto il petto scuro dipinto da pittura tribale bianca.
«Taye!» Mi fece fare una giravolta e, infine, mi strinse alle spalle, allacciando le braccia intorno al mio bacino. «Appena mi hanno detto la notizia mi sono davvero preoccupato. Non ho avuto il tempo di venirvi a trovare, ma sono felice di vedere che non siete rimasto ferito. Come state?» Il suo respiro si ripercuoteva sulla mia spalla ingioiellata e il ricordo della nostra ultima notte insieme mi fece provare un'acuta vergogna.
«Sto bene, sono tutto intero e nessuno si è fatto male. E' ciò che importa.» risposi, ruotando il bacino per ritrovarmi di fronte a lui, premuto contro al suo petto.
«A me importa di voi.» incalzò, accarezzandomi il volto con la punta delle dita massicce. «E' un peccato non essere riusciti a parlarci, dopo la nostra giornata insieme. Devo pensare che non vi sia piaciuta?» Gli occhi scuri esaminarono il mio volto attraverso i fori della maschera. «O forse mi sono spinto troppo oltre e vi ho spaventato?»
«No!» esclamai, in fretta. Non ero un povero piccolo Omega terrorizzato dalle attenzioni dell'Alpha grande e grosso. Scossi il capo, più lentamente. «Non è questo.» Come potevo dirgli che in quel momento mi ero lasciato andare solo perché ero arrabbiato che il Falco - il famoso fuorilegge - avesse invitato a cena mio cugino? Come potevo ammettere che in realtà stavo pensando al mio vero compagno, anche se non dovevo?
«E allora cosa?» chiese, confuso quanto curioso di sapere la verità. Gli interessavo davvero, era questo il problema con Akia. Doveva essere lui mio marito, invece aveva finito per essere coinvolto in una gara di corteggiamento con altri contendenti, senza nemmeno sapere che avevo già incontrato la mia anima gemella.
«Ecco...» Ma la risposta non arrivò. Un altro uomo mi strappò dalle sue attenzioni, tirandomi via per il braccio con una malcelata dose di possessività.
«Sono costretto a rubarvi il principe. Questioni di assoluta sicurezza.» La voce che mi raggiunse mi fece perdere i battiti e il mio viso scattò immediatamente verso il suo possessore. «Ordini dalla regina, ahimè.» disse Zakhar, fingendo di essere molto dispiaciuto all'idea di separarci, quando in realtà stava letteralmente gongolando. Maledetto strafottente. «Oh, ma magari ve lo restituirò dopo.» E anche bugiardo!
Akia mi lasciò rapidamente andare e rivolse alla mia scorta - appena tornata dalla sua vacanza verso chissà dove - un sorriso cordiale. «Non c'è problema. Fate il vostro lavoro.» Quanto a me, ricevetti uno sguardo complice. «Continueremo il nostro discorso più tardi.» Ne dubitavo. E nemmeno m'importava: tutta la mia attenzione venne risucchiata dall'Alpha che ora mi stringeva la mano.
«Certo! Buona serata!» gli urlai dietro, che già stavo venendo trascinato lontano da Akia e dal resto della folla. «Ehi... ehi! Rallenta!» esclamai, facendo fatica a stare al passo con il corvino, mentre gli fissavo la schiena. Non avevo avuto neanche il tempo per ammirarlo, eppure, adesso che me ne rendevo conto, era bellissimo. Quel tipo di bellezza che sbaragliava tutti gli altri invitati.
Indossava - che sorpresa - un completo bianco, in totale contrasto con gli abiti scuri che sfoggiava di solito. Ero talmente abituato a vederlo nel nero che quasi non lo riconoscevo, con quelle piume bianche riportare sulle cuciture, sul colletto, sui polsini e sulla maschera che gli circondava solo gli occhi. Si fermò su un terrazzo appartato, vicino all'orchestra, con la musica così alta che avrebbe nascosto alla perfezione i nostri dialoghi.
