Regola n.4: non piangere
«Quando la luna sorge, in Oriente»
La sua voce soffiava nel sibilo del vento, che fischiava da un balcone all'altro, le porte-finestre spalancate, le tende stracciate si gonfiavano e veleggiavano come spettri dentro alla camera.
«e i bianchi tetti si assopiscono sotto mazzi di fiori»
Lanciò uno sguardo sulla città che si affacciava a molti, molti metri sotto a quella rupe solitaria, lassù dove giaceva la sua casa, dimenticata dal mondo, forse dimenticata anche dagli spiriti che la città venerava. Ma non Lui. Perché Lui non credeva in niente, se non se stesso, il potere del denaro e quello del sangue versato.
«Allora la gente lascia le proprie botteghe»
Notò i cittadini ritirare la merce dalle bancarelle del suq, lasciando i tappeti colorati appesi sui fili fra un balcone e l'altro, a prendere aria. Da quell'altezza, erano piccoli quanto formichine. Insignificanti. Eppure, perfino da lì poteva notare la passione delle loro intenzioni e la fretta che incombeva dentro di loro. La sensazione era quella di un entusiasmo che andava crescendo fino al raggiungimento di... qualcosa.
«e si incammina per incontrare la luna...»
Ed ecco cosa. Tutti loro volevano essere lì, a guardare la sfilata di aristocratici e stranieri solcare le porte del Palazzo d'Estate. Tutti volevano vedere il mondo al quale non avrebbero potuto mai accedere, quella meraviglia fiabesca di principi e principesse, cavalieri ed eroi. Un mondo irraggiungibile come la luna, enorme e tinta d'oro oltre le cupole turchesi del castello.
«Portano con loro il pane, il grammofono e i narcotici, fin sopra le cime delle montagne»
Soffiò, mettendosi a ridere, la testa scossa in un moto di sadica esasperazione. Pazzi, stupidi abitanti di città.
Spostò lo sguardo dalla vista panoramica su Samarcanda allo specchio semi-frantumato in un angolo della stanza, circonfuso di lanterne e veli colorati, come il resto della sua casa. Del suo nido, sospeso su quella rupe dimenticata perfino dalla luna. Il petto nudo, muscoloso e alabastrino come un busto da museo, era moltiplicato in ogni frammento di superficie riflettente. Si passò la lingua sul polpastrello del pollice, che umido di saliva fece scivolare sul sopracciglio dove una cicatrice lo tagliava a metà.
«e lì... comprano e vendono fantasie»
Si abbottonò i pantaloni di pelle nera sull'inguine, si sistemò sulle spalle tornite il mantello di piume color ossidiana.
«e immagini»
E poi la sua faccia venne nascosta da una maschera di seta corvina come i suoi capelli ma ornata da delicate decorazioni dorate. Gli sagomava gli occhi affilandone lo sguardo e gli celava il naso incurvandosi verso il basso come il becco di un uccello, senza però nascondere le labbra sensuali.
Si avvicinò al ciglio del balcone, senza ringhiere, libero verso un salto di centinaia di metri.
«e muoiono se la luna vive.»
Chiuse la bocca, guardando l'orizzonte. Poi si lasciò cadere in avanti, precipitando nel vuoto, finché enormi ali di piume d'onice non si spalancarono dietro di lui, fra i lembi del mantello.
Volava anche lui verso la luna. Verso il Palazzo d'Estate. Il principe avrebbe iniziato la sua fiaba di lì a poco e lui, come Cattivo della storia, aveva intenzione di incarnare al meglio il suo ruolo.
⚜⚜⚜
Odiavo l'idea di piangere, perché era esattamente ciò che si sarebbero aspettati da me. L'omega che piangnucola, lamentoso come un bambino e capriccioso come una bestiolina debole. Non l'avrei mai fatto. Non avrei mai dato a nessuno una soddisfazione simile. Né mi sarei piegato. In tutti i sensi possibili.
«Non ho intenzione di prostituirmi per il paese.» affermai determinato, chiudendo il pugno posato sulla toeletta, facendo sussultare la serva che si stava occupando di riempirmi di gioielli le braccia, chiudendomi i gancetti lì dove io non potevo arrivare.
