Regola n.39: apri tutti i doni

"E' un Omega come voi, non si merita di stare nel Formicaio!" era passato un giorno, ma le parole del pover'uomo continuavano a tormentarmi. Pensavo che i membri della famiglia Okoro fossero gli unici Omega del regno di Smeraldo, invece mi sbagliavo. Erano gli unici omega a vivere liberi nel regno di Smeraldo. E il compromesso era quello di non regnare mai direttamente per limitarsi a sfornare figli, mentre un Alpha prendeva il controllo del trono.

Intanto, tutti gli Omega privi di sangue nobile, stavano nel Formicaio. A prostituirsi? Ammesso che guadagnassero qualcosa in attività così barbare ed illecite. A farsi schiavizzare, per la precisione. Mi ero sentito talmente male che, dopo la visita ai santuari degli spiriti animali, mi ero rintanato nella mia stanza e a stento ne ero uscito.

Il giorno dopo, tuttavia, mi ero sforzato di tornare nello spirito della festa, concentrandomi sul ruolo di "servo per i servi" di tutto il palazzo per mascherare le mie reali macchinazioni. Ci doveva pur essere un modo di sgominare i criminali del Formicaio e distruggere quel posto!

Intanto, mentre io preparavo pasti e servivo ai banchetti, i miei corteggiatori Alpha si davano a cambio per accompagnarmi ovunque facendo le veci della mia scorta. Senza Zakhar avrei potuto fare qualsiasi tipo di piano, ma metterlo in pratica sarebbe stato tutto un altro paio di maniche. Mi faceva venire i nervi che dipendessi da lui fino a questo punto. Mi faceva venire i nervi anche il fatto che si fosse preso dei giorni liberi senza dirmi niente, per fare chissà cosa.

«Fratellone! Concentrati, abbiamo ancora un sacco di regali da aprire!» Tamsin mi richiamò all'attenzione. Dopo aver incartato doni su doni per i bambini di Samarcanda, aver svolto un sacco di faccende domestiche e aver cenato con un pasto frugale, finalmente c'eravamo concessi il consueto scartamento di regali sotto agli idoli nei quattro punti cardinali del palazzo. Ormai era l'ultima sera da servi e avevamo svolto tutti i nostri compiti: l'indomani i domestici sarebbero tornati a servire e i nobili a dettare ordini.

Perciò, per mio fratello era arrivato il momento di godersi la festa a pieno. Sotto alla statua del Delfino Dorato, stracciavamo carta dipinta e scioglievamo fiocchi di seta, scoperchiavamo scatole e svelavamo sorprese. Io avevo finalmente visto il regalo dei gemellini Omega: un paio di braccialetti di conchiglie dipinte, fatti da loro. Li avevo subito indossati.

«Guarda, che splendide scarpe! Zio Dalmar non sbaglia mai!» esclamò Tam, prendendo dalla scatola un paio di babbucce di seta ricamata, di una stoffa viola iridescente e con la punta arricciata. Mi corrucciai, indispettito. 

«Da quando lo zio Dalmar ti piace?» risposi, ricordando a me stesso che quell'uomo non avesse il nostro stesso sangue. Era solo il marito di nostra zia. Era implicato in pettegolezzi di corruzione. Si era intascato i sussidi per le famiglie povere e chissà... Alcuni pensavano che fosse implicati nella morte di nostra zia, anche se tutti sapevano fosse morta di parto, avendo un fisico molto debole, anche per essere una Omega. 

In ogni caso, lo zio non mi piaceva per niente. «Non è che mi piaccia! Me lo faccio stare simpatico, visto che fra due giorni dovremo incontrarlo al Gran Banchetto degli Okoro.» esclamò, alzando i pollici. «Vedrai, chiuderemo la festa degli spiriti in bellezza!» Storsi le labbra. «Su, non fare quella faccia e apri il prossimo pacco!» Fece un cenno del capo al mucchio.

«Sì. Già.» sussurrai, tutt'altro che gioioso come lo ero da bambino. Avevo l'impressione che quei regali fossero comprati con soldi rubati alla gente che ne aveva bisogno per davvero. Lanciai un'occhiata obliqua all'Alpha che per quella sera mi faceva da guardia. 