«Che razza di spirito animale staresti incarnando, esattamente?» borbottai. Fra tutte le cose che avrei potuto chiedergli, chissà perché, avevo iniziato con la più stupida. Me ne pentii subito.
«Non lo capisci?» Zakhar sollevò l'avambraccio per giocare con una piuma bianca che sporgeva dal polsino. «Il Cigno d'Avorio.» Scrollò le spalle, liquidando l'argomento. «Spiegami, sai dire di no ogni tanto, oppure hai intenzione di baciare tutti gli Alpha che ti parlano?»
Accidenti. Doveva avermi visto con Rajat. Mi rivolse un sorriso affilato, assottigliando le lunghe ciglia nere, che rendevano il suo sguardo ancor più penetrante. «No, non rifiuterai nessuno di loro. Ti piacciono troppo tutte queste attenzioni...»
«Ma che accidenti stai dicendo?!» sbottai, colto di sorpresa da quelle insinuazioni velenose. «Non voglio neppure sposarli. E' ovvio che le loro attenzioni non mi piacciano!»
«Davvero? Eppure è proprio l'impressione che dai.» replicò, con un'improvvisa severità. «E' ora di imparare una lezione, principe dei sempliciotti.» Mi afferrò il mento fra le dita, sollevandomi il viso nella sua direzione. «Non puoi piacere a tutti. E se per diplomazia o gentilezza devi abbassarti a concederti come un oggetto o fare qualcosa che non vuoi, significa che sei esattamente uguale a tutti gli altri Omega che accettano il loro ruolo prestabilito dalla società. Un debole.»
Quelle parole mi colpirono come un bruciante schiaffo sul viso. "Sei esattamente uguale a tutti gli altri Omega... Un debole." Dovevo essere scioccato, in quel momento. Che ne era di quello che mi aveva scritto nella poesia? "Sei diverso da tutti". Col volto in fiamme dalla vergogna, gli strattonai via la mano che mi teneva il mento.
«Va' all'Inferno.» ringhiai, cercando di scacciare le lacrime che si stavano accalcando agli angoli degli occhi. Non avrei pianto davanti a lui nemmeno sotto tortura. Che stupido che ero stato a sentire la sua mancanza in questi giorni! Che stupido a fantasticare sul suo ritorno per ringraziarlo del regalo, delle sue belle parole e per chiedergli che cosa intendesse dire... Quasi sperassi in una sua dichiarazione.
Che stupido ad essermi innamorato di lui. Non ci si innamora dei bastardi fuorilegge.
Mi voltai, sentendo l'urgenza di abbandonare quella terrazza, quella festa e quella gente. E Zakhar. La cosa peggiore? Sentivo che, in fondo in fondo, aveva ragione. Mi stavo comportando come ci si aspettava che facesse un Omega: in maniera accomodante.
«No, aspetta...» Il Falco mi frenò bruscamente, prendendomi per il polso e costringendomi a voltarmi. Avevo gli occhi rossi e mi tremavano le labbra, ma non avrei pianto. «La verità è che...»
«Mollami!» Gli schiaffeggiai via la mano. «Hai ragione, dovrei proprio iniziare a dire di no. A cominciare da te.» sibilai, prendendo un profondo respiro. «E già che ci siamo, hai qualche spiegazione sulla bomba artigianale piena di piume nere che mi ha quasi ucciso?»
Se prima aveva la fronte contratta e la sua espressione sembrava anche solo lontanamente dispiaciuta, davanti al mio tono accusatorio si trasformò. Le labbra carnose si piegarono in un sorriso maligno. «Sì, chissà, potrei essere stato proprio io. Però è troppo facile accusare il cattivo ragazzo.» Fece un passo avanti, bruciando le distanze. Solo un filo d'aria ci separava, mentre ci affrontavamo proprio come due nemici. «Ricorda che avrei potuto comodamente ucciderti in tantissime altre occasioni. Sarebbe stato così semplice...»
