Regola n.26: ammettilo...


Era passato solo un giorno dalla chiamata di mio fratello e il pensiero non faceva che tormentarmi.

La Regina Jelani ne aveva fatte di cose terribili, ma lasciare suo figlio nelle mani di un marito violento ne superava tante. Il cuore mi si strinse al pensiero di uno dei miei preziosi fratelli minori in pericolo. E poi stavamo parlando di Taro: il libero e libertino Taro, amico di tutti, sempre nelle cerchie esclusive di nobili, nelle feste mondane e al centro dei pettegolezzi più creativi. Non c'era da stupirsi che all'asta del Formicaio vendessero le sue mutande: chissà a casa di quale delle sue avventure le aveva lasciate. 

Aveva il suo stile di vita e si divertiva così: perché punirlo per questo? Perché costringerlo a sposarsi con un Alpha che lo teneva al guinzaglio fino ad impedirgli di tornare a casa? Era pura crudeltà. E andava contro ad ogni mio principio: gli Omega non erano bambole che potevano essere richiuse in gabbia. Ma persone, esattamente come tutti gli altri.

Ero passato per la sala amministrativa senza riuscire ad ottenere un'udienza. Il ciambellano, quell'ometto odioso che mi sorrideva sempre come se stesse parlando con un bambino rompiscatole, mi aveva spiegato che la Regina Jelani aveva degli impegni improrogabili. "Chissà quando avrà del tempo libero!" Idiota.

Le cose, in giornata, andarono ancora peggio: avrei voluto procrastinare quel momento fino allo stremo, ma sapevo che non potevo ignorare mia sorella per sempre. La bella Tahani, secondogenita, principessa, idolatrata dall'intera Samarcanda, camminò sculettando dal fondo del corridoio, procedendo spedita verso di me e circondata da una miriade di guardie del corpo.

I lunghi dreadlocks erano intrecciati in un'elaborata acconciatura piena di spilloni d'oro e camelie, mentre un abito bianco, aderente e scollato, le aderiva alla perfezione sul corpo a clessidra. Insieme a lei c'era anche il mio detestabile cugino, Inoko, vestito da una tunica azzurra e con una benda verde acqua intorno agli occhi.   

«Taaaaayy, tesoro!» tubò lei, prendendomi le mani. «Finalmente! Avevo quasi iniziato a pensare che mi evitassi!» esclamò, con un risolino divertito. 

«Un pensiero piuttosto fondato, cugina cara...» cinguettò Inoko, con un sorrisino affilato rivolto alla principessa, unico riferimento sonoro, visto che io non avevo ancora parlato e lui, cieco, poteva intuire solo approssimativamente dove fossi.

«Ma non dire stupidaggini.» sbuffai, con i nervi a fior di pelle, ricambiando la stretta di mia sorella. Il rapporto fra me e Tahani era complicato, ma cercavo di far finta di niente. Ancora speravo che, col tempo, tornasse tutto a posto, a com'eravamo prima di Quinn. «E' bello rivederti.» le dissi, con un pizzico di sincerità. Le volevo bene, nonostante tutto.

«Oh, Tay!» sospirò, accarezzandomi una spalla. Per un momento pensai che ricambiasse l'affetto, che mi rivolgesse una tenerezza, invece andò dritta a ciò che le interessava davvero. «Allora, come vanno i preparativi del matrimonio? Ti sei già accordato con gli adepti del tempio del Delfino Dorato?» Aggrottai la fronte. «Taye! Il matrimonio si terrà lì! Devi aver come minimo già discusso del numero degli invitati e delle decorazioni! Insomma! Sei o non sei il mio testimone?!» 

Accidenti. «Sono stato un po' impegnato, ultimamente.» Ad evitare che mi ammazzassero, per esempio. «Sai che Taro è nei guai?»

Emise una risata stridula. «Oh cielo... Taro se la cava sempre! Gli basta dare via il culo a qualcuno e la passa liscia!» Sventolò la mano ingioiellata, mentre io la guardavo a bocca aperta.

«Non posso credere che tu l'abbia detto davvero...» mormorai, sconvolto, mentre Inoko ridacchiava. Avevo l'impressione che fosse lui a metterle tutte quelle stupide idee in testa. «E' nostro fratello minore!» esclamai, stringendo i pugni. 

