Epilogo: in amore non ci sono regole
Ymir era semplicemente stupenda nella nuova divisa da guardia personale del Re. Pettini a forma di coda di pesce le tiravano indietro i corti capelli castani e un farsetto turchese, con spille d'oro a conchiglia, le avvolgeva la figura alta e slanciata, fiera, come ci si sarebbe aspettato dal Capitano della Scorta Reale. Un ruolo che le si confaceva alla perfezione.
Uno stuolo di guardie vestite nella stessa maniera, ma con meno ornamenti, ci si stringeva attorno in un semicerchio attento e un po' emozionato. E io ero al centro fra tutti loro, con le anguille nello stomaco e le dita attorcigliate, a giocherellare con i numerosi gioielli che mi inanellavano le falangi.
Indossavo un lunghissimo mantello che si dilungava in metri di strascico, fatto di squame azzurre arcobaleno, iridescenti come la mia coda di pesce. Gli abiti cerimoniali, bianchi e candidi, intessuti di perle d'ostrica, lische di pesce e gusci di madreperla, si avviluppavano al mio corpo alla perfezione, anche sulla pancia cresciuta. Dopo un mese, già stava iniziando a farsi vedere, un dolce ricordo di un nuovo ingresso nella mia vita.
Una vita che mi aveva già tolto due dei miei fratelli, ma che almeno mi restituiva qualcun altro da amare.
«Ti senti pronto?» mi chiese Ymir, allungando il sorriso circondato di lentiggini, appoggiando una mano sulla spada che portava al fianco. Mi piazzai di fronte alle imponenti porte della sala del trono, ancora chiuse, mentre ancelle e servi dietro di me lisciavano il mantello, evitando che si raggrinzisse o impigliasse quando mi muovevo.
Da dietro alle porte, anche se chiuse, si sentiva comunque un insistente chiacchiericcio, il brusio emozionato di centinaia di voci sussurrate che si sovrapponevano, creando una rete di mormorii e parole che quasi riuscivo a comprendere, quando mi arrivavano all'orecchio. Presi un bel respiro, agitato, rimpiangendo che Zakhar non fosse lì con me. No, non poteva essere con me, ma sapevo dove l'avrei trovato.
«Aspetto questo momento da tutta la vita.» risposi, dopo un bel minuto di silenzio, cercando di calmare il battito feroce del mio cuore. «Quindi sì. Sono pronto.» O almeno, tentai di sembrarlo, alzando il mento con un'espressione regale, aiutato dalla bellezza del mio vestito e dall'eleganza sfarzosa del mio mantello. Solo il mio capo era vuoto da ogni tipo di decorazione, in attesa.
Ymir fece un cenno verso un paio di guardie, che afferrarono i maniglioni delle porte e spinsero. Quel gesto venne accolto con un cigolio che rimbombò nel silenzio improvviso. Centinaia di persone - cortigiani, nobili, parenti, ospiti, mercanti, cittadini - tutti stipati nella sala del trono, si voltarono a guardarmi. Centinaia di persone capaci di trattenere il fiato all'unanimità, regalandomi una sensazione edificante.
Poi, otto suonatori, quattro per lato, si portarono conchiglioni a fiato alle labbra ed emisero un suono profondo e vibrante, un annuncio, aprendomi la strada sgombra fino al trono. Il passaggio era collegato solo da un lungo tappeto rosso.
«Sua Altezza Reale, il Principe Ereditario Taye Okoro.» esclamò un ciambellano a gran voce, facendo rimbalzare il timbro profondo fra le pareti di pietra. Quello era il segnale per venire avanti. Con i denti stretti per la tensione e tutto il peso di centinaia d'occhi puntati addosso, mi raddrizzai ancor di più e incominciai ad avanzare verso il trono.
