Regola n.14: segui il ritmo
Vedete quel maestoso palazzo di cupole turchesi e smeraldine, laccate d'oro e tempestate di mosaici? No, non è il luogo della nostra vicenda.
Spostate gli occhi un po' più in basso. Potete notare il dedalo di strade bianche ricoperte di gelsomini, coi tappeti appesi fra un balcone e l'altro, i rampicanti di fiori abbarbicati ai muri e la pietra candida e porosa dei marciapiedi, mentre i cittadini marciano fra le abitazioni, le piazze e le zone affollate del suq. Ma nemmeno quello è il luogo giusto.
Spostate gli occhi ancora più in basso.
Più in basso delle fondamenta di Samarcanda, più in basso delle fogne. Più. In. Basso.
Era lì che si trovava il Falco.
In quel reticolo nascosto di cunicoli scavati nella terra e nella roccia. Il chiasso all'interno della caverna era roboante, caotico, ma era esattamente ciò che ti saresti aspettato da un rave, che lui ammirava in un'alcova alta rispetto a dove si svolgeva il festino. Dabbasso, le fiaccole bruciavano mentre la gente roteava a tempo di tamburi, un suono così ritmico che dava alla testa.
Steso su una dormeuse di velluto nero, con le gambe muscolose coperte da aderenti pantaloni di pelle adagiate lungo il divano e le caviglie incrociate, sfumacchiava una sostanza che profumava di ibisco da un narghilè. La destra reggeva con una grazia quasi minacciosa il boccaglio dorato, mentre la sinistra faceva dondolare fra indice e pollice un minuscolo osso di pollo, grazie a cui giocava a riportino con un pipistrello.
Lanciava e la bestiolina afferrava l'ossicino a mezz'aria, prima di riportarglielo con un'ammirabile obbedienza. Picchiettò con un dito la minuscola testa del pipistrello per riconoscerne la bravura, sorridendo beffardo. «Allora... L'asta si terrà fra due giorni?»
La sua voce era roca e bassa, pur essendo puro miele per le orecchie. Eppure, troppe persone tremavano al solo sentirla. Non solo perché fosse un Alpha dominante. Era anche un pazzo sanguinario, secondo molte voci. Ovviamente, non avevano del tutto torto.
«Le mie spie lo confermano.» disse l'uomo al suo fianco, uno dei suoi numerosi soci, una delle sue numerose pedine, che continuava a deglutire la saliva per via del nervosismo. «Ma... Sei sicuro di farlo? Non è-» si fermò, cercando di calibrare le sue parole.
La verità era che qualsiasi cosa avesse detto quell'uomo rischiava di perdere la testa comunque. Anche se credeva di conoscere il Falco abbastanza da credere di esser diventato un buon pezzo della sua scacchiera. Non era ancora del tutto sacrificabile. Perciò continuò a parlare: «Non è perfido?»
Gli occhi bicromi si spostarono per fissarsi su di lui. L'uomo si fece piccolo sul cuscino imbottito, ma proseguì. «Il principe è soltanto un omega, un omega innocente... Lo mangeranno vivo.»
Il Falco si mise a ridere, una risata suadente come il tocco carezzevole della seta sulla pelle nuda. «E' proprio quello il bello.» L'uomo rimase a bocca aperta, mentre lo sguardo azzurro e violaceo del potente Alpha si affilava. «Vuoi essere governato da un debole o da qualcuno che sa dimostrare di avere spina dorsale?» Si leccò il labbro superiore, lentamente. «Non sottovalutarlo prima di vedere quello che farà.» Abbassò il boccaglio del narghilè e si mise a sedere. «Io non vedo l'ora.»
Poi si alzò e il suo sgherro lo seguì con gli occhi, drizzandosi sulle gambe. «Adesso dove stai andando?»
Il Re dei criminali sorrise, fin troppo compiaciuto, mentre il pipistrello si appoggiava alla sua spalla nuda e tornita. «A consegnare un messaggio.»
⚜⚜⚜
Ero uscito dalle cucine e Ymir era proprio lì fuori ad aspettarmi, a braccia conserte, un biglietto in mano e un sopracciglio alzato. «Tutto bene con Quinn?» domandò, esaminandomi dalla testa ai piedi con apprensione. Annuii. Non volevo ammettere che era stato qualcun altro a salvarmi, perciò sviai abilmente l'argomento.
«Allora, la convocazione di mia madre era una bugia, vero?» Quell'idiota era davvero prevedibile. Lui e le sue stupide menzogne. Eppure, la mia scorta schioccò la lingua contro ai denti, scuotendo la testa.
«Era vera, invece.» Battei le palpebre, stupito, cominciando a camminare verso le mie stanze, mentre lei mi affiancava, una mano appoggiata sull'elsa della spada e lo sguardo dritto di fronte a sé, sempre pronta ad ogni evenienza. «Qualcuno della corte ha fatto menzione di ciò che è successo nella sala d'addestramento.» Il mio incontro col Lupo Bianco? L'allenamento di spada, forse? Come si erano permessi? Strabuzzai gli occhi e le parole di protesta mi s'impigliarono sulla punta della lingua, quando continuò: «Specialmente dei tuoi feromoni.»
