Regola n.38: prega gli spiriti
Un'ombra scura si incurvò sopra di me, allungando le mani nella mia direzione, proprio mentre io mi ridestavo dal mondo del sogni. Tornai vigile alla velocità della luce e mi drizzai a sedere, con un grido che mi salì in gola e rimase lì, a metà fra l'essere trattenuto e l'essere urlato a squarciagola.
«Fratello, fratellooone! Ti sei svegliato!» Tamsin saltò sul letto e mi circondò il collo fra le braccia, ridendo. «Guarda la tua faccia! Chi pensavi che fossi, eehh?»
Sospirai di sollievo. «Mi hai fatto prendere un colpo! Potevi almeno bussare!» brontolai, tirandogli un pugnetto contro la spalla. «Non fare mai più questi agguati, scemo...» lo redarguii, ancora col cuore che mi batteva violentemente contro la gabbia toracica.
«Non ti arrabbiare, è la festa degli spiriti e ieri non siamo stati per niente insieme!» esclamò, cacciando fuori dalle tasche della lunga palandrana di lino bianco - che lo faceva assomigliare ad un buffo adepto di qualche vecchio culto - sacchetti di carta patinata. «Sembravi super occupato con quella tua guardia!» Rovesciò il contenuto sul letto, riversando lucide e colorate caramelle gommose e zucchero a velo sulle lenzuola. «Si può sapere che c'è fra te e lui?»
Il cuore fece una triplo salto carpiato prima di ritornare al suo posto. «Niente.» L'istante di esitazione mi aveva tradito e adesso il mio fratellino stava sorridendo come una volpe, giocherellando con le lunghissime treccine tinte di henné. «E' vero. E' solo la mia scorta.» insistetti, ficcandomi in bocca qualche caramella azzurra.
«Ah sì?» Alzò le sopracciglia, ammiccante. «Allora non ti dispiacerà il fatto che abbia usato il suo status di Principe della Festa per chiedere due giorni liberi!»
Ero a bocca aperta. Dopo il suo regalo volevo davvero rivederlo: chiedergli spiegazioni, o toccarlo, o anche solo guardarlo negli occhi... Invece quel bastardo si era preso i giorni liberi. «E tu come lo sai?» sbottai, brusco, non contro Tam, ma contro l'ennesimo giochetto di Zakhar.
«Me lo hanno detto i servitori, a colazione! Mi hanno chiesto loro di riferirtelo.» Non esisteva che un servo chiedesse ad un principe di fare qualcosa, ma questa era la festa degli spiriti e i ruoli erano perfettamente rovesciati. «Oh, ti proteggeranno i tuoi corteggiatori Alpha.» Tam mi mostrò un sorrisetto tutto pepe. «E dovresti sbrigarti. Fra poco partiamo tutti per il pellegrinaggio ai santuari degli spiriti!» Ignorò le caramelle e, invece, si cacciò qualche rondella di sedano a forma di fiore fra le labbra, che teneva in un altro sacchetto. Ancora con quell'assurda dieta! Farfugliò a bocca piena: «Non ffeto l'ofa di ffisitare il Santo!»
Il Santo. La cosa non mi stupiva proprio. Si drizzò dalle coperte, tornando in piedi, e si allisciò le grinze della veste con una rapida passata di mano, mentre un sorriso trasognato gli torceva le labbra. Quando notò che lo stavo fissando, ritornò subito in sé. «Allora sbrigati, eh!» Quindi uscì di fretta dalla mia camera da letto, lasciandomi solo.
Raccolsi dal comodino la lettera che il Falco mi aveva regalato il giorno prima, con quella poesia così emozionante che mi aveva toccato il cuore. Chissà perché si era preso quei giorni liberi. Mi stava evitando? Lo avrei scoperto solo al suo ritorno.
