Regola n.31: tutti ma non Lui


«Non sta succedendo niente.» brontolai, facendo scorrere gli occhi sulla folla sottostante, che continuava ad agitarsi come onde durante la tempesta. Tutti con le mani alzate, a saltare e a contorcersi, riuscivano a nascondere eventuali movimenti sospetti. Sentii le labbra morbide di Zakhar scivolare sulla mia schiena nuda, seminando una scia di languidi, lenti baci. 

Avrei voluto tanto staccarmi via la pelle dalle ossa per non provare quei brividi intensi e quelle scariche di desiderio: il mio corpo era un traditore. E il Falco sapeva meglio di chiunque altro come farlo reagire, fautore di una magia lasciva che non riuscivo a spiegarmi. Anche il Lupo Bianco mi aveva baciato. E toccato. Ma non era la stessa cosa.

«Non mi aspetto che succeda qualcosa, stanotte.» mi rispose il criminale su cui ero seduto, mentre mi abbracciava la vita e faceva scivolare la grande mano in mezzo alle mie gambe. Le sue dita si insinuarono oltre l'orlo dei pantaloni ed io inarcai inavvertitamente il bacino, afferrandogli il polso, in un silenzioso ansimare. Non mi aveva nemmeno sfiorato l'intimità ma già reagivo in quel modo... Eppure, sapevo che stava ancora giocando e recitando. Così come lui sapeva che effetto mi provocava e si divertiva, con un sorriso compiaciuto.

«C-c-cosa? Perché?» balbettai, divincolandomi, nel tentativo di spostargli la mano. Non sapevo se fuori dai pantaloni, oppure un po' più in basso, per toccarmi meglio. 

«Riflettici. Se la persona che ti vuole morto si trova davvero al castello, non avrà abbastanza tempo per organizzare un attacco oggi. Stanotte il pettegolezzo è diffuso e arriverà al suo orecchio. Torneremo al Formicaio nei prossimi giorni e lo porteremo allo scoperto.» spiegò, con quella maledetta mano che rimaneva stoicamente a metà, non fuori dai pantaloni, ma nemmeno a toccarmi direttamente. Strinsi le labbra.

«Non voglio tornare qui... Non mi piace.» mormorai, piegando il collo mentre la sua bocca ci si appoggiava sopra. Il suo odore mi si stava incollando addosso come un secondo strato d'epidermide e temevo che sarebbe diventato incancellabile. Mi impediva di pensare lucidamente. «Perché volevi tanto che scoprissi l'esistenza del Formicaio? L'ho capito che non piace neanche a te... Ma se sei tu che comandi, perché non l'hai ancora distrutto?»

Emise una risata secca, prima di sollevarmi per la vita e ruotarmi su di lui: mi trovai a cavalcioni sul suo corpo, faccia a faccia, con le sue mani premute a coppa sulle natiche. Le mie, invece, erano posate sul suo petto, che aveva la consistenza del granito. «Io comando? Cosa te lo fa pensare?» Alzò il sopracciglio tagliato da quella piccola cicatrice che mi faceva venire voglia di sfiorarla.

«Il fatto che guardi tutti dall'alto in basso, per la precisione da un trono.» sottolineai, ironico. Si portò il boccaglio dorato del narghilè e sussurrò una fumosa risata. 

«Il fatto che mi temano e rispettino non significa che io li comandi. Il Formicaio è un posto selvaggio e anarchico perché non ha capi. Ho molte spie qui dentro e un po' di persone disposte a seguirmi, ma la maggior parte della gente che frequenta questo posto è una specie di mostri a sé stante.» Arricciò le labbra in un sorriso crudele, facendo scorrere gli occhi eterocromi sulla folla, dabbasso. «Alcuni sono pazzi criminali che commettono cose terribili e non rispondono a nessuno. Ma la maggior parte sono nobili e borghesi altolocati che sfogano i loro vizi e le loro perversioni come non potrebbero mai fare nella Samarcanda in superficie.»

Rabbrividii fino in fondo all'anima, e stavolta le mani di Zakhar non c'entravano niente. Quante persone della corte potevano aver frequentato il Formicaio, facendo cose disgustose ai più deboli? Magari gente che il giorno dopo, a palazzo, mi aveva sorriso. «Dobbiamo chiudere questo posto e cancellarlo dalla faccia della Terra.» dissi, di getto. Il criminale mi sorrise come una volpe.

«Dobbiamo? Quindi ora ci credi, al fatto che siamo una squadra?» sogghignò, mentre io avvampavo. «Comunque, una cosa alla volta. Prima troviamo il tuo attentatore e dopo, quando diventerai Re, ti occuperai di questo posto una volta per tutte.» Quella frase fu una vera sorpresa. 

«Perciò è per questo che mi proteggi? Perché vuoi che diventi il sovrano e che distrugga il Formicaio?» domandai, osservandolo fumare e guardare la ressa di gente che ballava in preda alle droghe dentro alla caverna. In fondo, volevamo la stessa cosa, anche se non ero disposto ad aspettare di salire al potere per smantellare il Formicaio. Doveva essere il prima possibile. «Ma perché? Non ci guadagni niente dalla sua distruzione, anzi. Sei un fuorilegge. Anche se non comandi, in questo posto hai potere. E potresti sfruttare molti giri criminali per arricchirti.»