«Da bvavo, Altezza! Vi state agitando tvoppo, lasciatemi fave il mio lavovo!» esclamò Amnon, il mio baldanzoso governante, con la sua inconfondibile, insopportabile r moscia.
L'uomo veniva da un regno non troppo lontano, ma che si diramava verso l'Occidente e ne aveva subito grande influenza: questo fattore lo rendeva un gran cosmopolita. Conosceva un sacco di tradizioni estere inutili - e per questo molto interessanti - e un sacco di mode e correnti culturali. Tutto ciò che indossavo passava al vaglio dell'ometto tracagnotto con i capelli castani leccati ai rispettivi lati della fronte, come una tendina. Un paio di baffetti arricciati a spirale sulle punte, pelle olivastra e dentoni da coniglio lo rendevano il beta più eccentrico che io conoscessi.
Per non parlare dei suoi completi. Indossava una camicia viola su un panciotto zebrato nero e blu. Sotto, un paio di pantaloni a sbuffo color malva e scarpe di tela nera con la suola di sughero. Diceva che questo "sincretismo" di stili lo rendesse il più affascinante della città. Ne era così sicuro che avevo iniziato a crederlo anch'io. Quasi.
Nonostante le apparenze, tutto ciò che mi faceva indossare per i grandi eventi era semplicemente spettacolare. Oggi, però, mi sentivo un maialino steso sulle foglie di banano e pronto ad essere servito al banchetto, alla mercé della folla affamata. Mi mancava solo la mela ficcata in bocca.
Un paio di pantaloni a sbuffo color crema, a vita bassa, mi fasciava i fianchi accompagnandosi ad una cintura di catenelle dorati, le stesse che mi dondolavano sul collo del piede, allacciate ai sandali che calzavo a pennello. Catenelle d'oro cadevano anche a cascata sul petto nudo, scendendo da un vistoso girocollo d'oro.
Tutta una serie di bracciali mi coprivano le braccia dai polsi agli omeri mentre numerosi anelli mi ingioiellavano le dita. Avevo medagliette appese perfino ai riccioli e una maschera, più simile ad un velo allacciato dietro alle orecchie, mi nascondeva con un drappo di monetine dorate il viso dal naso in giù, mostrando solo gli occhi, dello stesso colore di tutto quel materiale prezioso che mi ricopriva.
Pareva che mi fossi coperto con la stessa pasta di cui era fatta la luna, stanotte gialla, quasi ambrata, una strana imitazione del sole.
«Non me ne starò qui fermo a subire.» borbottai, fissando l'astro oltre la finestra in cerca di un'idea che mi aiutasse a svignarmela prima del grande ballo che sarebbe iniziato di lì a poco. Per un attimo mi sembrò di vedere un grandissimo volatile scuro passare davanti alla luna, ma quando sbattei gli occhi quello era sparito. Sospirai.
Dopo il rapimento e da quando qualcuno aveva attentato alla mia vita con un veleno arrivato nel mio bicchiere chissà come, la svolta degli eventi aveva preso una piega inaspettata. Sorprendente e terribile. L'ultima briciola di indipendenza che ancora avevo era stata spazzata via e il mio desiderio di non sposarmi, diventando il primo ed unico re Omega di Samarcanda ad ottenere il trono ed il comando, era stato distrutto.
La regina Jelani aveva deciso di farmi sposare forzatamente un Alpha che aveva scelto per me, senza consultarmi, come aveva fatto per Taro. Non ero riuscito a convincerla del contrario, per cui l'unico escamotage possibile era proporle che fossi io a scegliere. L'unica strategia che avevo per prendere tempo e pensare a come risolvere le cose.
Stranamente, aveva accettato. Solo... Alle sue condizioni. Solo pochi giorni prima del ballo avevo capito cosa tramava.
"I migliovi Alpha del nostvo pianeta!" aveva strillato Amnon, facendo sussultare i suoi baffetti. Ecco cosa aveva fatto Tusajigwe Jelani: aveva contattato sei Alpha, sei fra gli uomini più influenti del mondo - cavalieri, principi, mercanti - e li aveva invitati a palazzo per un lungo periodo, il tempo necessario a farmi scegliere un pretendente, il prescelto. Consequenzialmente, loro si sarebbero impegnati per corteggiarmi.
