Regola n.33: divertitevi


Akia Niaré aveva una presenza imponente, capace di riempire l'intera sala. Non era solo per la stazza del suo corpo - un armadio sarebbe stato meno intimidatorio - ma per il carisma e la regalità che trasmetteva, come un leone in grado di spaventare e affascinare l'intera Savana con un singolo ruggito. Eppure aveva anche un sorriso abbagliante.

Trovavo così strano essere seduto di fronte a lui, su un piccolo tavolo dove le nostre gambe, al di sotto, quasi si toccavano. E un singolo lume di candela fra di noi, a rischiarare i nostri visi. Era passato un po' dall'ultima volta che avevo avuto occasione di parlare con lui e adesso avevamo a disposizione un'intera notte, organizzata appositamente per il corteggiamento. L'Alpha era il pupillo di mia madre, perciò la zona del palazzo a noi destinata per la serata era curata nel minimo dettaglio con cura minuziosa.

La luce era soffusa e il padiglione dove si stava svolgendo la nostra cena, caratterizzato da colonnati e soffitti artisticamente intagliati, era riempito dai puntini luminosi che i lampadari imponenti e le svariate lampade emanavano. Tante piccole candele galleggiavano sul pelo dell'acqua, nelle fontane, e specchi posizionati strategicamente ne moltiplicavano il bagliore. 

L'atmosfera era magica e i camerieri silenziosi come fantasmi, mentre lasciavano i piatti di portata sul tavolo, sollevando le cloche per rivelare pietanze di alta cucina, benché tipica di Samarcanda. Era tutto cibo già verificato dagli assaggiatori reali, perciò non correvo alcun rischio di avvelenamento, così come le bottiglie di vino stappate al momento. 

«Ammetto di avercela messa tutta per vincere. Non avrei sopportato di sapervi nelle mani di un altro, Taye.» esordì, portandosi il calice di alcolico alle labbra. «Spero siate felice che sia stato io ad ottenere il premio.» disse, con un sorriso sicuro di sé, come se non temesse il contrario. I dread lunghi erano legati e lasciati cadere sulla schiena, mentre la camicia aderente di lino bianco, aperta a metà sul torace, rivelava i muscoli d'ebano e molte file di collane in perle di legno con zanne o artigli di bestia appesi. 

A dire la verità, avevo sperato che vincesse il Lupo Bianco, ma l'occasione di parlare col Leone per scoprire quanto fosse alleato di mia madre e quanto, invece, fosse sincero, tornava davvero utile. Dovevo solo concentrarmi per non cadere troppo vittima del fascino di quel sorriso o dei suoi feromoni che, anche se trattenuti, mi stordivano i sensi. Portava con sé l'impercettibile odore della pelle conciata d'animale, quello di pittura e quello della salvia. 

«Mi fa piacere.» confermai, abbozzando sulle labbra un sorriso modesto, mentre coi denti mi mordicchiavo l'interno della mia guancia. «Vi siete battuto davvero valorosamente.» continuai, ma non credevo che Akia fosse debole alle lusinghe, probabilmente perché ne riceveva in continuazione dai membri della sua tribù. «Però, posso chiedervi una cosa?» Affondai il cucchiaio in un'elaborata gelatina al mandarino. 

«Potete chiedermi tutto quello che volete.» disse, con uno sguardo nocciola intenso, autoritario, ma che riusciva al tempo stesso a ricordarmi casa. 

«Che cosa vi ha detto il principe Shun?» Mi tamponai le labbra col tovagliolo. «Sempre se non sono troppo indiscreto.» Ricordavo che, durante il combattimento, l'Alpha serpente l'avesse stuzzicato nella speranza di farlo perdere distraendolo.

Gli occhi castani dell'altro si incupirono un po' e, dopo un breve attimo di silenzio, decise di dirmi la verità. «Mi ha detto che fosse inutile battermi per questa serata. Voi avevate già rifiutato la mia mano, sarei sempre stato la vostra seconda scelta.» Certo, perché lui era il primo e l'unico che avrei dovuto sposare. Ancora prima che mia madre cambiasse le carte in tavola e creasse questa competizione fra Alpha. 