Aprii la bocca ma c'erano così tanti improperi che si affollavano in gola, ed ero così stupito ed irritato, che alla fine la richiusi. «Sostiene che tu debba iniziare ad assumere regolarmente degli inibitori, non solo durante il calore.»
«Ma... Ma io non ho mai avuto di questi problemi!» Che i miei feromoni facessero di testa loro era una situazione tutta nuova. «Non può costringermi a prendere sempre quella roba!» Schioccai le labbra. Gli inibitori facevano discretamente il loro lavoro, ma su di me le controindicazioni erano pessime: mi rendevano debole e docile come un pesce d'acqua dolce.
«Non solo.» La faccia di Ymir era piuttosto scura. Stava per dire qualcosa di terribile, la consapevolezza mi martellava la testa. «Vista la stragrande presenza di Alpha a Palazzo, questo mese durante il calore verrai rinchiuso in qualche sistemazione segreta fuori dalla città.»
La guardai come se fosse matta. «Rinchiuso?» ripetei, in tono stridulo. L'altra sospirò, scompigliandosi la corta chioma.
«Qualcuno ti vuole morto. E' più sicuro per tutti.» disse, perentoria. Non era un buon segno quando si trovava d'accordo con mia madre. Stavo per mettermi a protestare, millantando i miei molti modi per farla pagare alla Regina in persona, ma la mia scorta si addolcì, accarezzandomi una spalla. «E' la prima volta che ti ritrovi circondato da così tanti Alpha. Siamo sempre stati soltanto noi due. E sappiamo che per te sono...» Una pausa. Quello che stava per dire era pericoloso, ma lo disse ugualmente per confortarmi. «... come una madre.»
Sbattei lentamente le palpebre, sentendo la rabbia sfumare come una nuvola di vapore che s'innalzava verso l'alto e spariva. «E' normale che il tuo corpo reagisca in maniera differente. Lo so che trovi difficile accettare la tua natura, ma sei pur sempre un Omega. E' inevitabile rispondere al richiamo di un Alpha.» Quelle parole furono peggio di un ceffone preso in pieno viso.
Allungai il passo, con l'intenzione di lasciarmela alle spalle e camminare da solo, o almeno avere l'illusione di farlo, visto che lei mi teneva d'occhio. Prima però, Ymir allungò il braccio per rendermi una lettera. «Ho avuto modo di avvisare il duca Hernanez del tuo contrattempo. Ti manda questa.» La aprii frettolosamente, desideroso di pensare ad altro.
"Se non posso avervi per una colazione, vi avrò per un ballo."
⚜⚜⚜
La sala da ballo dove ero stato invitato era immersa in un bagliore scarlatto, in un tripudio di stoffe cremisi e in un'esplosione di toni vermiglio. Divanetti e poltroncine imbottite, di velluto e legni pregiati, erano acquattati ad ogni angolo sul parquet. Paralumi di tessuto rendevano le luci soffuse abbastanza da regalare all'atmosfera quell'aria satura di tensione e sensualità e i pesanti tendaggi davanti alle finestre tenevano lontano il mondo fuori.
Non c'era nessuno a parte me e il duca: Ymir e qualche altra guardia si erano appostati davanti alle porte e alle finestre, all'esterno di quel locale in cui mai avevo messo piede prima d'ora. L'Apha, Thiago era il suo nome, era talmente perfetto in quel luogo da sembrar parte dell'arredo. I mossi capelli mogano erano ricchi di sfumature rossastre, come la sua camicia vinaccia, sblusata fuori dagli stretti pantaloni scuri e piena di rouches, con un fiore all'occhiello.
L'espressione sicura, da infallibile seduttore e sedicente spezzacuori, gli rimaneva strenuamente incollata sulla faccia. Avevo sentito che possedeva una reputazione da libertino, perciò mi fidavo ancora meno di lui, rispetto a tutti gli altri, ma non potei evitare di sentirmi attratto da quegli occhi intensi, non di un semplice marrone, ma pieni di sfumature. Ora nocciola, ora carruba, ora cacao. Quel genere di sguardo che avrebbe potuto sembrare banale, ma poi con un singolo movimento ammiccante di sopracciglia ti faceva cambiare idea.
Non sapevo nemmeno io perché stavo avvampando, mentre l'uomo posizionava la punta affilata del grammofono sul disco nero, che iniziò a girare, emettendo musica dalla grande tromba dorata.
«Sapete ballare il tango?» domandò, mentre si avvicinava a passo sicuro, facendo scivolare le mani su tutta la lunghezza delle mie braccia, strisciando le dita come se spargesse il suo profumo sulla mia pelle, prima di prendermi le mani e attirarmi a sé, in un sol colpo, con forza. Petto contro petto.
