Regola n.15: sguazza in solitaria
Un giorno.
Avevo un solo giorno per trovare la maniera d'eludere la mia scorta e il corpo di guardia reale, un solo giorno per capire come sgattaiolare fuori dal Palazzo d'Estate senza essere visto e senza essere fermato. Il seguente, mi sarei recato all'indirizzo descritto sul bigliettino e avrei lasciato la mia sorte nelle mani intransigenti del fato.
Rispondere ad un simile invito era la cosa più stupida ed incosciente che potessi fare: significava fidarsi di qualcuno che, invece, mi aveva detto espressamente di non farlo. "Dovresti imparare a diffidare delle promesse dei lestofanti" ricordavo ancora quelle parole, sussurrate con un sorriso da losco farabutto, dopo che quelle stesse labbra mi avevano rubato un bacio con una tale passione da farmi dimenticare perfino che stessi baciando il mio rapitore.
Ma come potevo ignorarlo, se soltanto lui sapeva chi volesse la mia testa su un piatto d'argento? Come potevo non cogliere l'occasione di scoprire quel nome e scampare da un destino di sposo-premio sfornabambini? O meglio ancora, grazie a quel criminale potevo tenermi stretta la vita. Sempre ammesso che non fosse una trappola, un modo per attirarmi allo scoperto e uccidermi facilmente.
Eppure, avrebbe potuto farlo nel giardino reale. Sotto l'arco di gelsomino, avrebbe potuto strapparmi la vita con la stessa facilità con cui si recide un fiore. Invece non l'aveva fatto. Voleva che dimostrassi di che pasta ero fatto? Gliel'avrei fatta vedere.
Conoscevo un unico, infallibile modo per scappare dal palazzo senza che nessuno potesse scoprirlo. Una sola via impraticabile, per chiunque non fosse come me o i miei fratelli. Ovvero, dotati di pinne e branchie nascoste, che si sollevavano dalla pelle dietro alle orecchie quando mi immergevo sotto al pelo dell'acqua. Sotto al sole di mezzogiorno, il cenote baluginava come una gemma preziosa.
L'impressione era che nuotassi in un mare di smeraldi, cosa non troppo lontana dalla realtà, visto che il letto del lago era tempestato proprio di essi. Completamente immerso, sbattei la coda turchese e con bracciate sinuose mi spinsi verso il fondale, facendo scivolare le dita sulle pietre verde lucenti ficcate nel suolo limaccioso, poi sulle rocce coperte da muschio liscio come velluto. Lì, da qualche parte...
Sentii un rumore acquatico provenire dall'esterno del lago. Abbandonai frettolosamente la mia ricerca e risalii velocemente verso l'esterno, riemergendo con la luce che faceva scintillare le perle d'acqua impigliate fra i miei fitti ricci scuri. Mi aspettavo di vedere Tamsin distendere la sua pinna dorata con tenui movimenti, sorridendo verso di me, invece mi sbagliavo.
Lì, circonfuso dal vapore dell'acqua calda e coi capelli sciolti che gli si aprivano in un ventaglio nero pece intorno alle spalle, c'era il principe Shun Masashige. Si era tolto la benda e teneva una palpebra chiusa, mentre l'occhio nero ossidiana, affilato, mi scrutava con un'aria di trivellante astuzia. Come se avesse capito tutto anche se non sapeva niente. Teneva gli avambracci appoggiati al bordo del cenote, dove posava la schiena. I muscoli pronunciati erano inumiditi da un velo di sudore, rendendogli la pelle chiara quasi lucente.
Intorno alle clavicole spiccavano i tatuaggi di due serpenti le cui teste si incontravano a metà strada, al centro del petto. Sbattei con forza la coda, nel tentativo di mantenere una posizione immobile anche nell'acqua, senza né avvicinarmi, né allontanarmi, pur sapendo di avere l'espressione di un bambino cattivo colto con le mani nel sacco. Ecco perché era sempre meglio sguazzare in solitaria!
«Cercavate qualcosssa?» sussurrò, sempre in quel suo modo sibilante, che lo rendeva inquietante e stuzzicante insieme. C'era qualcosa in lui, forse la semplice comunione delle nostre nature, che mi spingeva ad avvicinarmi. A desiderare di delineare con le dita quel tatuaggio.
«No.» Sì. Cercavo quella piccola galleria sotterranea che portava fino ad un fiumiciattolo esterno al palazzo, nelle zone più periferiche di Samarcanda. Lo avevo scoperto una volta, da ragazzino, usandolo per brevi momenti di libertà senza farmi scoprire. Ma era troppo rischioso per riprovarci, una volta divenuto grande: il cunicolo sarebbe stato largo abbastanza da farmi passare? L'idea di rimanere incastrato nelle profondità marine del regno faceva un po' rabbrividire.
Ovviamente, non gli avrei svelato niente di tutto quello, anche se il principe affilò l'occhio, cercando di sondare la mia mente e di tradurre quanto non gli stavo dicendo. Mi affrettai a continuare: «Mi avete fatto un regalo davvero interessante. Perché non i soliti vestiti o gioielli?» Alzai il mento. «Sono un omega in fondo.»
