Regola n.37: accetta l'inaspettato
L'umiliazione mi bruciò le guance fino ad irrorarle di rosso vermiglio. Era una fortuna che tutto quel vapore, coadiuvato al nocciola del mio incarnato, nascondessero almeno un po' il colore sparso sulla mia faccia. Quando il nuovo Principe della festa degli spiriti animali aveva fatto la sua prima richiesta, avrei dovuto esserne sorpreso, invece non lo ero affatto.
"Voglio che il principe ereditario Taye Okoro sia il mio servo personale per tutta la durata delle festività. Mi laverà, vestirà, preparerà i miei pasti e obbedirà ad ogni mio capriccio senza fiatare."
Nessun inserviente del Palazzo, che fosse sano di mente, si sarebbe mai permesso di avanzare una simile richiesta alla Regina Jelani, considerando che le festività non duravano per sempre e, alla loro fine, ci sarebbero potute essere delle conseguenze. Ma Zakhar non era un inserviente qualsiasi. Era il maledetto, famosissimo Falco. Era perfido e non gli importava un accidenti delle conseguenze.
E trovavo la sua scelta anche un pochettino infantile. Avrebbe potuto ingegnarsi e proporre qualsiasi altra astuta richiesta, invece aveva preferito scegliere me in quanto suo schiavetto, solo per punzecchiarmi e umiliarmi. Forse era la sua idea di "richiesta astuta".
Se si aspettava che avrei protestato, però, si sbagliava: assecondare il gioco faceva parte dello spirito della festa. Inoltre, ero serio abbastanza e al di sopra del suo dispettuccio da non battere ciglio. Non ero un temerario, ma la tenacia non mi mancava e ormai sapevo di che pasta fosse fatto il celebre mascalzone di Samarcanda.
Tuttavia, Zakhar si stava impegnano fino in fondo per innervosirmi e la giornata era appena cominciata. Mi chinai meglio all'interno della vasca, con l'acqua e il sapone che mi arrivavano fino ai gomiti, le piastrelle di marmo che mi scavavano nella pelle il vapore caldo che mi saliva sulla faccia. Stava volutamente emettendo i suoi feromoni Alpha in zaffate generose, mentre io gli insaponavo la schiena.
«A quest'ora avrei dovuto... essere nei templi, a pregare... in cerca di buon... auspicio. Mi servirebbe... visto che ho... un cospiratore alle calcagna.» dissi, strofinandogli la spugna contro i muscoli, fra un respiro profondo e l'altro. Difficile pronunciare una frase intera senza avere l'affanno: il caldo e quel dannato odore mi seccavano la lingua e mandavano in pappa il cervello.
«Tranquillo, servo caro. Gli spiriti animali non si arrabbieranno se tarderai di un giorno. Domani avrai una giornata piena di visite ai santuari e corteggiatori, ma oggi il Principe della festa ti ha monopolizzato.» Mi lanciò uno sguardo da sopra alla spalla scolpita, sorridendo in quel suo modo da rapace, da cacciatore di fronte alla pecorella smarrita. Affilai lo sguardo, strizzando forte la spugna. «E adesso continua. Stai spargendo sapone ovunque, tranne che su di me.»
«Ti stai proprio divertendo... vero?» Inarcai un sopracciglio, insaponandogli le spalle.
«Immensamente. E, oh, ricordati di darmi del voi. Sono pur sempre il tuo principe e c'è una gerarchia da rispettare, servo.» proseguì, con un tono maligno che mi fece venire voglia di spingergli la testa sott'acqua. Prima che potessi tentare di farlo e lui mi neutralizzasse in maniera vergognosa, si alzò dalla vasca, rivelando il corpo completamente nudo.
Il fatto che fossi ancora in ginocchio, che ci fosse tutto quel vapore, quella schiuma e solo una veste sdrucita di iuta a coprirmi fino alle cosce, rendeva la situazione satura di tensione. Quel genere di tensione che mi chiuse la gola e mi fece cadere di mano il sapone, restando a sedere, inebetito, sul ciglio della vasca. Abbassò gli occhi su di me, lentamente, gustando a pieno la mia espressione.