Rimasi a bocca aperta, mentre il senso di colpa mi pungolava il petto. Senza nemmeno pensarci, allungai una mano verso la sua, quella che stringeva saldamente una posata, coprendola con le mie dita molto più piccole e sottili. «Non è così. Voi siete sullo stesso piano degli altri e avete pari possibilità.» promisi. Ne rimase piuttosto sorpreso, a giudicare dalla sua espressione e dal profumo dei suoi feromoni, che divenne un po' più intenso del previsto. Boccheggiai.

«Così mi seducete, Taye.» disse, abbassando la voce mentre si portava la mia mano alle labbra, baciandone il palmo con gli occhi socchiusi. Avvampai, sentendo il calore diffondersi sulla pelle. «Pensavo fosse difficile aprirvi con me, so quanto possa sembrar strano avere un corteggiatore che è capo della stessa tribù che governava vostra madre. L'impressione è che io possa essere sempre dalla parte della regina, piuttosto che dalla vostra, vero?»

«Come...» aveva fatto a capire tutto ciò che pensavo? Sì, il rischio era proprio che fosse il burattino o la spia di mia madre, mandato per tenermi sempre in riga.

Akia mi rivolse un sorriso bianco come l'avorio, consapevole e gentile. «E' comprensibile. Ma dovete sapere, Taye, che io sono fedele soltanto alla mia tribù. Questo vorrà dire che, quando diventerete mio marito, la mia famiglia sarà la mia tribù. Voi e i nostri figli.» sottolineò, con uno sguardo da farmi fremere il cuore e le labbra che mi baciavano ancora una volta il palmo della mano, prima di lasciarlo andare. 

Deglutii rumorosamente. Non si poteva dire che Akia non avesse le idee chiare. Quando riacquistai capacità di parola, domandai: «Ma non vi dispiace lasciare la vostra tribù per governare Samarcanda?» In fondo, aveva detto che attualmente la sua fedeltà era rivolta solo a loro.

«Ho le mie priorità.» rispose, le labbra piegate in un sorriso e lo sguardo rivolto verso la carne, che tagliò silenziosamente, prima di rivolgermi un'occhiata eloquente che faceva capire fossi io, quella priorità. Arrossii, di nuovo. «E poi, ho già istruito un gruppo di possibili successori. Me ne andrò sapendo di lasciare tutto in buone mani.» Si era organizzato meglio degli altri, probabilmente perché era destinato a sposarmi sin dall'inizio. Era comunque notevole, però: un altro Alpha se ne sarebbe infischiato, ma a lui importava. Sembrava un bravo capo e forse sarebbe stato un bravo marito.

«Com'è la vostra tribù?» chiesi, curioso di conoscere quel mondo e non perché c'entrasse la regina Jelani, ma perché c'entrava lui. Era una persona piacevole con cui chiacchierare.

«Be', movimentata.» si mise a ridere, un suono che riempì la sala e mi coinvolse, tanto che ridacchiai anche io senza nemmeno accorgermene. «Però coesa. Non dico che non ci siano litigi e disaccordi, ma siamo anche molto uniti. Io e una cerchia di guardie proteggiamo la comunità e procacciamo il cibo, ma ognuno ha un compito e un ruolo. Nessuno è inutile.» Si portò un boccone alle labbra e masticò lentamente, prima che ricominciasse. «Anche il capo, è scelto con una votazione in maniera piuttosto democratica. Non siamo una grande città, ma questo mi aiuta a conoscere ogni mio suddito.»

«E' tutto molto diverso da Samarcanda.» osservai, sorseggiando il mio vino, inaspettatamente forte: mi diede subito alla testa. 

«Sì. Governare una città e un regno così grande sarà una sfida molto intensa, ma per questo più interessante. E confido che voi mi sarete vicino.» Mi sorrise. «Non ho intenzione di relegarvi alla vita domestica solo perché siete un Omega. Gestiremo insieme i nostri figli e, insieme, anche il regno.» esclamò, con profonda sicurezza. Ricordavo com'era stato abile con i gemellini Omega che avevo salvato dal Formicaio: avevo la sensazione che, oltre che abile al comando, sarebbe stato bravo anche come padre. 