Tahani si accigliò. «Che problema c'è?! E' la verità! E poi, il mio matrimonio capita una sola volta nella vita! E' molto più importante!» Schioccò la lingua. «Mi aspetto che tu svolga come si deve i tuoi compiti da testimone, Taye. Sei il principe ereditario, in fondo. Non dovresti deludere le aspettative. Oppure sei troppo occupato a trastullarti con i tuoi nuovi corteggiatori?» Mi massaggiai le tempie, deciso a porre fine a quella stupida conversazione. Mia sorella era una prepotente, viziata manipolatrice. Forse si meritava di stare con uno come Quinn. 

«Ovvio che si sta trastullando con loro!» insinuò Inoko, che trasformava la sua invidia in veleno. Sì, come se ci fosse qualcosa da invidiare nella mia incasinata situazione. Era un imbecille.

«Farò quello che devo fare. Adesso scusatemi, il dovere chiama.» Me ne andai in fretta e furia, senza fornire altre spiegazioni.


⚜⚜⚜


Chiusi la porta della mia stanza a chiave, cercando di non prenderla a calci. La rabbia mi si agitava nel fondo dello stomaco come un groviglio di anguille, mescolandosi all'impotenza. Taro era in pericolo, qualcuno cospirava contro la mia vita e quella stupida superficiale di mia sorella pensava alle decorazioni del suo matrimonio, mentre mia madre si rendeva irreperibile. Ero davvero frustrato e non sapevo cosa farmene di tutta l'energia collerica che sentivo dentro.

Mi aggirai nella mia stanza come un animale in gabbia, pestando i piedi. Avrei potuto fare tante cose: rileggere per l'ennesima volta i miei libri preferiti, giocherellare con il puzzle che mi aveva regalato Sir Lorence, guardare la pergamena magica del principe Shun. Poi però li notai. 

Una pila di vestiti neri, lavati e ripiegati sul bordo del letto. Gli abiti che mi aveva dato il Falco. I servitori dovevano averli recuperati dal pavimento della zona da bagno - lì dove li avevo abbandonati - e, sapendo che li avevo indossati ma che non fossero della mia taglia, piuttosto che riporli nel guardaroba li avevano lasciati lì, a vista. 

Acciuffai la casacca scura, che si chiudeva con delle stringhe in mezzo al petto. Oltre all'odore del sapone al gelsomino che si usava in lavanderia, si sentivano ancora feromoni Alpha. Quelli di Ymir e, sotto di essi, quelli di Zakhar. C'era l'odore del tabacco da narghilè che conoscevo e quello piacevole delle spezie. Mi faceva impazzire. Mi portai la stoffa contro al naso, senza nemmeno rendermi conto che stavo inalando avidamente.

"Tu sei il mio Omega"

Ricordai la sensazione bruciante del suo corpo premuto contro il mio, della sua bocca fra le mie cosce. Con l'affanno, caddi a sedere sul letto, mentre la rabbia svampava lasciando il posto al desiderio, improvviso e cocente come il caldo umido dopo l'acquazzone. «No... No.» ansimai, scuotendo la testa. 

Non dovevo pensarci. Mi ero imposto di non farlo per tutti questi giorni: non avrei ceduto proprio ora. Eppure, mentre inspiravo il suo odore, il ricordo della sua lingua dentro il mio corpo si faceva sempre più nitido. E non solo quella. «No... Per gli spiriti...» mugolai, mordendomi il labbro inferiore. Il mio corpo era un fascio di muscoli tesi, mentre mi sforzavo di calmare la mente. 

Ma i ricordi mi sopraffacevano. Le sue labbra ovunque. La sua lingua che giocava con la mia e i suoi capelli stretti fra le mie dita. I suoi fianchi che spingevano e il suo corpo che entrava e usciva... Dannazione. Ero eccitato. L'erezione premeva contro la stoffa morbida dei pantaloni e, in quel momento, tutto ciò che desideravo era un po' di sollievo. 

Infilai una mano oltre al cinturino allacciato intorno ai fianchi, lasciando calare le dita fin dentro all'intimo. Sospirai un gemito soffocato quando sfiorai il mio sesso con la destra, la sinistra ancora con la camicia del Falco premuta contro al naso, ad inalare ogni singolo feromone appiccicato alle fibre di cotone. 