«Chissà...» mi rivolse un sorriso sibillino, che mi fece innervosire. «Abbiamo attirato abbastanza l'attenzione, per stanotte.» cambiò argomento, abbandonando il boccaglio del narghilè sul tavolino. «E se continui a strofinarti su di me in quel modo mi verrà duro.» ammiccò, con un sorrisetto, mentre io gli lanciavo un'occhiataccia. «Andiamo.» Rivolse un ultimo sguardo gelido alla caverna, poi mi strinse contro di sé in un abbraccio intimo, che io ricambiai intrecciandogli le dita dietro alla nuca. Era solo per non cadere quando avrebbe spiccato il volo, ovviamente.  

⚜⚜⚜

Zakhar volò attraverso i cunicoli, con le ali tese dietro al corpo e un po' strette per non urtare contro le anguste pareti di pietra. Il percorso era tortuoso quanto l'interno di una miniera e dovette superare parecchi svincoli prima di salire in superficie: l'aria del Formicaio era soffocante, intrisa dalla puzza acre del sudore, dolciastra delle droghe e marcescente di qualcosa che andava in putrefazione.

Lì fuori, invece, finalmente potevo tornare ad odorare il profumo del gelsomino. Strizzai gli occhi, evitando di tenerli aperti perché, quando il Falco volava troppo veloce, il vento me li faceva lacrimare. Quando li riaprii, mi resi conto che la mia "scorta" stava volando dalla parte opposta rispetto al Palazzo d'Estate. 

«Ehi!» chiamai, divincolandomi un po' e cercando di non preoccuparmi: era notte fonda e stavamo sorvolando le periferie, andando sempre più lontano rispetto alla città, cosa fin troppo sospetta. Ma Zakhar non mi avrebbe fatto del male, giusto? O magari mi aveva ingannato fino ad ora, spinto a fidarmi del lui e adesso mi portava lontano per ammazzarmi e sbarazzarsi del mio cadavere, del tutto indisturbato.  «Dove stiamo andando?!» 

«Rilassati. Se continui ad agitarti così finirai per cadere.» disse, ma non pareva seccato, anzi, piuttosto divertito, come se mi avesse letto nella mente e sapesse tutto ciò che avevo appena ipotizzato. Per rendere le sue parole più incisive, mi afferrò il fondoschiena e mi tenne premuto contro tutto il suo corpo. «Fortunatamente, ti tengo forte.»

Mi infiammai come una torta di compleanno. «Ma tu sei proprio un porco...»

«Perché la cosa dovrebbe offendermi? Ho conosciuto alcuni maiali mannari, era brava gente.» rise, un suono vellutato che mi spinse ad abbandonare ogni tensione, anche se avevo la faccia ancora corrucciata. Ma non poteva vederlo, visto che avevo la guancia appoggiata alla sua spalla e le cosce intorno al suo corpo, avvinghiato come un koala al suo albero preferito.

«Basta divagare! Si può sapere dove siamo diretti?» esclamai, sentendo il mio cuore battere violentemente contro le costole.

La sua voce si fece più bassa, inaspettatamente dolce. «Non ti farò del male, se è quello che temi. Abbi solo un po' di pazienza.» Emanò un pizzico dei suoi feromoni, non in maniera forte o impositiva, come una minaccia, piuttosto come una carezza per i miei sensi. Mi calmarono un po', mentre avvertivo l'aria che si faceva più pungente e salmastra.

Dando uno sguardo oltre la sua spalla e la curva ampia delle sue ali, mi resi conto che ci eravamo allontanati molto, pur continuando a seguire il corso del fiume che si snodava per tutta Samarcanda. Zakhar si abbassò di quota e allora sentii lo scrosciare inconfondibile e rilassante delle onde. Il mare. 

Il Falco mi lasciò scendere sulla sabbia e io mi tolsi i sandali per poter sentire ogni granello sotto i piedi nudi, mentre quasi gridavo un'esclamazione di gioia e di stupore. Non sapevo nemmeno in che spiaggia ci trovavamo, vista che era un'isolata zona di campagna, punteggiata d'alberi verdi e alti, dritti verso il cielo stellato. Ma era stupendo. La luce argentea degli astri rischiarava la zona quanto bastava, la sabbia era fresca e morbida, il vento profumato di iodio mi accarezzava dolcemente la pelle.

E l'acqua... Le alghe sulla riva emanavano una fosforescenza azzurra che faceva brillare il mare, come se fosse intriso di magia. Quella vista mi comunicava una sorta di referenziale rispetto verso la natura che mi circondava. Quasi mi sentivo come se stessi profanando un luogo sacro. Era uno spettacolo da mozzare il fiato. «E' stupendo...» sussurrai, col batticuore.

«Lo so.» ammise il corvino, infilandosi i pollici nei passanti dei pantaloni, con un mezzo sorriso sicuro di sé. Aveva l'aria di chi me l'aveva fatta ancora una volta sotto al naso, però si addolcì quando notò la mia meraviglia. Incredibile. Vedere quell'espressione sulla sua faccia era stupefacente almeno quanto il mare di fronte a noi. «Vengo qui molto spesso, di notte. Quando ho bisogno di silenzio.»