Digrignai i denti, scacciando il dolore simile ad una puntura di spillo conficcato nel petto. «Da domani, non ti avvicinare mai più a me. E' un ordine.»
«E ogni vostro ordine è legge, Vostra Altezza.» scimmiottò, con la mano sul petto come la caricatura di un cavaliere fedele, prima di lasciarmi andar via e seguirmi solo da lontano.
⚜⚜⚜
Era l'ultimo giorno della Festa degli Spiriti. Il pranzo che chiudeva le festività, ospitato nella bellissima sala variopinta del palazzo, era sempre accompagnato da un pizzico di tristezza: nessuno voleva tornare alla normalità. Togliere le decorazioni, rimuovere i festoni, sentire l'atmosfera allegra che si ritirava per lasciar spazio alla solita monotonia... Era sempre un po' dolceamara, la fine di tutto.
Però io non vedevo l'ora che finisse tutto. Stavo iniziando a detestarle, queste stupide feste: ne erano successe anche troppe per i miei gusti.
Zakhar aveva mantenuto la promessa e, pur continuando a farmi da scorta, si teneva a debita distanza, senza rivolgermi la parola e senza guardare nella mia direzione. Nemmeno io lo facevo. Anche se, tecnicamente, per assicurarmi che non mi stesse fissando, sicuramente io avevo bisogno di osservarlo. Anche se per pochi secondi, era davvero struggente farlo.
Avevo pianto parecchio, la notte prima, e avevo delle occhiaie pazzesche. Amnon si era impegnato al massimo per darmi un aspetto decente e, nonostante ciò, al banchetto reale non si faceva altro che parlare dei miei denti blu - purtroppo erano state pubblicate le foto del pellegrinaggio verso i santuari - e della bomba che mi aveva quasi ucciso. Fortunatamente, il terzo argomento gettonato erano le nozze vicine di Tahani e Quinn.
Erano seduti proprio vicino a me e non sopportavo sentirli civettare e ringraziare per tutti gli stupidi auguri che ricevevano. Come non sopportavo le inutili chiacchiere di Inoko o la presenza di mio zio Dalmar.
Era un Alpha di mezz'età e di bell'aspetto, con la pelle mulatta, i capelli scuri lunghi fino alle spalle, il turbante e il pizzetto appuntito sul mento. Era quel genere di uomo che si vantava di tutte le sue proprietà e di tutti i suoi affari, proprio durante i pranzi come questi. Al tempo stesso, era un esagerato adulatore, ma sapevo bene che, alle nostre spalle, criticava la famiglia Okoro.
Mia madre Dafne diceva che era il suo modo di superare il lutto della moglie, ma a quanto ne sapevo, zio Dalmar era così già da molto prima. Proprio adesso teneva mio fratello Tamsin sulle ginocchia e gli accarezzava la schiena con "affetto", mentre Tam ridacchiava di qualcosa che l'altro aveva appena detto. Non mi piaceva proprio quel quadretto.
Tamsin era un ingenuo: bastava che lo zio facesse bei regali, ed ecco che rivedeva le sue opinioni. Nemmeno a lui piaceva, invece oggi addirittura sedeva sulle sue gambe! Scossi la testa, con i nervi a fior di pelle.
«Taye, mio caro!» esordì Dalmar, allungando il collo ingioiellato verso di me. «Quell'espressione non dona al vostro bel faccino.» Storsi le labbra in un sorriso di circostanza, simile ad una smorfia, mentre i camerieri riempivano la lunghissima tavolata, piena di parenti e di nobili, di cibo. «Forse non vi è piaciuto il regalo che vi ho fatto?»
«L'ho apprezzato, invece.» risposi, a malapena ricordandomi quale fosse. Era difficile fare buon viso a cattivo gioco, dato il mio pessimo umore. Almeno, il profumo del cous cous alle verdure e della carne speziata mi aprì lo stomaco. Girai il viso per guardare, alle mie spalle, dove fosse Zakhar. Era un pensiero latente, ma come un chiodo fisso.