Ma non bastava. Strinsi la stoffa fra i denti, liberando una mano, così da potermi strattonare i pantaloni fino alle ginocchia, allargando un po' le cosce per toccare più a fondo. Proprio nel punto più intimo di me stesso, lì dove il Falco era entrato. Chiusi gli occhi, abbandonando la testa sul cuscino. «Aaah... Zakhar...»

«Wow

La sorpresa di sentire quella voce mi fece sobbalzare, al punto che per poco non caddi dal letto. Alla velocità della luce, mi tirai le lenzuola fino al mento, proprio mentre l'oggetto del mio desiderio superava la soglia del balcone ed entrava nel cono di luce proiettato dalla luna, fissandomi con due occhi talmente voraci che sentii la mia virilità pulsare dolorosamente in risposta. 

Aveva le ali spalancate dietro la schiena, con le piume che rilucevano di nero pece come i suoi capelli scuri nel chiarore argenteo dell'astro notturno. Come al solito, aveva il petto marmoreo esposto ed indossava un paio di pantaloni di pelle, stivali e guanti tagliati. Dai fianchi gli dondolavano un paio di pugnali.

«Chediavolocifaiqui?!!» farfugliai, non immaginando nemmeno che colore doveva aver assunto la mia faccia, dove il rossore si amalgamava in maniera tutta contorta contro l'incarnato nocciola. 

«Ero venuto ad avvisarti di chiudere bene i balconi, visto che non sono l'unico mannaro in grado di volare. Ma, ti prego, non far caso a me.» Fece qualche passo avanti, verso i piedi del letto, mentre le ali gli rientravano a poco a poco nelle scapole. «Riprendi pure da dove sei rimasto...» Appoggiò una mano sulle lenzuola. «Mi interessa.» sogghignò, iniziando un tiro alla fune in cui lui mi tirava via le coperte e io le trattenevo, tirandole a mia volta. 

«Vattene dalla mia stanza!» sibilai, ormai porpora, mentre lui vinceva il gioco. Mi strappò via le lenzuola, mentre io serravo le gambe e nascondevo le nudità dietro alle ginocchia, imbarazzato a morte. 

Volevo sotterrarmi, farmi inghiottire dal materasso e sparire.      

 «E perdermi uno spettacolo così irresistibile? Dovrei essere pazzo.» rise sommessamente, un suono caldo e sensuale simile ad una goccia di cera bollente contro la pelle nuda. Proprio mentre raggiungeva il fianco del letto, mi alzai i pantaloni con uno strattone e saltai dall'altro lato, correndo verso la porta. 

«Stavolta non la passerai liscia! Credi di poter entrare ed uscire dal mio palazzo come se fosse un porto di mare?!» ringhiai, pieno di vergogna, afferrando la chiave nella toppa. Mi raggiunse con due singole falcate e mi inchiodò contro la porta, le braccia tese intorno al mio corpo ma senza toccarmi direttamente. Eppure ero assolutamente consapevole della poca distanza che divideva le sue mani dai miei fianchi. La sua pelle dalla mia. 

Si curvò sopra di me, a separarci solo una breve manciata di centimetri. «Avanti.» sussurrò, le labbra curvate in un sorriso perverso. «Avvisa pure le tue guardie. Non vedo l'ora di scoprire quale scusa inventerai per l'erezione che hai fra le gambe.» Sgranai gli occhi, le labbra un po' spalancate, le guance bollenti, il respiro corto. 

Ero in trappola. Ingabbiato fra il suo corpo, con le spalle contro la porta e, dietro di essa, un manipolo di guardie che aspettava solo un mio segnale. Non potevo certo dire loro che un fuorilegge si era spinto nella mia stanza e che, proprio lui, era il motivo della mia eccitazione lampante. «... Vai al diavolo.» sibilai, appiattendomi contro la porta, cercando di non sentire il ruggito del cuore dentro alle orecchie.

«E' un modo per dirmi che ti sono mancato?» Sorrise, spingendo i fianchi in avanti per farmi sentire il suo stato anche attraverso strati di vestiti. Era duro come una roccia. Tutte le cellule del mio corpo presero fuoco, mentre i trilli intensi della lussuria mi aggredivano con brividi caldi e freddi verso il basso ventre. 

«Ne-nemmeno per sogno!» esclamai, sulla difensiva, ma mi tradii perché la voce tremava e avevo il fiatone. 