⚜⚜⚜
Era più una sfilata che un pellegrinaggio, quello verso i quattro santuari della città. La parata incominciava dal Palazzo d'Estate, con le due regine del regno di Smeraldo alla testa della spedizione. Immediatamente dietro di loro c'erano i membri più prossimi della famiglia Okoro: i principi. Nonostante la mia reticenza, mi costrinsero a sedermi su una lettiga e a farmi trasportare dai miei sei Alpha.
C'erano proprio tutti: avevano rispettato le usanze del regno e avevano adottato un abbigliamento semplice, da servitori. Appropriato, considerato che stavano trasportando loro la mia lettiga, cosa che trovavo molto imbarazzante. Erano tutti stupendi, in modo particolare e diverso.
A portare i bastoni davanti, sulle loro stesse spalle , c'erano Akia e Jörvar. Sebbene li avessi incrociati di sfuggita nei giorni scorsi, non avevo avuto una conversazione approfondita con nessuno dei due dai giorni in cui avevo avuto effusioni con entrambi. Che imbarazzo. Li osservai dall'alto della lettiga.
Akia era affascinante, in maniera molto leonina, con quegli occhi nocciola che sfumavano verso l'oro, i muscoli gonfi e scattanti e la chioma selvaggia di lunghi dreadlocks riempiti di perline scintillanti. Jörvar però aveva una bellezza esotica, completamente diversa dalle persone di Samarcanda, algida e predatoria, con i capelli biondissimi, gli occhi di ghiaccio e gli artigli alle mani.
A portare i due bastoni, sul retro della lettiga, c'erano invece Shun e Rajat, gli unici due principi fra il mio gruppo di corteggiatori. Trovavo incredibile che il principe Rajat, con quel suo carattere da felino viziato ed indispettito, avesse accettato addirittura di trasportare la mia lettiga. Non c'erano nemmeno le ancelle nelle vicinanze! Era sofisticato anche lui, con i riccioli neri irrorati di blu e gli occhi così gialli da sembrare due lune. Assurdo ma vero, vestita come un servitore, ma non aveva abbandonato i suoi molti tatuaggi sulle braccia muscolose.
Così come Shun non aveva smesso di vestire gli abiti tradizionali della sua gente, sebbene il kimono avesse colori più spenti e stoffe più modeste, rispetto al solito. I lunghi capelli setosi erano chiusi in una coda bassa e il solito occhio coperto da una benda nera.
A destra e sinistra della lettiga, per coprire i punti scoperti, c'erano Lorence e Thiago. Il primo, anche se indossava dei pantaloni semplici e una camicia di lino, riusciva comunque ad avere la sua invidiabile classe. La chioma castana, piuttosto chiara, era impomatata nella solita piega ordinata e aveva anche l'indispensabile monocolo.
Il secondo, invece, teneva la camicia aperta per mostrare i pettorali e si pavoneggiava davanti alla folla, ravvivandosi i riccioli mogano con un sorriso da star da palcoscenico. Ovviamente, facendo le veci della mia scorta personale, erano tutti armati. Ogni volta che li guardavo, loro guardavano me, come se sapessero perfettamente che li tenessi d'occhio e loro facessero lo stesso. Indirizzavo ai sei dei sorrisi artefatti e continuavo a fissare la strada lastricata di fronte a noi.
Il percorso era cosparso di addobbi, festoni, ghirlande e fiaccole. Dalla parata venivano lanciate caramelle e cioccolata verso gli spettatori e i marciapiedi erano gremiti di gente che si spintonava per arrivare più vicino, lanciando fiori e pupazzi. Era l'occasione perfetta per un attacco e, fra la gente della sfilata e la folla, c'erano due file di guardie, che erano state pagate il doppio per fare il loro lavoro durante le feste.
Dietro la mia lettiga c'erano mia sorella Tahani e il suo fidanzato Quinn, che proseguivano a braccetto, facendo la parte dei promessi sposini che riusciva loro tanto bene. I sudditi li amavano: impazzivano solo guardandoli, perciò gridavano e li riempivano di fiori. Quando si accorsero che li stavo adocchiando anche io, Quinn fece un ghignò e si indicò la bocca.