«Non abbiamo ancora finito.» snocciolò, facendo un passo avanti, al punto che il mio stargli accovacciato ai piedi rendeva le posizioni oscene. I suoi feromoni divennero ancora più forti, cosa che probabilmente non era neanche voluta - oppure sì? - ed io sentii il corpo diventare bollente. Ero tanto inebetito che a stento mi accorsi che Zakhar mi aveva già aggirato e si era recato verso un lettino per massaggi.
«Che ci fai ancora seduto lì?» Sbuffò una risata. «Svelto, servo. Non vuoi essere punito perché tarderemo la colazione, no?» Piegò l'indice in un gesto d'invito, verso di me, prima di stendersi sul lettino a pancia in giù. Ancora tutto nudo, ovviamente.
L'incenso al sandalo era acceso e bruciava dolcemente, mentre l'atmosfera soffusa rendeva la vasta sala da bagno un luogo ancor più confortevole del previsto. Il mio cuore batteva ad un ritmo superiore al normale, la gola chiusa mi impediva di parlare e il corpo bruciava come un tizzone ardente. Senza fiatare, immersi le mani nella ciotola di olio profumato e poi passai le dita sulle sue spalle, iniziando a massaggiare.
Non l'avevo mai fatto prima, ero io di solito che ricevevo certi trattamenti - e raramente, perché non ero quel genere di nobile che si stravaccava e si faceva massaggiare dagli altri - perciò i movimenti mi erano abbastanza estranei. Premetti un po' coi pollici e accarezzai col resto delle dita.
«Mmhh sì, un po' più in basso.» mormorò, in un tono che oscillava dall'apprezzamento alla noia. Mi morsi il labbro inferiore, dando un'occhiata furtiva al resto del corpo, scolpito e punteggiato ogni tanto da qualche piccola cicatrice di cui non mi ero mai accorto. Abbassai leggermente la zona dove stavo "massaggiando". «Di più.» Adesso la sua voce si era fatta arrochita. Provocante e, proprio per questa, anche provocatoria. Lo stava facendo di proposito!
Con le mani posate all'altezza dei fianchi, a qualche centimetro dal suo fondoschiena di marmo, sibilai: «Sono un servo... non il vostro concubino.»
Puntellò il peso del corpo sui gomiti, alzando di poco il busto dal lettino per guardarmi. «Peccato.» Allungò un braccio per avvolgermi il polso. «Però sono sicuro che anche un servo apprezzi le attenzioni del Principe.» A quel punto, avevo il viso infuocato. Mi attirò a sé, spingendomi verso il basso e mi baciò, senza preavviso, benché avessi inconsciamente aspettato quel bacio dall'inizio del bagno, per colpa di tutti i feromoni inalati.
Mi circondò la nuca con una mano e si tirò a sedere, solo per potermi poggiare l'altra sulla schiena, avvicinandomi a lui abbastanza da sentire il suo corpo nudo contro il mio e un principio d'erezione da parte di entrambi. Sentimmo uno scalpiccio di passi provenire dall'ingresso del bagno, perciò ci staccammo alla velocità della luce. Zakhar si avvolse un asciugamano intorno al bacino, mentre io mi coprii l'inguine con le mani giunte, in una posizione servile.
Lanciai uno sguardo con la coda dell'occhio: era solo un altro servo, vestito da nobile però, che voleva godere dei benefici dei bagni reali, adesso che ne aveva l'occasione. «Andiamo.» mi avvisò il Falco, che si era messo una vestaglia di seta nera bordata d'oro e si stava allacciando la cintura in vita. «Devi ancora cucinarmi la colazione.»
«Ma certo, Vostra Altezza.» sciorinai, con un tono chiaramente ironico. Uscire dalla sala da bagno fu un toccasana: l'aria fresca, priva di vapore e di tutti quei feromoni, aiutò a farmi tornare la lucidità.