Dietro di me, Ymir e molte altre guardie a proteggermi, perché anche se i miei attentatori erano morti o stati scoperti, sarei pur sempre diventato il primo sovrano Omega del Regno di Smeraldo, uno che aveva fra i suoi programmi la distruzione del Formicaio. Avrei avuto ancora molti nemici. Ma il peggiore di tutti, quello che si credeva fosse il più pericoloso, adesso era ai piedi del trono, vicino ad altre guardie, con le catene ai polsi che indossava con disinvoltura, come se fossero dei braccialetti.
Anche a metri e metri di distanza, i miei occhi incontrarono quelli del Falco, e tutto sembrò andare per il verso giusto. Sì, anche il fatto che per il momento fosse in catene, nonostante avesse ricevuto la clemenza della Regina Jelani, che ormai aveva abdicato. La gente però sapeva, ormai, che era lui il Falco. Tutti adesso conoscevano la sua identità e sapevano che cosa aveva fatto, in anni di criminalità. Aveva rubato, ucciso, razziato, torturato e molto altro ancora.
Molti lo rispettavano, moltissimi lo temevano e i nobili lo odiavano. E, anche se era chiaro a tutti che cosa fosse per me - avevo il suo odore, il suo marchio, il suo bambino - questo non significava che non fosse il Falco. E tenerlo lì, ai piedi del trono, incatenato, era tutto parte del piano.
Fu difficile lasciar andare il suo sguardo, azzurro e violaceo, mentre camminavo. Mi rassicurava, mi incoraggiava. Però, un passo dopo l'altro, mi concessi di guardare anche verso gli spalti, dove il resto ospiti ammirava la cerimonia. Fra le prime file, risaltavano i più importanti: l'assenza di Taro, ma soprattutto quella di Tamsin, era come una ferita aperta che ancora sanguinava. Ricacciai indietro il dolore, soffermandomi sugli altri.
Tahani, per esempio. Dopo settimane passate a struggersi per la morte di Quinn - come se non avesse cospirato contro di me e manipolato nostro fratello - si era ampiamente ripresa grazie ai corteggiamenti del Duca Thiago. Perso un principe, si cerca di conquistare la principessa, giusto? Mia sorella li sceglieva veramente male, gli Alpha. Però, al fianco del bel duca, mentre gli stava a braccetto e sorrideva con intimità a quello che lui le sussurrava, sembrava felice.
E a proposito dei miei corteggiatori: non mancavano nemmeno loro all'appello. O almeno, non mancavano tutti. Il principe Rajat se n'era andato solo una settimana dopo il mio salvataggio dal faro. Scoprire che la gara di corteggiamento fosse stata sleale, perché ci si era messo di mezzo un criminale che per giunta mi aveva "ingravidato" - parole sue - lo aveva fatto andare su tutte le furie. Poco importava che quel criminale fosse la mia anima gemella e che mi avesse salvato la vita.
Il Principe Shun, un Alpha come sempre scaltro, era rimasto. Sosteneva che dovessi farmi perdonare tutti i segreti che avevo tenuto ai miei ospiti con una buona proposta di alleanza fra i nostri regni. Ed erano rimasti anche Jörvar, il Lupo Bianco, e Akia, il Leone.
Il Lupo non si sarebbe trattenuto per molto, in realtà: voleva rimanere per il breve periodo necessario ad epurare il Formicaio, come se fosse un suo nobile compito, poi sarebbe tornato a nord, nelle sue terre. Aveva preso la notizia di me e Zakhar in maniera piuttosto stoica e controllata, come nella consapevolezza che non avrebbe potuto fare niente davanti ad un legame fra compagni.
Akia non aveva fatto segreto del suo dispiacere, invece, ma lo aveva accettato. Credevo che scegliesse quindi di andarsene, invece aveva delegato il comando della sua tribù ad un altro membro della sua delegazione e aveva scelto di rimanere a Samarcanda per un tempo indefinito. Si sentiva in debito con mia madre, che conoscendola da molto tempo, e non essendo riuscito a proteggere lei o me, ora sosteneva che dovesse quanto meno tenere sott'occhio mio fratello Tamsin.