Il principe Rajat era appoggiato contro al muro, le mani fisse sull'impugnatura della coppia di scimitarre allacciate alla cintura. I pantaloni a sbuffo su toni caldi, la cintura di stoffa intorno alla vita muscolosa, la camicia a drappi sulla muscolosa pelle color zafferano, l'intricata serie di tatuaggi arabescati fatti con l'hennè rossa e il turbante che teneva a malapena a bada i ricci scuri: incarnava perfettamente il suo status, anche senza gioielli, per il portamento e il carisma tipico della pantera.

Quando si accorse che lo stavo osservando, mi lanciò uno sguardo intenso, si morse il labbro inferiore e poi spostò gli occhi. Tam mi puntellò il braccio con una scatola, ricatturando la mia attenzione. «Guarda, qui c'è scritto il tuo nome!» 

«Quanto sei insistente...» sbuffai, con un mezzo sorriso. Staccai dal pacco rettangolare il bigliettino "Per Taye Okoro" e ne lessi il testo sul retro. "Ti piace il mio regalo? Ci sono ancora molte sorprese per te..." aggrottai la fronte, confuso. Non c'era scritto il mittente. La cosa mi insospettì un poco, perché di solito alla gente piaceva ostentare i propri meriti, quando si trattava di regalare qualcosa al principe ereditario. Lo facevano per essere ricordati, per tenersi buona la famiglia reale. 

Poi però, quando vidi l'interno, capii subito chi ne fosse l'artefice. «Porco schifoso...»

"Felice dei regali, cognatino? Il mio l'ho posizionato sotto l'idolo del Delfino Dorato. Spero lo gradirai." ricordai cosa mi avesse detto Quinn tre giorni prima, con tanto di sorrisetto viscido. Non c'erano prove che fosse stato lui, non c'erano firme e non conoscevo la sua calligrafia, ma ero assolutamente sicuro che fosse opera sua, altrimenti il bigliettino all'interno del pacco non avrebbe avuto senso. 

"Usalo al tuo prossimo calore, così scoprirai che cosa ti sei perso." Sì, perché all'interno del pacco c'era il calco di gesso di un pene. Quello di Quinn, evidentemente. Richiusi frettolosamente la scatola, con la faccia rossa per l'umiliazione. 

«Che c'è?? Che ti hanno regalato?» cinguettò Tam, allungando il collo per guardare, ma io avevo già messo via la scatola. 

«Niente. Era solo uno scherzo di qualcuno della corte. Lascia perdere...» Schioccai la lingua, afferrando l'ultimo regalo che mi era rimasto, nascosto sotto al resto del mucchio di doni non destinati a me. Aveva tutta una carta nera ma brillantinata e sul biglietto c'era scritto "Per Taye ♥". 

«Bene. Io ho finito i miei regali!» esclamò Tam, alzandosi in piedi col sacco che aveva riempito. «Sarà meglio che vada.» Mi fece l'occhiolino. «Ti lascio alle cure del bel principe.» ammiccò verso Rajat e si allontanò in fretta con un paio di guardie, mentre io avevo ancora l'ultimo dono in mano.

«Ptf.» Scossi la testa e strappai via la carta luccicante. Anche io dovevo sbrigarmi: passare tutta la sera davanti all'idolo del Delfino Dorato non era nei piani. Volevo fare l'ennesimo tentativo di chiamare Taro.

«Cos'è questo... odore?» sussurrò il principe delle Indie, arricciando il naso: io non sentivo niente, ma sapevo che i miei sensi funzionassero diversamente rispetto a quelli di un Alpha.

«A che vi riferite?» domandai, sovrappensiero, soppesando la scatola di legno intagliato che mi era stata regalata. Sembrava antica e assomigliava ad una specie di scrigno. Fra le due parti chiuse c'era una linguetta rossa, come un nastro da tirare. «Mmmhh...»

«Mi riferisco a...» Una pausa, mentre io afferravo la linguetta. «NO, NON TIRATE!» 

Ma io l'avevo già fatto.