Una volta dietro alle piastre bollenti, mi limitai a mettere insieme una colazione senza dover cucinare niente e combinare disastri. Non ero bravo in cucina come il principe Rajat e il fatto di avere cuochi capaci di creare meraviglie non mi aveva mai spinto a prepararmi da solo il cibo. E poi, con Zakhar che mi fissava la schiena con l'intensità di un pugnale puntato alla gola, era difficile fare qualcosa.
Avevo già rotto un uovo per terra, strapazzato un altro con tutto il guscio nel tegame. Quindi misi in tavola un panino pieno di burro e frutta tagliata in pezzi irregolari e davvero brutti da vedere. Il "Principe" alzò un sopracciglio. «Tutto qui quello che sai fare, servo?» Scosse la testa, con un sorriso cattivo. «Deludente.»
Piantai il pugno sul tavolo. Okay, forse non ero così "al di sopra" del suo dispetto e così felice di assecondare le tradizioni. «Smettila di giocare, criminale, e dimmi che cosa vuoi! Se hai scelto di farmi diventare il tuo servetto vuol dire che hai qualcosa in mente, perciò vuota il sacco invece di perdere tempo a mimare il nobile viziato!»
Lui non si scompose di una virgola. «E se il mio piano fosse proprio questo?» L'angolo delle labbra si incurvò ancor di più verso l'alto, disegnando una parentesi sensuale sulla sua guancia incavata. «Infastidirti fino a spingerti al limite e farti sbottare o sbagliare.» Mise la mano sul mio pugno e si alzò, incurvadosi sopra il tavolo, sopra di me, incombendo esattamente come un falco sulla preda. «Così avrò tutto il diritto di punire il mio servo, fargli qualsiasi cosa voglio e in maniera assolutamente lecita, sotto alla luce del sole.» sogghignò.
«Non te lo permetterebbero.» dissi, convinto.
«Sono io il Principe della festa.» ammiccò, furbo e soddisfatto.
«Ci saranno delle conseguenze quando le festività finiranno.» lo rimbeccai, testardamente. «E tu non oseresti correrle e venir cacciato via dal Palazzo.»
«Non oserei?» ripeté, sardonico, avvicinandosi al mio viso per bruciare i centimetri che ci separavano. Il fatto che non fossimo in grado di stare realmente lontani era allarmante. «Non ho mai smesso di osare e guarda un po' dove sono arrivato.» I suoi occhi mi sondarono dalla testa ai piedi, come a far capire che non solo era entrato nel Palazzo e diventato la mia guardia personale, ma era riuscito ad intrufolarsi nel mio letto. «Ma ormai mi conosci, Taye. Riesco sempre a fare ciò che voglio.»
«Mi sfugge la risposta principale.» Mi puntellai sui piedi, cercando di acquistare qualche centimetro in altezza per guardarlo meglio negli occhi. «Perché vorresti farmi qualcosa, in maniera lecita, sotto alla luce del sole?» Alzai il mento, in segno di sfida. «Credevo che il tuo obiettivo fosse proteggermi dal mio attentatore, tutto qui.»
Rise sommessamente, un suono che mi fece perdere un po' della sicurezza che avevo nello sguardo. Se credevo di averlo messo all'angolo, mi sbagliavo. «Perché è maledettamente divertente. Non solo diverrai molto meno appetibile per i tuoi Alpha, ma immagina quando si verrà a sapere chi sono davvero. Il principe ereditario svergognato dal Falco...»
Sentii la rabbia montare dentro di me in maniera del tutto improvvisa. Lo divertiva tanto l'idea di rovinarmi la vita? Lo spintonai, anche se non si smosse di un millimetro. «Sei uno stronzo crudele.» sbottai, girando i tacchi per uscire fuori dalla cucina, turbato. Sentivo che non diceva tutta la verità, ma era un Alpha così ingannevole e sinistro che ci doveva pur essere un fondo di verità in quello che diceva.