Che diavolo faceva? Aggrottai la fronte e tornai a girarmi verso la strada, dandogli le spalle. Dietro di loro c'era anche Tamsin, che sorrideva e salutava le persone amichevolmente, sebbene ricevesse meno attenzioni rispetto agli sposi che lo anticipavano nella sfilata. Subito dopo, c'erano il resto dei parenti e della corte. Inoko con suo marito, tutta un'altra serie di cugini e zii e poi un sacco di aristocratici.
C'erano anche molti giornalisti, che facevano un numero esagerato di foto con le loro macchine a scoppietto: nuvole di fumo si innalzavano mentre i loro flash mi accecavano. «Principe, sorridete qui!» gridavano e si sbracciavano, ma io facevo il minimo indispensabile per assecondarli.
Finalmente, il pellegrinaggio si concluse quando furono raggiunte le scalinate del Tempio del Cervo Grigio. Sorgeva nel punto più a nord della città, rialzato su una rampa di gradini di pietra che parevano infiniti. Era imponente, con finestre istoriate, trifore, archi gotici... Sembrava un castello o un'oscura accademia. Al suo interno, l'odore dell'incenso era tanto forte da stordire i sensi e una solenne penombra, illuminata dai bagliori colorati dei vetri istoriati, faceva sentire in soggezione.
Ma mai quanto Il Santo di Samarcanda. Lui era il motivo per cui il Cervo Grigio era lo spirito più importante e venerato di tutto il regno. Adesso, una folla immensa si era raccolta di fronte all'altare su cui sorgeva l'idolo del cervo, una vera e propria statua d'argento che scintillava per quanto fosse lucida. E lì ai piedi dell'altare, sotto agli occhi di tutti, c'era Il Santo.
Chiuso nella sua bara di cristallo, opportunamente separata dai visitatori mediante un cordone di velluto grigio. All'interno della bara c'era l'uomo più bello che avessi mai visto - ... dopo Zakhar - di una bellezza sovrannaturale, che ti perfora e ti torna in sogno per giorni. Pelle d'alabastro scolpita come una statua di marmo, capelli bianchi come la neve e un'imponente impalcatura di corna da cervo.
Era steso, con le braccia incrociate sul petto come un morto e gli occhi chiusi. Per quanto poco ne si sapeva, poteva effettivamente essere morto, ma fino ad ora non era mai marcito. Ed era lì da secoli. Millenni forse. Più di quanto la gente e i regnanti di Samarcanda ricordassero. Nessuno sapeva la sua storia, da dove provenisse, chi l'avesse chiuso in quella bara. Ma negli anni l'uomo nella bara aveva attirato tanta attenzione su di sé, tanto che erano stati molteplici i tentativi di aprire la bara, in qualsiasi modo, perfino quelli più drastici.
Ma il cristallo aveva retto e lui era ancora lì, perfettamente intatto, grazie chissà a quale misterioso incantesimo. Perciò, dalle ultime quattro generazioni di Okoro, l'uomo si era guadagnato la nomea di Santo e su di lui era stato eretto il Tempio del Cervo Grigio. Turisti da ogni parte del mondo venivano a fargli visita e a pregare. Spesso, le loro preghiere si avveravano.
Lasciai che le mie madri accendessero una candela sull'altare e feci lo stesso anch'io. Tamsin si fermò, imbambolato, a guardare il Santo attraverso il vetro della bara, mormorando fra le labbra qualche preghiera. Forse era il caso che pregassi gli spiriti anch'io. Avevo moltissime richieste e, sentivo, non abbastanza fede a disposizione per esaudirle tutte.
Ma mi misi ugualmente con le mani giunte e chinai il capo, chiudendo gli occhi.
Ti prego, Cervo Grigio, fa' che non succeda niente di brutto. Fa' che mio fratello Taro sia al sicuro. Fa' che nessuno si faccia male. Fa' che tutti gli Omega siano al sicuro dal Formicaio. Fa' che il matrimonio di mia sorella e Quinn salti.