Un ammasso di muscoli mi travolse bruscamente, con talmente tanta velocità che non vidi Rajat neanche muoversi. Nello stesso istante, mentre noi rotolavamo sul pavimento e le sue braccia mi circondavano e mi proteggevano la testa, udii il rumore assordante di uno scoppio, subito succeduto da cigolii metallici. Anche le guardie ci furono addosso, creando una specie di scudo umano intorno a me. 

Quando tornò la calma, le orecchie mi fischiavano ancora ed avevo il corpo indolenzito, visto che un Alpha ben piazzato mi si era gettato addosso e mi aveva strattonato per due metri lungo il pavimento. Intontito, ancora non avevo ben capito cosa fosse successo: sapevo solo di essere steso, intrappolato fra le sue braccia, mentre qualcosa di nero ci cadeva lentamente addosso, fluttuando.

«Puzza... di polvere da sparo.» sussurrò Rajat, mentre mi liberava dalla stretta. Mi resi conto di essere sporco di sangue solo in ritardo. Ne avevo le mani sommerse perché la camicia del principe ne era intrisa. Mi drizzai immediatamente a sedere e le guardie intorno a noi si allargarono, facendomi respirare. 

«Una bomba a chiodi!» sentii dire da uno, mentre frotte di guardie andavano a chiamare medici e messaggeri. «Il Falco! E' stato il Falco!» ansimò un altro e subito intuii il perché. C'erano piume nere ovunque, che svolazzavano e si depositavano sul pavimento. Lo scrigno che mi avevano regalato era un ordigno esplosivo pieno di chiodi e piume nere. 

Se il principe Rajat non mi avesse salvato, sarei morto sul colpo.    

⚜⚜⚜

«Siete stupendo, pvincipe!» esordì Amnon, camminandomi al fianco. «Vi pvego, non pensate a ievi e divevtitevi! Vostva madve non ha cancellato il ballo pevché vuole vedevvi felice!» continuò a rassicurarmi, prima di raggiungere il Salone delle Feste. 

Penultimo giorno della festa degli spiriti animali. Ero ritornato nelle vesti di principe e il mio governante aveva ripreso a servirmi. Le celebrazioni non erano finite e la serata di quel quarto giorno, tutta l'élite di Samarcanda era invitata al Ballo degli Spiriti. Ogni cosa sembrava essere ritornata alla normalità, invece era tutto sbagliato.

Soltanto la sera prima avevano di nuovo cercato di uccidermi piazzando una bomba fra i miei regali. Regali che dovevano già essere stati esaminati sotto il vaglio di tante guardie. Il principe Rajat era rimasto ferito, per fortuna non in maniera grave, al punto che avrebbe potuto partecipare al ballo, anche se con un bel po' di fasciature. 

E Zakhar non era ancora tornato, cosa che andava oltre gli accordi e mi rendeva sospettoso. Ma lui non mi avrebbe mai fatto del male, giusto? Non poteva. Era impossibile. Ero il suo compagno, la sua anima gemella... Morendo, non sarebbe stato straziante anche per lui? Anche se dubitavo sapesse che io fossi il suo compagno. Ero l'unico ad averlo capito. 

Però certi legami si percepivano. Chissà, forse lui poteva essere il mio Alpha, ma io non il suo Omega. Esistevano anime gemellate a senso unico? No, non era possibile. Non funzionava così. 

«Sì. Cercherò di divertirmi.» risposi ad Amnon molti minuti dopo. «Però se hai informazioni sulla mia scorta me lo dirai, vero?» 

«Ovviamente! Ma ora sistemati i lustrini e vai!» disse lui, sistemandomi il pesante girocollo d'oro, tempestato di pietre preziose. Poi un numero esagerato di guardie mi scortò lungo il corridoio, fino a raggiungere le ampie doppie porte che sboccavano sul Salone delle Feste. La luce era dovuta solo a lanterne soffuse e candele disposte in giro, rendendo l'atmosfera magica. C'erano fiori tropicali, enormi cuscini di seta su cui sedersi e file di ghirlande fatte di cristallo scintillante. 