Non lo trovavo giusto per lui, non pensavo nemmeno che fosse suo compito, ma mi fidavo di Akia. E mi sarebbe stato d'aiuto.
Spostai l'attenzione sul resto degli invitati: c'era anche Inoko, il mio cugino inetto, che avevo pensato potesse essere coinvolto con le alleanze dei miei attentatori, invece no. Era solo odioso. E non mancava neanche il marito di Ymir, che aveva promesso di forgiarmi una nuova spada, adatta ad un Re.
Tornai ad affrontare il trono. Avevo raggiunto ormai i gradini e, sulla pedana rialzata, mi attendevano le Regine, in abiti ufficiali, Dafne con un maestoso vestito azzurro, un universo di crinolina, tulle e maniche scampanate, mentre Tusajigwe con un abito aderente, verde smeraldo, attillato come una seconda pelle, pieno di spille sul petto.
Lanciai un ultimo sguardo verso Zakhar, che mi scrutava con un sorriso irriverente, ancora ammanettato. Era una situazione da paradosso: il mio compagno in catene sotto al trono, ed io che mi accingevo a salire i gradini per raggiungere la corona. Che molto presto sarebbe stata posta sul mio capo.
Il regno stava assistendo per la prima volta all'incoronazione di un Omega.
Il lungo strascico del mantello di squame strisciò sui gradini, finché non mi fermai sulla pedana. Dinnanzi al trono, davanti alle mie madri, mi inginocchiai, tenendo però la testa alta, con autorità e potere, incapace di chinarmi veramente, non intenzionato a prostrarmi nemmeno in un momento simile. Così carico di significato e così indelebile per la storia del Regno di Smeraldo.
Mia madre, la Regina che aveva abdicato, mi guardò negli occhi con una consapevolezza che mi fece rabbrividire d'emozione: hai vinto, sembrava star dicendo. Dopo gare di seduzione, inganni, segreti ed intrighi, finalmente ce l'avevo fatta.
«Molti sovrani si sono succeduti sul trono di Samarcanda.» iniziò Tusajigwe, catturando l'attenzione di tutti i presenti. «Gran parte di loro sarebbero sconvolti nel sapere quanto sta per accadere oggi. Ma siamo in un'epoca di grande cambiamento. Un'epoca di rivoluzione.» Da lì in poi, si lasciò andare ad un lungo e pomposo discorso sul passato, sull'albero genealogico degli Okoro, sulla corona, sui sudditi stessi.
Era un discorso lungo, ma in equilibrio sul ginocchio e col cuore in tempesta, ebbi l'impressione che non durasse neanche un secondo. Perfino Dafne spese qualche parola, per una volta tanto intenzionata a sfruttare il suo ruolo di seconda sovrana, piuttosto che accettare di essere una controfigura, o un bel faccino da esibire.
Poi, arrivò il momento. Mi raddrizzai, rigido come una statua di sale, mentre Tusajigwe si girava verso il trono, per prendere la corona appoggiata al cuscino. Fra le sue mani scure, l'oro, i diamanti, le ambre e tutta quella grande piramide di conchiglie, sembravano ancora più lucenti. Trattenni il fiato, vedendo il diadema restare sospeso sulla mia testa.
«Io, Tusajigwe Jelani, ventottesima Regina di Smeraldo, col potere conferitomi dalla corona, nomino te, Taye Okoro, ventinovesimo Re di Smeraldo. Prometti di proteggere il tuo popolo, di governarlo con leggi giuste, di rispettare i tuo sudditi e di ergerti forte contro il nemico?»
La voce riuscì a non tremarmi quando risposi: «Lo prometto.»
Dopo, la corona mi venne posta sul capo, inaspettatamente pesante, come se contenesse dentro di sé tutto il peso del potere che la accompagnava. Inghiottii, ricacciando indietro le lacrime di commozione. «Allora alzati, e lascia che la tua gente ti onori.»