Zakhar era troppo complesso da capire: mi proteggeva dai miei assassini, arrivando a brutalizzare lo Squalo mannaro che mi aveva quasi ucciso come se fosse una vendetta personale, ma poi si divertiva a mettermi in difficoltà e ad umiliarmi. Non c'era niente di positivo in lui... Eppure era il mio compagno. Mi aveva regalato un girasole. Mi aveva dimostrato che potevo fidarmi di lui in molte occasioni.
Oltre all'attrazione innegabile che c'era fra noi due, aveva qualcosa di misterioso e segreto, in lui, che mi spingeva a voler scoprire di più. O forse era davvero quello che diceva e dimostrava di essere. Un criminale cattivo, l'antagonista della storia, venuto per gettare scompiglio. Camminai per il palazzo con i pugni stretti e una battaglia nella testa.
Sapevo che non fosse una buona idea aggirarmi da solo, ma dopo ciò che era successo con lo Squalo avevo gli occhi di molte guardie puntate addosso. Ignorai l'ora di pranzo e andai a farmi un sorvegliatissimo bagno nel cenote, poi provai a chiamare mio fratello Taro, ma senza successo. Passare le festività degli spiriti sapendolo non al sicuro peggiorava davvero tanto il mio umore.
Incontrai Tamsin, che aveva le braccia piene di regali ed era molto stranito dal fatto che me ne andassi in giro senza scorta. Mi fermai poi nei pressi dell'idolo nord nel palazzo: la zona era allestita con la grande statua di un cervo grigio, decorata con fiori, ghirlande e candele. Sapevo che tutti i doni ufficiali mi sarebbero stati consegnati domani, invece sotto agli idoli mi aspettavano regali da parenti e membri della corte, fatti per mantenere le apparenze e buoni rapporti con la famiglia reale.
C'erano molti gioielli, stole raffinate, tappeti colorati... E poi trovai un pacchettino che, con mia grande sorpresa, scoprii fosse da parte dei due gemellini Omega che avevo salvato dal Formicaio. Decisi che li avrei aperti con più calma, magari nel giardino, all'ombra di un gazebo. Mentre mi avviavo, nel corridoio incappai in Quinn, il fidanzato di mia sorella. Il biondone indossava abiti che volevano essere "da servo", ma sembrava più una specie di ibrido fra un mercenario e un carpentiere, con i pantaloni sdruciti e la casacca senza maniche.
«Felice dei regali, cognatino?» cinguettò, con le mani in tasca e la faccia da schiaffi. Sembrava sapere perfettamente dove fossi andato prima e che si fosse diretto da me apposta, col solo scopo di darmi fastidio. «Il mio l'ho posizionato sotto l'idolo del Delfino Dorato. Sai, perché io e tua sorella ci sposeremo nel santuario di quello spirito, quindi...» Mi mostrò un sorriso viscido. «Spero lo gradirai.»
«Se vuoi farmi un regalo, vattene da questo palazzo e non farti rivedere mai più.» gli risposi, gelido. I suoi occhi brillarono per quella risposta. Fece un passo avanti, allungando una mano verso di me... E prima che potesse toccarmi, un pugnale spuntò dal nulla, tagliando la traiettoria fra me e Quinn, per poi andare a conficcarsi nel muro.
«Ahi! Ma che cazzo... Chi cazzo è stato?!» ringhiò lui, tirandosi la mano al petto. Era perfino stato tagliato, anche se solo di striscio.
Zakhar uscì dall'ombra, ancora vestito come un principe, ma sempre avvolto nel nero, da quell'aura tenebrosa che si portava addosso. «Hai sentito cos'ha detto il principe?» ringhiò, fissandolo in maniera apertamente ostile. Cosa che, fatta dal Falco in persona, faceva proprio paura. «Vattene. O ti farai molto male.» minacciò, prendendomi e tirandomi al suo petto.