Tutti erano vestiti a tema, personificando gli spiriti animali che preferivano. Moltissimi avevano scelto il Delfino Dorato, vestendosi per l'appunto di quel colore e con richiami marini: vedevo interi abiti fatti di perle o di corallo. Tamsin invece, visto quanto adorava il Santo, si era vestito d'argento e aveva imponenti corna da cervo in testa. Alcuni si erano vestiti di verde per onorare la Tigre di Giada e altri di scarlatto per il Dragone Rosso.

Quando feci il mio ingresso, tutti si voltarono a guardarmi, per molti motivi diversi.

Ero il principe ereditario. Avevo rischiato la morte già tre volte all'interno delle mura del palazzo: stavo per morire avvelenato, poi uno Squalo mannaro mi aveva quasi tagliato la gola e infine una bomba artigianale mi aveva quasi sfregiato sotto l'idolo del Delfino Dorato. Avevo scelto proprio quello spirito animale per rappresentarmi nella serata e non era un caso. 

Avevo pantaloni corti fatti di conchiglie e madreperla e una camicia scollata tutta fatta d'oro. Un girocollo pesante di pietre preziose e orecchini pendenti, lunghi fino alle spalle. Perfino parte del mio viso era dipinto d'oro.

Chiunque avesse provato ad uccidermi, forse era in quella sala. Aveva provato ad uccidermi sotto gli occhi dello spirito che vestivo stasera. E questo gesto dimostrava che non avevo paura, perché mi sentivo protetto dal Delfino Dorato. Perché non mi sentivo in pericolo. Perché quelle minacce e quegli attentati non mi scalfivano.

Mi mossi con sicurezza all'interno della sala, dirigendomi verso il principe Rajat. Avrei dovuto concedere un ballo a tutti i miei spasimanti e lui sarebbe stato il primo. Ad esaudire il mio desiderio ci pensò l'orchestra: un nuovo brano attaccò proprio in quel momento ed io circondai la nuca della pantera mannara fra le mani.

«Come state?» domandai, mentre le sue mani mi avvolgevano la schiena. Era elegantissimo e vestiva con un completo verde malachite, onorando la Tigre di Giada. Nessuno stupore, visto che era anche lui un felino. Se era ferito, non lo diede a vedere, sebbene intravedessi le fasciature oltre le maniche degli indumenti. Assottigliò gli occhi gialli.

«Starei meglio se quel codardo che ha cercato di colpirvi con la bomba si facesse avanti. Gli darei tutto quello che si merita.» borbottò, con uno sguardo feroce. «Il Falco... Giuro che lo ucciderò, prima o poi.» 

Deglutii il groppo che mi si era appena formato in gola e mi affrettai a cambiare argomento. «Grazie per avermi salvato.»

«Non mi piacciono i ringraziamenti.» rimbrottò. «Preferisco ricevere in cambio qualcosa.» La stretta intorno alla mia vita si saldò un po', mentre continuavamo ad ondeggiare senza far troppo caso alla musica. «Dovreste scegliere di sposarmi, a questo punto. Ho dimostrato di sapervi proteggere e più di una volta! Gli altri dov'erano?»

«Sapete che non posso farlo subito. Non sarebbe corretto nei confronti degli altri partecipanti.» mormorai, con voce conciliante e diplomatica. Rajat aveva proprio un bel caratterino e non intendevo farlo arrabbiare dopo che, effettivamente, mi aveva salvato sia dalle angherie di Quinn che la vita. 

«Allora datemi un premio. Qualcosa che il Lupo e il Leone hanno già ricevuto.» Mi strinse l'avambraccio con forza, curvandosi sopra di me, come un bramoso predatore. Reclinai il capo, fissandolo con la bocca schiusa, come se sapessi già cosa intendeva. Come lo sapeva? Le notizie correvano veloci, a palazzo, e non era esattamente un segreto che avessi baciato Akia o Jörvar. 

Nemmeno lo fermai quando Rajat si avventò sulle mie labbra, come una pantera su una gazzella. Inconsapevole che, proprio in quel momento, l'oggetto di ogni mio desiderio fosse entrato nella Sala delle Feste. 

Zakhar era tornato.

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