Così feci. Mi sollevai e, mentre fino a quel momento avevo dato le spalle al pubblico, mi girai per affrontarlo. Dopo un silenzio imbarazzato, quasi congelato, qualcuno iniziò a battere le mani. E pian piano, uno dopo l'altro, i sudditi si unirono. L'applauso si trasformò in un'ovazione generale, un coro di voci che urlavano "VIVA IL RE! VIVA RE TAYE!". Sapevo che sarebbe stato difficile farmi accettare come Sovrano Omega, ma avrei combattuto per riuscirci. Perciò, mi sedetti sul trono e lasciai che mi acclamassero.
Anche in città stavano scoppiando i festeggiamenti: feste, parate, fuochi d'artificio, lanterne, coriandoli. La gente appendeva tappeti colorati ai balconi, metteva dolci sul davanzale, lasciando che i passanti mangiassero come in una festiva offerta generale. I Santuari venivano riempiti di preghiere e offerte, il castello di balli e grida allegre. Ma quello sarebbe stato solo l'inizio di tante celebrazioni. E io avevo ancora qualcosa di importante da fare, prima di lasciarmi coinvolgere dall'atmosfera.
«Che il Falco venga portato davanti a me.» dissi, mentre nella sala del trono tornava a ripiombare il silenzio. L'Alpha più bello che avessi mai visto salì i gradini con un sorriso sensuale e audace, arrogante, sfoggiando le catene ai polsi come se fosse stato il suo personale corrispettivo della corona. Mi guardava negli occhi, mi guardava sempre negli occhi.
Non ero più il principe dei sempliciotti che aveva conosciuto in quella botola, la notte in cui mi aveva rapito. Lui, invece, era ancora lo stesso criminale che aveva minacciato di ritrovarmi ovunque mi sarei nascosto, senza darmi vie di fughe da lui.
Il ciambellano mi consegnò la pergamena dov'erano riportati tutti i capi d'accusa di Zakhar, una lista bella lunga e che mi prese parecchio tempo, nel leggerla tutta, abbastanza da decidere di glissare su alcune cose. «Neghi di essere il Falco e di aver fatto quanto appena detto?»
Lui curvò le labbra carnose, dolci come un frutto proibito, in un sorriso che sapeva di segreti sussurrati a mezzanotte. «No, sire.» esclamò, lento e suadente, con un malizioso tono di sfida che lasciava intendere giochi fra me e lui, giochi che nessun altro in quella stanza sapeva. Cose che avevamo fatto, e cose che mi avrebbe fatto, forse quella notte stessa.
Battei le palpebre per non avvampare. «Allora che venga messo agli atti il mio verdetto.» ribattei, senza distogliere lo sguardo ambrato dal suo. C'erano anche dei notai nella sala, che avevano appuntato tutto di quell'incoronazione e lo avrebbero fatto anche adesso. «Per i reati di cui ti sei macchiato, io ti dichiaro colpevole.» Allargai le labbra in un sorrisetto: alla fine della storia, lui mi aveva insegnato come essere astuto. Come raggirare il sistema, come sfruttare quello che il regno si sarebbe aspettato da me.
«E ti condanno...» afferrai le chiavi che una guardia mi consegnò, alzandomi dal trono per aprirgli le catene con uno schiocco sonoro. Caddero rumorosamente a terra. «... a prestare servizio alla corona per il resto dei tuoi giorni.» Un cenno del capo. «Sei congedato.» mormorai, guardandolo scendere i gradini per immergersi nella folla.
Zakhar non era più la mia scorta personale. Non sarebbe mai stato il consorte reale. Ma era senz'altro un criminale e, come il migliore dei fuorilegge, sarebbe stato i miei occhi e le mie orecchie in ogni punto del Palazzo d'Estate che io non potevo raggiungere.
Sì, Zakhar sarebbe stato la mia spia.