«No...» mormorai, mentre il suo tocco mi premeva contro la schiena, un contatto caldo che riuscivo a sentire anche attraverso la camicia. La destra distesa di lato, intrecciata nella mia, in una posizione simile a quella del valzer, ma non esattamente uguale. «Ma so come muovermi.» Ovvero, sapevo come mettere insieme due passi senza cadere e rompermi il naso. Avevo dovuto imparare, visto che una volta me l'ero rotto davvero.
«Vi basterà farvi guidare dal mio corpo.» E prima ancora che i loro nostri corpi iniziassero ad eseguire un movimento, abbassò gli occhi e il suo sguardo danzò insieme al mio come se fosse proprio un tango, sensuale, un sentito spostamento di pesi, il piatto di una bilancia che non si può slegare dall'equilibrio con l'altro. «E lasciarvi stregare da questa musica.»
Mosse il primo passo, la gamba dominante in mezzo alle mie, piazzata in un posto pericolosamente vicino al cavallo dei pantaloni, spingendo la propria in avanti mentre io rispondevo indietreggiando. Si incurvava su di me, incombendo, in un serrato inseguimento danzante. Fece ruotare il corpo in modo che entrambi ci avvitassimo in una sorta di giravolta, cambiando prospettiva della stanza, con i capelli mogano che oscillarono trasudando un intenso profumo di rose.
Cercavo di stargli dietro, ma ero come ingessato, rigido: più che un ballo sembrava una sfida, o una caccia. «State pensando troppo ai passi che dovete fare.» S'inclinò sul mio viso, tanto da poter raggiungere il mio orecchio con le labbra. «Abbandonate i pensieri. Seguite il ritmo.» mormorò.
E mentre quella voce riecheggiava nella curva del mio collo, sentii la sua mano scivolare verso il basso, lungo la natica, per disegnare cerchi lascivi, poco prima di spostarsi sulla coscia. L'afferrò abilmente, piegandomi il ginocchio in modo che gli avvolgessi un fianco con la gamba. I nostri corpi erano tanto vicini che non avrebbe potuto passarci in mezzo neanche una piuma.
All'improvviso ricordai quel ballo insieme al criminale, avvenuto giorni prima. A quanto eravamo vicini. Le sue mani sui fianchi, il suo bacino che si strofinava contro al mio. Dovetti lottare per soffocare i miei feromoni e fui certo di non esserci riuscito del tutto. No, dovevo smetterla di pensarci. Perché mi tornava alla mente quel farabutto? Scacciai quelle immagini stringendomi all'Alpha che mi teneva fra le braccia.
«Sì, così...» bisbigliò, un tono intimo e roco, mentre spostavo la mano dalla sua spalla alla nuca, per tenermi a lui, che si muoveva sinuoso sul parquet. La musica era coinvolgente per davvero: violini veloci, fisarmoniche, nacchere; lui comandava ogni passo e la cosa sfuggiva semplicemente al mio controllo, mentre mi avvolgeva con mani abili e talentuose, allontanandomi e riavvicinandomi. Facendomi girare e poi sollevandomi.
Poi si fermò e, lentamente, iniziò ad abbassarsi verso il pavimento, tenendomi in perfetto equilibrio fra le braccia muscolose: il casquet era così profondo che quasi potevo toccare il parquet con la punta dei capelli. Lo sguardo che mi rivolse, mentre mi teneva sospeso a mezz'aria, mi fece accendere come una torta di compleanno piena di candeline.
Le sue labbra si mossero leziose sul mio collo: potei sentirle tracciare una pericolosa scia verso le labbra. Non dovevo farmi sedurre così. Non potevo. In quel momento, mi svincolai dalla sua presa e facendo perno sulle sue spalle tornai dritto, indietreggiando. Sentivo caldo, una sensazione avvalorata dall'odore appena percettibile dei feromoni del duca.
«Ecco... Dovremmo tornare a Palazzo... Siamo in ritardo sull'orario concordato!» Era la scusa peggiore che potessi mettere insieme e lo sapeva anche lui. Eppure, sembrò che il mio pudico sottrarmi fosse per l'altro un incentivo, vista l'espressione compiaciuta che mi rivolse.
«Ma certo, Altezza. Ci saranno nuove occasioni di ballo.» Esalai interiormente un sospiro di sollievo e mi preparai a chiamare Ymir per tornare al Castello.
Sentivo ancora la pelle formicolare per via di quelle attenzioni, perciò fu un toccasana trovare il davanzale della mia camera da letto spalancato. L'aria spirò dolcemente all'interno, baciandomi le guance. Un bacio ingannevole, quando mi resi conto che sul tavolino di ciliegio davanti al balcone era stato conficcato un piccolo pugnale. La lama teneva ferma un bigliettino.
Presentava una data, un'ora e un indirizzo. Quando lo ruotai per controllarne il retro, lasciai andare un versetto soffocato. C'era scritto soltanto: "E' arrivato il momento di dimostrare di che pasta sei fatto."
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