Non sembrava una situazione così drammatica, ma in realtà lo era: forse, con un semplice matrimonio, sarei riuscito a rifiutare la mano del mio consorte e mandarlo da dove era venuto, o quantomeno a farmi disprezzare a tal punto che avrebbe rinunciato alle nozze. Ma, di fronte a sei uomini, dovevo per forza prendere una decisione.
Sottrarmi avrebbe causato un incidente diplomatico con tutti. Tra l'altro, il corteggiamento avrebbe attirato così tanta influenza mediatica e riempito di aspettative i cittadini a tal punto che, se non mi fossi sposato, avrei deluso anche loro. In altre parole, mia madre mi aveva teso un'elegante trappola e un intelligente ricatto.
Ero così disperato che avrei fatto anche un patto con gli spiriti maligni per scamparla, ma poi era arrivato il giorno del ballo... Ed era troppo tardi. Stasera avremmo accolto i sei Alpha con le piccole delegazioni che si erano portati dietro, dai regni da cui venivano.
«Subire? Dovresti ritenerti fortunato, Taye. Io non ho avuto la fortuna di scegliere.» la dolce voce di Dafne, mia madre, cercò di rassicurarmi senza alcun successo. Era bellissima, col suo abito da sera blu notte, le lunghe onde cioccolato sparse intorno alla figura e una corona maestosa in cima al capo. Ferma accanto alla mia poltrona, la vedevo dallo specchio sulla toeletta, mentre la serva e Amnon mettevano a punto gli ultimi dettagli restando in rispettoso silenzio.
«Non mi sento affatto fortunato di essere stato ricattato.» replicai, non riuscendo ad ingoiare il rospo. La mia vita era finita. La mia indipendenza, la mia ricerca di emancipazione. Nessun Alpha avrebbe condiviso le mie idee liberali, per cui avrei fatto meglio a sbarazzarmi del mio libro preferito. Avrei potuto passare dei guai solo per averlo letto.
Dafne sospirò. «Tua madre ha fatto questa scelta» sottolineò la parola per farmi capire che non avrei dovuto chiamarlo "ricatto" «perché avere sei Alpha intorno a te, piuttosto che uno solo, ti terrà al sicuro fino alle nozze e all'incoronazione di tuo marito.» Storsi le labbra. «Ma capisco cosa ti turba...» Alzai gli occhi sullo specchio. «Non perderai la tua indipendenza.»
Mi offrì la mano, che io accolsi quando Amnon mi fece un cenno del capo, dandomi l'ok: ero pronto. «Devi solo scegliere l'uomo più stupido fra loro.» Mi sorrise e, finalmente, mi sentii più sereno. Aveva ragione. Bastava che scegliessi qualcuno che non si sarebbe mai accorto di essere pilotato dalle mie decisioni. Sarebbe stata dura, vivere con un fantoccio che non avrei mai amato, ma andava bene così. Tali erano i matrimoni per i principi e le principesse: diplomazia pura. Non esisteva il vero amore. «Adesso andiamo.»
Annuii e, scortati da un nutrito gruppo di guardie, raggiungemmo le porte che affacciavano sull'opulenta sala da ballo. «Avanti, sorridi.» Presi un profondo respiro. «In un modo o nell'altro, stasera incontrerai l'uomo che ti cambierà la vita.»
⚜⚜⚜
N D A
Hola a tutti!
Spero che fino ad ora la storia vi stia piacendo, non avete idea della mia voglia di pubblicare tutto e subito di quello che ho scritto, mi sto letteralmente trattenendo! Comunque, parlando del capitolo: nella prima parte, quando parla il nostro baldo Alpha, recita una poesia chiamata "il pane, l'hashish e la luna", di Nizar Qabbani (il mio poeta preferito **). Fra pochi capitoli scoprirete anche tutti gli altri componenti della storia (i sei Alpha, ovvio) e dato che fra loro e il Falco, sono parecchi personaggi, sto facendo degli sketch che poi vi mostrerò in un capitolo a parte, insieme a qualche altra cosina.
Grazie per la lettura e alla prossima <3
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