Quinn schioccò la lingua, guardandolo dalla testa ai piedi. «Abbassa la cresta, sei solo uno qualunque e posso farti licenziare con uno schiocco di dita. Sarà facile liberarsi di te.» sibilò al corvino, che non gli rispose, ma lo fissò con un sorriso inquietante, quasi ad invitarlo a provarci. Poi il fidanzato di mia sorella se ne andò di fretta. Sospirai.
«Mi stavi seguendo, vero?»
«Ovviamente.» esclamò Zakhar, che ancora mi teneva stretto al suo petto. «Hai scelto di disobbedire al tuo Principe e guarda cos'è successo.» disse, ironico.
«Mi punirai come hai promesso di fare?» domandai, un pizzico indispettito, ma anche curioso di sapere cosa realmente avrebbe fatto. Mi rivolse, per tutta risposta, uno sguardo enigmatico.
«Forse...» E poi mi prese per mano e mi trascinò con sé, senza dirmi dove stavamo andando. Liberi dalle guardie e col tramonto che brillava, ci ritrovammo sotto l'arco di gelsomino che aveva consacrato la nostra assurda alleanza, tempo addietro, quando ancora non sapevo che l'uomo mascherato che mi aveva rapito fosse il Falco. Lo stesso arco di gelsomino dove mi aveva rubato il primo bacio.
«Che ci facciamo qui?» chiesi, confuso.
«Vorrei darti il mio regalo. Sempre che tu voglia accettarlo.» pronunciò, guardandomi negli occhi, con serietà.
«Tu hai un regalo per me?» Ero davvero scioccato, ma accettai il pacco rettangolare che mi consegnò, incartato in una carta liscia e nera, priva di fronzoli. La strappai e scoprii l'interno con grandissimo sgomento. Si trattava di un'edizione limitata de La Rivendicazione degli Omega, il libro che mi stava tanto a cuore. E per poco non mi uscirono gli occhi fuori quando mi resi conto che era una copia autografata. «Non ci credo! Come accidenti hai fatto?!» Lo fissai, sbalordito e sorridente. «E' assurdo, sapevo che l'autrice non fosse rintracciabile, davvero, come hai fatto...?!»
Zakhar si mise a ridere e poi fece spallucce. «Sai che ho tanti segreti.» Poi si frugò nelle tasche e trovò una piccola pergamena in nastro dorato. «In realtà c'è anche un altro regalo. Ma questo dovrai vederlo stanotte, quando sarai solo nella tua stanza.»
«Oh... Va bene.» accettai la pergamena e me la infilai nella tasca della veste. Il resto della giornata si svolse in maniera del tutto naturale: ero al settimo cielo per la copia autografata del mio libro preferito, perciò non mi importava se quella sera, al banchetto, avrei dovuto fare da cameriere personale della mia scorta e avrei dovuto imboccarlo davanti a tutti. Ero troppo felice per guastarmi l'umore e una parte della mia testa ancora molto concentrata sulla pergamena.
Ma scoprii l'inaspettato regalo solo quando fui effettivamente solo, nella mia stanza. Sapevo che Zakhar era appostato fuori dal mio balcone, forse seduto sul cornicione, e le mani mi tremavano un po' mentre scioglievo il fiocco dorato e srotolavo la carta. Si trattava di un testo scritto, una lettera, o forse una poesia.
" - 𝐿'𝑖𝑛𝑓𝑒𝑟𝑛𝑜 𝑑𝑒𝑖 𝑣𝑖𝑣𝑒𝑛𝑡𝑖 𝑛𝑜𝑛 𝑒̀ 𝑞𝑢𝑎𝑙𝑐𝑜𝑠𝑎 𝑐𝘩𝑒 𝑠𝑎𝑟𝑎̀;
𝑠𝑒 𝑐𝑒 𝑛'𝑒̀ 𝑢𝑛𝑜, 𝑒̀ 𝑞𝑢𝑒𝑙𝑙𝑜 𝑐𝘩𝑒 𝑒̀ 𝑔𝑖𝑎̀ 𝑞𝑢𝑖, 𝑙'𝑖𝑛𝑓𝑒𝑟𝑛𝑜 𝑐𝘩𝑒 𝑎𝑏𝑖𝑡𝑖𝑎𝑚𝑜 𝑡𝑢𝑡𝑡𝑖 𝑖 𝑔𝑖𝑜𝑟𝑛𝑖, 𝑐𝘩𝑒 𝑓𝑜𝑟𝑚𝑖𝑎𝑚𝑜 𝑠𝑡𝑎𝑛𝑑𝑜 𝑖𝑛𝑠𝑖𝑒𝑚𝑒.