Accidenti. Akia Niaré stava mettendo a dura prova il mio proposito di mandare all'aria l'intero corteggiamento.

«Ma ora basta parlare di me. Voglio sapere di voi, Taye. Questa cena è in vostro onore.» incalzò, raddrizzandosi un po' sulla sedia, che sembrava piccina in confronto alla sua stazza. «Ad esempio, che cosa vi piace di questo regno? Quali sono i vostri interessi e le vostre passioni?»

Aprii le labbra, anche se indeciso, non sapendo bene se aprirmi e raccontarmi completamente, oppure se ponderare con maggior cautela le mie risposte. Akia mi rilassava a tal punto che temevo mi avrebbe estorto qualsiasi informazione, se l'avesse voluto. 

Ad interromperci, però, furono un paio di camerieri, che entrarono in sala trasportando un tavolino che posizionarono lontano da noi, abbastanza perché non si potesse sentire quello che dicevamo, ma comunque a vista. Rapidamente lo apparecchiarono, sotto il nostro sguardo perplesso.

«Pensavo saremmo stati soli a cena...» mormorai, lanciando uno sguardo interrogativo ad Akia, che scosse leggermente il capo, facendomi capire che non sapeva neanche lui cosa stesse succedendo. 

Poi, dalla porta ad arco, entrarono i due per cui era stato allestito il nuovo tavolo. Uno di loro era Inoko, il mio insopportabile cugino, che sulla pelle nocciola chiaro indossava una tunica di seta rossa, elegante, e sugli occhi una benda con perle di fiume e qualche rubino. Esagerato come sempre. L'altro, con pantaloni di pelle scura e una camicia di seta nera come la notte, lo conoscevo molto, molto bene. Era Zakhar. E per qualche assurda ragione cenava a lume di candela con mio cugino.

Difficile descrivere la sensazione che mi travolse in quel momento: l'irritazione o il fastidio erano solo in minima parte l'emozione che mi invase e mi infiammò. Il Falco non mi rivolse nemmeno uno sguardo, mentre teneva sotto braccio Inoko, che accompagnava verso il tavolo. Il biondo gli sussurrava qualcosa vicino al collo, rimanendo appiccicato al suo petto come una cozza. Chissà cosa ne avrebbe pensato, se avesse saputo che si stava spalmando su un famigerato criminale. 

«Lo pensavo anch'io. Capisco però che abbiano comunque deciso di far venire la vostra scorta...» meditò Akia, scuotendo leggermente la testa. «Non importa, hanno avuto l'accortezza di sistemarli lontano da noi, così possiamo conservare la nostra privacy.» Io stavo ancora fissando il loro tavolo cercando di trattenere la rabbia - Zakhar e Inoko? Ma in quale mondo?! Cosa diavolo aveva in mente il Falco? - e non mi accorsi che l'Alpha seduto di fronte a me mi stava osservando. «State bene, Taye?»

Mi ricomposi velocemente. «Sì. Certo.» risposi in fretta, inghiottendo velocemente una cucchiaiata di cous cous ed inghiottendo tanto velocemente che per poco il cibo non mi andò di traverso. Tossicchiai dietro al tovagliolo e, con la coda dell'occhio, tornai a guardare nella direzione dell'altro tavolo. Era sicuramente un piano malevolo di quel farabutto per rovinarmi la serata. Serrai i denti.

«Dicevamo...» cercai di concentrarmi sui miei scambi con Akia, ritornando al discorso lasciato in sospeso. «Mi piacciono le tradizioni, la cultura e l'arte di Samarcanda. Non la scambierei con nessun altro regno.» Tolsi le mani dal tavolo per permettere ai camerieri di cambiarci i piatti e portare in tavola in dessert, un lucente budino al cioccolato con trucioli di mandorle. «Anche l'architettura. La generosità della gente in strada e il buon cibo. Ci sono anche cose che non vanno. Ecco perché i miei interessi principali riguardano proprio la gestione del regno...» sospirai. 