E forse non ci saremmo mai sposati, ma a nessuno dei due importava davvero. Avevo letto un libro pieno di regole su come un Omega avrebbe dovuto affrontare la sua vita, ma non c'era nessun libro che mi avrebbe spiegato come funzionavano le relazioni, cosa fosse la prassi fare, o con quanto ardore un Alpha era capace di amare.
Non esistevano regole per questo genere di cose. E volevo impararle da solo, giorno dopo giorno, accanto a lui.
I festeggiamenti ricominciarono, i sudditi furono finalmente liberi di lasciarsi andare alla pazza gioia. Cercai il mio Alpha fra la folla, ma come era bravissimo a fare, era già scomparso.
⚜⚜⚜
Stremato da una serata di presentazioni ufficiali, giochi di politica, balli e baldoria, ritornai dall'incoronazione che era quasi l'alba. La volta notturna si stava schiarendo, raggiungendo un punto d'azzurro particolarmente vivido, che esisteva soltanto in oriente. Ricordava il colore dell'occhio sinistro di Zakhar.
Sospirai, levandomi buona parte dei vestiti fastidiosi, fino a scivolare dentro ad una camicia da notte di morbida seta. Ormai i miei appartamenti non erano più quelli di prima: adesso avevo un intero complesso di stanze reali, quelle che prima appartenevano alle mie madri. Loro se n'erano andate da un paio di giorni, decise a farlo perché nessuna delle due rischiasse di starmi fra i piedi perché ero io a dover governare, adesso. E, in parte, era perché volevano godersi la vita insieme in modo tranquillo.
Sulla mia scrivania si affastellavano un numero già impressionante di carte: piani per liberare Taro stringendo alleanze col Re dispotico che aveva sposato. Strategie per la distruzione del Formicaio. Progetti per il futuro del regno. Avevo appena iniziato e già rischiavo di sentirmi sopraffatto, ma era una sensazione bella, positiva.
Meno positivo fu quello che provai quando uscii sul balcone, sapendo che cosa avrei trovato nel cortile del palazzo, vicino ai cancelli.
Un carro prigionieri, circondato da un manipolo di guardie. Non per tenere dentro la persona nel carro, ma per proteggerla da quelli che stavano fuori. La gente voleva la testa di Tamsin. Volevano vederlo pendere dalla forca o volevano che la sua testa rotolasse in un cesto dopo essergli stata staccata dal collo. Ma non era assolutamente quello che volevo io.
Il rimpianto mi incrinò la gola e minacciò di farmi piangere. Dovetti convincermi che stavo facendo la cosa giusta.
Avevo deciso di esiliare Tamsin per un tempo indefinito, chiudendolo in una torre vicino ai confini del regno, in solitudine e lontano da qualsiasi fonte d'acqua. Un posto dove avrebbe potuto riflettere sui suoi errori, magari anche aiutato da qualcuno pagato per ascoltarlo e per risolvere i suoi traumi personali. E un giorno, forse, sarebbe potuto tornare a casa.
Ma non ora.
Akia si mise alla testa della spedizione, intenzionato a proteggere mio fratello durante il viaggio e a restare a fargli da guardia per il tempo a venire, finché non avrebbe reputato il suo debito con la Regina Jelani concluso. Restai a guardare il carro che superava le mura del castello, introducendosi nella città in festa, così cupo rispetto a tutto il resto. E cercai di calmare il dolore al cuore.
«Come vuole che questo umile servo asciughi le vostre lacrime, Re dei coraggiosi?» una voce profonda e penetrante mi fece drizzare sul posto. Mi voltai a guardare da dove provenisse, solo per trovare un bell'Alpha avvolto nel nero e acciambellato in alto, in equilibrio in punta di piedi sul torrione sopra il mio balcone. Grandi ali color ossidiana circondavano la sua figura muscolosa, e qualche piuma ondeggiò verso di me, quando si calò verso il basso e planò sul mio balcone.