«E io sssono un uomo di cultura.» rispose, abbozzando le labbra in un leggerissimo sorriso. Distaccò le braccia dalla riva e si tirò in avanti, nuotando verso di me. «Ho visssto come avete guardato il Lupo Bianco quando avete sssvelato il ssuo regalo.» Batté lentamente la palpebra. «Voi volete un marito che vi rissspetti.»
Non potevo dargli torto. O meglio, non dovevo: rivelargli che non volevo affatto un marito? Fuori discussione. Tuttavia, se fossi stato costretto a scegliere, il rispetto era in cima alla lista delle qualità del mio futuro marito. «Ma desssiderate un marito che combatte con la ssspada, o uno che lo fa con le parole?» sussurrò, nuotando a cerchio intorno a me, esattamente come un serpente marino, mentre io cercavo di seguirlo con lo sguardo voltando il capo sopra una spalla.
«Le capacità belliche non fanno mai male ad un re.» ammisi, sebbene fosse più per ostinazione, per trovare un modo di tenere testa a quel discorso senza dargli semplicemente ragione. Era vero. La cultura era più importante della violenza. Ma se ci fosse stata una guerra...
«Non fraintendetemi. Non ho detto di non sssaper combattere. Sssolo quale tipo di battaglia preferisssco.» sfiatò, in tono assolutamente convincente. Era fin troppo astuto. Avevo l'impressione che se avessi continuato ad ascoltare la sua conversazione, alla fine mi avrebbe convinto a sposarlo. «Ma ditemi... Cosssa cercate in un consssorte?» Appoggiò le mani sulle mie spalle, pelle bagnata su altra pelle umida, ed io deglutii ma non mi lasciai intimidire.
«Qualcuno che non schiacci il mio potere.» risposi, con uno slancio di impudenza e coraggio che non mi sarei mai aspettato di sfoggiare davanti ad un Alpha. «Qualcuno che sia disposto a dividerlo. A non essere l'unico Re.» Alzò lentamente le sopracciglia. «Io conosco il mio popolo. So di cosa ha bisogno, so gestire la diplomazia. So cosa vogliono, un forestiero non può comandare sulla mia gente senza di me al fianco.» Avevo parlato di getto, per cui mi ritrovai a dover riprendere fiato.
«Un progetto visssionario.» Mi infilò due dita sotto al mento, sollevandolo verso di lui. La lingua biforcuta gli saettò fra le labbra schiuse, leccandosi il superiore. «Un progetto che potrei anche tenere in consssiderazione, ssse dovessste ssscegliermi.» Si inclinò sopra di me e quella stessa lingua serpentina scivolò sulla mia guancia, in un torbido, lascivo assaggio, leccandomi la pelle dalla mascella allo zigomo fin sotto l'occhio, come ad asciugare una lacrima fatta d'acqua di lago.
Sentii lo stomaco fare una capriola, mentre cercavo di trattenere strenuamente i miei feromoni: a quella vicinanza, riuscivo a notare che sott'acqua era completamente nudo. Fu quello che mi fece fallire. Il mio odore omega, un delicato effluvio di fiori, scivolò dal mio corpo e non riuscii a frenarlo, né a controllarlo. Nei suoi occhi vidi brillare una luce di lussuria che se prima era fioca, appena percettibile, adesso divampava come una fiamma.
Mi avvolse le dita intorno alla nuca e mi attirò a sé, facendo saettare la lingua sulla mia pelle, sulla mia gola, seminando brividi che mi fecero inarcare la schiena ed inturgidire i capezzoli come due spilli. «P-princi..pe... Sono s-solo...» I miei feromoni, volevo urlargli, invece adesso stava rilasciando i suoi e la mente stava iniziando ad ottenebrarsi. Specialmente quando le sue labbra scesero sulle clavicole: non mi rendevo conto che stava depositando tanti piccoli marchi che sulla mia pelle scura sembravano viola come... Viola come gli occhi del criminale. O meglio, uno dei due.
Misi una mano sulle labbra del principe, incapace di poterlo frenare con la forza, ma almeno cercando di fargli capire di fermarsi, mentre prendevo lenti e profondi respiri. Dovevo calmarmi. Dovevo trattenere i miei feromoni, riassorbendoli nella pelle come l'acqua con una spugna. Shun si raddrizzò, il pomo d'Adamo che ballava mentre deglutiva e si ricomponeva in fretta.
«Il vossstro odore è...» Strinse i denti e si allontanò, nuotando fino al bordo del cenote per poi uscirne con due movimenti possenti delle braccia. «Riflettete sssu quanto abbiamo detto.» Tagliò corto, lanciandomi un ultimo sguardo, i capelli lunghi che gli gocciolavano su tutta la schiena, mentre l'acqua seminava scie fino al suo fondoschiena marmoreo.
Distolsi frettolosamente lo sguardo. «Ma certo, ma certo.» Mi schiarii la voce e, rosso in viso, tornai ad immergermi, lieto di potermi nascondere nelle profondità del lago per quanto ero in imbarazzo. Mentre l'Alpha se ne andava, io ritornavo lentamente in me: avevo ancora un piano da finire di mettere a punto.
Il giorno dopo avrei affrontato chissà quale avversità. Ed era meglio che rimanessi concentrato.
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