Si trovava a qualche metro da me, fermo, a ridosso della parete, insieme a molte altre guardie. Non mi guardava.
«Che sollievo. Sono finiti i tempi in cui scrivevate letterine con le liste regali agli spiriti. Siete cresciuti.» disse mio zio, rivolgendomi uno sguardo languido, che poi riservò a mio fratello, che gli era appena sceso dalle gambe ed era venuto a sedersi accanto a me. «E anche bene.»
Semplicemente viscido. Assottigliai le labbra, con sufficienza. «Grazie.» risposi con freddezza. «Il tempo fa il suo corso.» Alludevo a lui, ovviamente, anche se in quanto Alpha invecchiava molto più lentamente. «Brutta cosa la vecchiaia.» Si mise a ridere, come se mi trovasse molto divertente. Scommettevo di no.
Ad interromperci fu mia madre Tusajigwe, al capotavola, che si alzò in piedi a fare il solito discorso che ripeteva ogni anno. Rendeva grazie agli spiriti animali, a sua moglie, ai suoi figli, e bla bla bla... «Sollevate in alto i calici! Auguri!» Il vino venne versato e i bicchieri tintinnarono, mentre esplosioni di chiacchiere riempivano la tavola.
In silenzio, incominciai a mangiare il piatto principale, servito ad ognuno personalmente, oltre ai contorni al centro tavola. Inghiottii qualche cucchiaiata, prima di sentire la gola chiudersi. E pizzicare. Deglutii più volte, prima di bere un grosso bicchiere d'acqua. Invece che migliorare, la sensazione peggiorò.
Un senso incombente d'allarme iniziò a farmi palpitare il cuore. Non poteva essere.
Mi allentai i bottoni della camicia, schiarendomi la gola che ardeva. Un eccessivo calore stava iniziando a diffondersi lungo tutto il mio corpo. Presi un profondo respiro, tamponandomi il sudore sul collo. «Non mi sento molto bene...»
«Gli assaggiatori reali hanno mangiato dai tuoi piatti sotto ai miei occhi. Stanno benissimo.» sussurrò Zakhar, che all'improvviso mi si era avvicinato, come se si fosse accorto del mio malessere prima di chiunque altro e ci tenesse a rassicurarmi. «E il vino e l'acqua è quello che stanno bevendo tutti gli altri. E' impossibile che ci sia del veleno. Ho anche controllato il fondo del tuo bicchiere e le posate. Erano pulite.»
«M-mi... mi sento male...» ansimai, riuscendo appena a seguire i suoi ragionamenti. Il senso di languore e calore adesso si era trasformato in fiamme: ogni centimetro, ogni fibra del mio corpo divampava.
Zakhar indietreggiò bruscamente, di molti passi. All'improvviso, gli occhi di tutti gli Alpha presenti al banchetto si fissarono sopra di me. Mi puntarono. Mio zio, che non aveva il mio stesso sangue. I sei Alpha: Jörvar, Akia, Thiago, Rajat, Shun, Lorence. Il mio futuro cognato Quinn, insieme ad un altro paio di ospiti nella sala. E il Falco, ovviamente.
Mi stavano tutti puntando. Come predatori rimasti a digiuno da settimane.
Il silenziò calò sul banchetto, raggelando l'atmosfera. E arrivò la comprensione: era ovvio che gli assaggiatori reali non avessero trovato veleno nel mio piatto! Perché erano dei beta. E sui beta gli induttori di calore non facevano effetto. Senza che lo sapessi, qualcuno mi aveva imbottito il cibo di pillole.
Gli Alpha scattarono in piedi, tutti nello stesso momento. L'ultima cosa che Zakhar mi disse, prima di lanciarsi su di loro, fu: «SCAPPA!»
Poi si scatenò l'inferno.
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