𝐷𝑢𝑒 𝑚𝑜𝑑𝑖 𝑐𝑖 𝑠𝑜𝑛𝑜 𝑝𝑒𝑟 𝑛𝑜𝑛 𝑠𝑜𝑓𝑓𝑟𝑖𝑟𝑛𝑒.
𝐼𝑙 𝑝𝑟𝑖𝑚𝑜 𝑟𝑖𝑒𝑠𝑐𝑒 𝑓𝑎𝑐𝑖𝑙𝑒 𝑎 𝑚𝑜𝑙𝑡𝑖: 𝑎𝑐𝑐𝑒𝑡𝑡𝑎𝑟𝑒 𝑙'𝑖𝑛𝑓𝑒𝑟𝑛𝑜 𝑒 𝑑𝑖𝑣𝑒𝑛𝑡𝑎𝑟𝑛𝑒 𝑝𝑎𝑟𝑡𝑒 𝑓𝑖𝑛𝑜 𝑎𝑙 𝑝𝑢𝑛𝑡𝑜 𝑑𝑖 𝑛𝑜𝑛 𝑣𝑒𝑑𝑒𝑟𝑙𝑜 𝑝𝑖𝑢̀.
𝐼𝑙 𝑠𝑒𝑐𝑜𝑛𝑑𝑜 𝑒̀ 𝑟𝑖𝑠𝑐𝘩𝑖𝑜𝑠𝑜 𝑒𝑑 𝑒𝑠𝑖𝑔𝑒 𝑎𝑡𝑡𝑒𝑛𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑒 𝑎𝑝𝑝𝑟𝑒𝑛𝑑𝑖𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜 𝑐𝑜𝑛𝑡𝑖𝑛𝑢𝑖: 𝑐𝑒𝑟𝑐𝑎𝑟𝑒 𝑒 𝑠𝑎𝑝𝑒𝑟 𝑟𝑖𝑐𝑜𝑛𝑜𝑠𝑐𝑒𝑟𝑒 𝑐𝘩𝑖 𝑒 𝑐𝑜𝑠𝑎, 𝑖𝑛 𝑚𝑒𝑧𝑧𝑜 𝑎𝑙𝑙'𝑖𝑛𝑓𝑒𝑟𝑛𝑜, 𝑛𝑜𝑛 𝑒̀ 𝑖𝑛𝑓𝑒𝑟𝑛𝑜, 𝑒 𝑓𝑎𝑟𝑙𝑜 𝑑𝑢𝑟𝑎𝑟𝑒,
𝑒 𝑑𝑎𝑟𝑔𝑙𝑖 𝑠𝑝𝑎𝑧𝑖𝑜.* -
Sono sempre stato abituato ad essere parte integrante dell'Inferno. Ma tu sei tutt'altro che inferno. Sei diverso da tutti."
Abbassai la pergamena, col cuore e l'anima in subbuglio. E nemmeno riuscii a frenare il mio corpo quando corsi fuori dal balcone, urlando il nome di Zakhar. Sentivo la necessità di vederlo. Di chiedergli se pensava davvero quelle cose. E forse di baciarlo.
Ma lui non si fece vedere, anche quando lo chiamai di nuovo e lo aspettai, affacciato dalla ringhiera. Come se non volesse mostrarsi, dopo essersi già messo in mostra con un simile messaggio. Perciò me ne andai a dormire, scombussolato, con una sensazione agrodolce e la speranza di rivederlo presto la mattina dopo.
*da "Le Città Invisibili" di Italo Calvino
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