E ti prego, ti imploro, fa' che Zakhar mi ami...
«Per che cosa state pregando, principe?»
Sobbalzai, come colto sul fatto a fare qualcosa di illecito. Mi sentii mancare. Che cosa avevo appena pensato? Per che cosa avevo appena pregato? Lo avevo fatto senza nemmeno realizzarlo. Sgranai gli occhi, turbato da quel pensiero. Fa' che Zakhar mi ami?! Dovevo essere impazzito.
«Ehm... come?» mi rivolsi all'Alpha che aveva appena parlato, cioè Lorence Williams, il prestigioso mercante dell'Occidente.
«Vi chiedevo per che cosa stavate pregando, così avrei potuto pregare insieme a voi.» sussurrò l'uomo, le mani giunte davanti al bacino e lo sguardo puntato sull'idolo del cervo di fronte a noi. «Ma spesso le preghiere sono faccende private, non sentitevi in dovere di condividere.» Annuii. Lui sbatté lentamente le ciglia nocciola, scrutando Il Santo. «E' edificante da guardare. Fa proprio sentire bene... Come la festa degli spiriti. Tutti sono buoni durante i festeggiamenti.» Mi rivolse un sorriso fascinoso.
«Sì. Avete ragione.» mormorai, scrutando la bara di cristallo, nascondendo il mio turbamento. Qualsiasi cosa avessi pensato su Zakhar, la ritiravo. Me la rimangiavo. Scusa, Cervo Grigio, ignora la mia ultima preghiera. Per favore, pensai.
«Forse è anche per questo che devo dirvelo, oltre al fatto che non dirlo violerebbe la mia concezione di cortesia.» continuò, ed io aggrottai la fronte. «Avete i denti tutti blu.» svelò l'arcano.
«Eh?!» Mi coprii di scatto le labbra. Ma come? Certo, le caramelle che mi aveva dato mio fratello! «Accidenti...» Ecco perché, durante la parata, Quinn aveva sogghignato e si era indicato le labbra. E io avevo sorriso a tutti i miei corteggiatori, ai sudditi e ai giornalisti in quelle condizioni. Che imbarazzo. Mi sentii avvampare violentemente.
Perché mai Tamsin non mi aveva avvisato? Gli lanciai uno sguardo accigliato, ma lui non mi guardava. Invece, proprio in quel momento, lo beccai a fissare Quinn, che si stava scambiando delle esagerate effusioni con mia sorella, praticamente mangiandole la faccia. Eppure, ebbi l'impressione che, mentre la baciava, anche Quinn stesse osservando mio fratello. Che strano.
Sentii che qualcosa mi sfuggiva. E, proprio in quel momento, un uomo si spinse in mezzo agli Alpha, sfruttando l'effetto sorpresa, per lanciarmisi addosso. Era sporco e coperto di stracci e quando mi afferrò le braccia, strattonandomi, fu irruento, ma non mi fece male.
«Salvate mio figlio!» gridò. In pochi secondi, venne spintonato via e allontanato da me.
«Aspettate! Non fategli del male!» urlai, mentre la corte, gli adpti del tempio e chi stava pregando si voltava a guardarci.
«Salvatelo! E' un Omega come voi, non si merita di stare nel Formicaio!» ululò, un suono che riecheggiò violentemente fra gli archi alti del santuario, mentre veniva trascinato via dalle guardie come un criminale. «Vi prego, principe Taye! VI PREGO!» Fu l'ultima cosa che riuscii ad udire.
Mia madre, Tusajigwe Jelani, si fece strada fra la folla fino a raggiungermi, con un'espressione arcigna. «Non stare a sentire. Le persone si prendono troppe libertà in questo periodo dell'anno.» mi redarguì, ma io continuavo a fissare il punto da cui l'uomo era stato portato via, profondamente scosso.
Dov'erano gli spiriti animali e i santi per aiutare la povera gente? Dov'erano i regnanti? E dove Zakhar, quando io avevo bisogno di lui?
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