«Tu al mare?» Non me lo immaginavo seduto sulla sabbia a guardare le onde infrangersi sulla battigia. Fece spallucce e le ali dietro di lui sussultarono appena.

«E' da quando sono piccolo che continuo a sognare il mare.» mi rivelò, spostando gli occhi azzurro e viola da me all'acqua che scintillava in luminescenze celestine. Aprì la bocca ancora una volta e pensai volesse aggiungere altro, invece la richiuse e rimase in silenzio, come se avesse appena scelto volutamente di omettere qualcosa.

Non sapevo se essere più sorpreso perché aveva appena svelato qualcosa su se stesso, o se perché anche io quando ero piccolo facevo dei sogni sul volo... E su ali che avevo inciso sulla porta della mia stanza. Ali uguali alla sua firma. Ali uguali alle sue. Una consapevolezza scioccante mi colpì come fanno i fulmini a ciel sereno, con uno scoppio improvviso e inaspettato. Oh no. 

«Posso... posso farmi un bagno?» domandai, cercando di soffocare la mia intuizione con l'entusiasmo. Non avevo avuto la possibilità di farmi una nuotata in mare aperto da... Non riuscivo nemmeno a ricordarmelo. E Zakhar lo sapeva, gliel'avevo detto, ecco perché mi aveva portato qui. Era un gesto sorprendentemente dolce. Sentii le dita tremare per l'emozione, per il bisogno di immergermi e anche per ciò che avevo capito su di me e su di lui. 

«Un principe che mi chiede il permesso di fare qualcosa. Esilarante.» mi punzecchiò, sfiorandomi il retro dell'orecchio in una svogliata carezza che mi provocò un piccolo brivido, anche mentre alzavo gli occhi al cielo. 

«Io ci vado.» brontolai, levandomi la cappa nera e il resto dei vestiti mentre correvo verso l'acqua, tiepida di notte, terribilmente piacevole. 

Mi tuffai con un gesto fluido, mentre le mie gambe si univano e riempivano di squame, diventando una coda. Le branchie emersero dall'epidermide e sentii il mare salato fluire liberamente dentro al mio corpo. Un colpo di pinna dopo l'altra, sguazzai ad ampie bracciate e mi fusi in un tutt'uno col mio elemento, scendendo in profondità e poi tornando in superficie. Le alghe fosforescenti mi si depositavano sulla pelle, creando una specie di galassia luminosa che spiccava sull'incarnato scuro.

Zakhar volava sopra di me, raso al pelo d'acqua. Sorrisi di puro piacere quando, con un colpo di coda, lo schizzai in faccia. Lui però fece lo stesso, sollevando un'onda con un movimento secco dell'ala. In tutta risposta, gli afferrai la gamba e lo trascinai sott'acqua. Era molto più forte di me, avrebbe potuto ribellarsi facilmente a quel gesto, invece si lasciò spingere finché non fu completamente immerso. 

Trattenendo il fiato, mi avvolse fra le sue braccia: nuotò con rapidi movimenti di ali che riempirono il fondale di bolle, facendoci roteare su noi stessi, come se fosse un gioco, una danza o una lotta, che si concluse quando le nostre labbra si toccarono. Sbattei la coda più forte in un piccolo spasmo, mentre mi stringevo contro di lui cercando di combattere contro la forza di gravità che cercava di riportarlo a galla.

Il suo bacio mi ottenebrò i sensi e mi mandò in pappa il cervello. Le sue mani accarezzarono il mio viso, le sue labbra morbide premettero contro le mie mentre la lingua scivolava a giocherellare con la mia, in un modo che mi faceva fremere dalla testa alla pinna. Quella consapevolezza - quel fulmine a ciel sereno - tornò a riaffacciarsi di nuovo nella mia testa. 

Io e il Falco eravamo compagni predestinati. 

Anime gemelle. 

Ecco perché avevamo sempre sognato l'uno l'elemento dell'altro, ecco perché il mio calore si era scatenato irrefrenabilmente da quando lo avevo incontrato. Quel genere di rarissimo legame si verificava solo fra Alpha e Omega, una sola volta nella vita, con una sola persona. LA persona. E Zakhar non poteva essere la persona per me. 

Ma era ovvio che lo fosse, altrimenti non mi sarebbe mai venuto in mente di definirlo il mio Alpha. Né avrei mai pensato di conoscerlo da tutta la vita, quando lo avevo incontrato per la prima volta al ballo di benvenuto per i miei corteggiatori. Perfino lui mi aveva chiamato il suo Omega.

Il Falco era il mio compagno. E, mentre lo baciavo, avvolti dall'acqua luminosa, dalle sue piume e dalle mie squame, continuavo a pensare: tutti ma non Lui, tutti ma non Lui. Anche se non riuscivo a staccarmi dal suo corpo. Forse, a mente fredda, avrei trovato una soluzione. Ma non oggi. 

Non questa notte. 

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