Si curvò ancora di più, al punto da raggiungermi l'orecchio con le labbra. «Sei un adorabile bugiardo, T a y e.» Il modo in cui scandì il mio nome avrebbe potuto essere bandito per oltraggio al pubblico pudore. Tutto il mio corpo tremò su se stesso, pregando che mi toccasse. Presto. Subito. Adesso. «Dovrei ricordarti come gemevi il mio nome mentre infilavi le dita dentro di te?» Mi leccò l'orecchio, molto lentamente, iniziando a disegnare la forma dei miei capezzoli da sopra alla tunica che indossavo.

Era una tortura. La peggiore fra le torture. «Ammetti che ti sono mancato.» Continuò a spingere il bacino contro il mio corpo, puntellando la mia durezza con la sua. «Ammettilo...» 

Deglutii e, un secondo dopo, mi alzai in punta di piedi e lo baciai, leccando avidamente il sapore segreto nella sua bocca. «Non ho niente da ammettere ad un criminale come te.»

«Oh, principe...» I suoi occhi, uno azzurro e uno viola, lampeggiarono di bramosia. «Ne hai di fegato. Sono pochi quelli che mi hanno provocato ad essere sopravvissuti.» Dopo, gli bastarono due mosse: una per liberarmi dai pantaloni, l'altra per sollevarmi una gamba e posarsela sulla spalla, direzionandomi di profilo fra lui e la porta.

Frizionò il cavallo ruvido dei pantaloni nello spazio fra le mie natiche nude. «Se non lo ammetti, non avrai quello che vuoi.» Si strusciava e spingeva il rigonfiamento contro la mia fessura senza darmi pace. Perfido bastardo.

«Chi... ti dice... che... lo voglia?» ansimai, col fiato corto. Stavolta non c'era di mezzo il calore. No, stavolta ero lucido, riuscivo a pensare senza quella frenesia animale ad agitarmisi dentro. La prima volta col Falco poteva anche considerarsi un errore dovuto ad un impulso, ma adesso... 

«Dopo averti beccato a masturbarti su di me, non puoi proprio negare l'evidenza.» ridacchiò, mentre io mi facevo ancora più rosso. «E poi, i tuoi fianchi si stanno muovendo da soli.» Non me ne ero nemmeno accorto, ma il desiderio si stava impadronendo del mio corpo al punto da farmi strofinare a mia volta su di lui. Strinse una mano callosa sulla mia natica e boccheggiai quando un dito mi penetrò di colpo, fino alle nocche.

«Sssh.» sibilò, infilandomi il pollice fra le labbra, a giocherellare con la mia lingua. «Non vorrai mica che le tue guardie sfondino la porta» spinse un secondo dito dentro di me, fino in fondo «attirate dalle urla del principe...» Mugolai, aggrappandomi con una mano alla sua spalla. I suoi muscoli si gonfiavano sotto al mio tocco e i suoi feromoni stavano aumentando al punto che mi era difficile respirare normalmente.

«Allora?» mormorò con voce roca, muovendo le dita dentro e fuori, ancora e ancora. «Lo ammetterai? Posso continuare all'infinito, sai...» Gli ficcai le unghie nella spalla nuda, implorante, ma non batté ciglio. Il bisogno disperato di sentire il suo membro sostituirsi alle sue dita e affondare dentro di me mi aggredì. Gli morsi il pollice. 

«N-no. Non lo ammetto.» gemetti, afferrandomi l'erezione con una mano per muoverla mentre lui continuava a giocare col mio cerchietto di muscoli. Peggio per lui. Non avevo intenzione di cedere. «Mmh... aah-» ansimai, guardandolo negli occhi. Se voleva torturarmi, l'avrei torturato anche io. 

«Principe testardo.» mi apostrofò, il timbro roco come un ringhio, prima di afferrarmi di peso e trascinarmi sul letto, che cigolò quando mi sovrastò, sbottonando i pantaloni e liberando la sua durezza. 

Mi afferrò per i fianchi e mi penetrò con foga vendicativa, lasciandomi vincere a quel gioco di torture reciproche cedendo per primo, al prezzo di muoversi dentro di me a tutta forza. Soffocò il mio grido di piacere con un bacio, mentre mi inarcavo contro di lui, incollando i nostri corpi al punto che non avrebbe potuto passarci nel mezzo neanche un foglio di carta.

Fu una notte talmente intensa da farmi dimenticare tutti i miei problemi. Perfino il più grande di tutti: me la stavo spassando con l'uomo peggiore di Samarcanda. E mi piaceva. 


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