«E' ammirabile da parte vostra, Taye.» mi rispose l'Alpha, mentre io continuavo a raccontargli del mio impegno politico, senza entrare troppo nei dettagli, pur accennando le mie convinzioni riguardo ai diritti Omega. Non sembrava troppo sfavorevole alla cosa e, quando fece una battuta sui vecchi conservatori nella sua tribù, riuscii perfino a farmi ridere. Anche se una parte della mia testa era rivolta a ben altro. 

Quando il dessert venne mangiato fino all'ultima cucchiaiata, ci alzammo in piedi. Ero nervoso, sia perché non sapevo cosa ci aspettava in seconda serata, sia perché a quel punto ci saremmo divisi da Inoko e Zakhar, che continuavano a cenare. Mio cugino non faceva altro che ridere ad ogni cosa che diceva l'altro e le sue guance si gonfiavano come quelle di un pesce palla. 

«Spero non vi dispiacerà se vi invito nelle mie stanze.» disse Akia, avvolgendomi la vita con un braccio muscoloso, accompagnandomi all'uscita, dovendo per forza passare vicino al tavolo di quei due. Visto l'incrocio inevitabile, il Falco ci rivolse finalmente la sua attenzione e, prima di alzarsi in piedi, sussurrò qualcosa ad Inoko, che sghignazzò. 

«Cugino caro! Spero tu ti stia divertendo, la tua scorta è stata così gentile da invitarmi a cena...» esordì lui, con un sorrisino malizioso. 

«Non avrei mai osato rovinare la vostra cena privata, ecco perché ho chiesto di sistemare il nostro tavolo lontano da voi.» continuò Zakhar, con un sorriso falsamente dolce e che io conoscevo come malefico e doppiogiochista. «Ma sono convinto che non avrete fatto caso a noi. Siamo stati discreti.» Sorrise, accarezzando la vita di Inoko, al suo fianco, che fece un verso simile ad uno squittio di soddisfazione. 

«Certo che no. Eravamo immersi nella nostra conversazione. Non ci siamo nemmeno accorti del vostro arrivo.» sottolineai, con freddezza, stringendomi ad Akia, che colse l'occasione per accarezzarmi le spalle. Se notò che avevo qualcosa di strano, non lo diede a vedere e mi assecondò.

«Nessun disturbo, in ogni caso. Ormai la nostra cena è conclusa, ma continueremo a divertirci altrove.» rispose il mio accompagnatore, lanciando uno sguardo penetrante a Zakhar.

Inoko invece si sporse verso di me, come per dirmi un segreto, anche se le sue parole furono udibili a tutti: «Sai, la tua guardia è proprio un bell'Alpha. Mi ha concesso di toccargli il viso...» si vantò e quelle parole furono come un pugno nello stomaco. Scoccai al corvino uno sguardo accigliato e mi accorsi che anche lui mi fissava. E sorrideva. 

«Splendido.» sibilai, col veleno nella voce, guardandolo negli occhi. Se sperava di rovinarmi la serata con Akia, si sbagliava di grosso. «Allora divertitevi! Noi lo faremo.» confermai, stringendomi meglio al corpo del Leone, il cui sguardo si fece carico di intenzioni e sensazioni legate a quel "divertirsi". 

«Senza ombra di dubbio. Il programma per la serata è impegnativo, visto che stasera non lavoro come vostra guardia.» Zakhar rise sommessamente, emettendo uno di quei suoni suadenti che mi facevano sciogliere. Era un gioco? Una sfida? Una perfida provocazione? Alzai il mento.

«Buonanotte.» chiusi la conversazione e, dopo che anche Akia augurò loro una buona serata, ci allontanammo sotto braccio. 

Se Zakhar aveva in programma di divertirsi con Inoko, io non sarei stato da meno. E non importava che facessi tutto quanto per colpa di quel sentimento pericoloso a cui non volevo dar nome - la gelosia - perché non avevo intenzione di perdere la partita col Falco.

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