«Sono il Re dei coraggiosi adesso?» esclamai, con una risata leggera, rabbrividendo quando Zakhar fece scivolare una mano guantata per metà sulla mia guancia, asciugandomi lacrime che non mi ero reso conto di aver versato. A quel contatto, la mia pelle si risvegliò.
«Lo sei sempre stato. Solo che non te ne eri ancora reso conto.» soffiò, le sue braccia ora intorno al mio corpo, le mani intrecciate sulla mia pancia un po' gonfia e il mento posato sulla mia spalla. Risi ancora, come se avesse detto una piacevole assurdità o una graziosa lusinga, e lui soffocò il suono baciandomi.
Mi avvinghiai a lui, inebriato dai feromoni che emanava, ammaliato dalla vita che ci aspettava insieme e da quella che, invece, attendeva dentro di me. Ricambiai il suo bacio con ardore, la bocca schiusa per sorseggiare il suo respiro direttamente dalle labbra e i pugni stretti sulla sua casacca. Lui era ancora un fuorilegge, io adesso ero il Re, ma nonostante i ruoli contrastanti saremmo rimasti insieme. Per sempre, a guardarci le spalle l'un l'altro.
«Sei stato tu a darmi il coraggio.» ammisi, sfiorando il suo collo con le labbra, gli occhi socchiusi per notare che ormai il cielo era screziato di rosa e i primi timidi raggi solari si stavano introducendo su Samarcanda.
Ridacchiò, soddisfatto. «Ci aspettano altre sfide, ma poi potremo goderci i frutti del nostro duro lavoro.» ammise il Falco, avvolgendomi in un abbraccio di setose piume corvine. «E in fondo, possiamo farlo già adesso. Abbiamo vinto, Taye.» sorrise, saltando sulla ringhiera di pietra del balcone e poi tendendomi la mano. Il più tentatore degli inviti.
Posai le dita sulle sue e lui mi tirò in piedi sul cornicione: sotto di noi, un vertiginoso salto nel vuoto. Capii cosa voleva fare e questo era il momento migliore: quando il cielo era un po' azzurro e un po' rosa, l'aria frizzante e le ultime stelle in procinto di svanire, inglobate dal bagliore del mattino.
Mi strinse la vita fra le braccia, allungando le ali in tutta la loro maestosa ampiezza e mi guardò con un sorriso furbo, colmo di aspettativa, mentre io mi preparavo a tenermi forte. Ci scambiammo un sorriso complice, carico di adrenalina. «Andiamo a far vedere a nostro figlio il regno che un giorno sarà suo.»
Poi si lanciò nel vuoto e, con un urlo di gioia liberatoria, sfrecciammo insieme nella luce dell'alba.
⚜ 𝐅 𝐈 𝐍 𝐄 ⚜
⚜⚜⚜
*N D A*
Hola a tutti!
In primis, scusate se l'aggiornamento è arrivato tardi, ma ho avuto una settimana davvero estenuante! Fatta questa premessa, finalmente posso lasciarmi andare ai consueti ringraziamenti: grazie davvero a tutti voi che avete seguito la storia, siete stati in tanti e non me lo aspettavo proprio, mi ha fatto un gran piacere. Perciò spero che l'abbiate apprezzata.
Non togliete il libro dalla biblioteca! Benché io abbia deciso di narrare la storia di Taro e quella di Tamsin in due libri diversi da questo, prima di iniziarle scriverò una piccola storia extra (di una manciata di capitoli) sempre alla fine di questo stesso libro. Consideratela un'aggiunta esclusiva! E inoltre, pubblicherò anche un avviso per la pubblicazione del secondo libro (la storia di Taro), quindi non perdetevelo!
Come di consueto, gli aggiornamenti arriveranno sempre il mercoledì (scanso imprevisti). Grazie ancora per aver seguito A Tale of Falcon and Merman <3
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