Regola n.30: sii la mia sgualdrina
«Colpite più a fondo!» esclamò il Lupo Bianco, mentre io agitavo la spada che mi aveva regalato riuscendo a tagliare qualsiasi cosa mi circondasse - me stesso in primis - tranne che il fantoccio d'addestramento che avevo di fronte. Il pupazzo mi guardava, imbottito di paglia e senza faccia, e sentivo che mi sbeffeggiava. Accidenti. Mi stavo coprendo di ridicolo.
Alzai di nuovo la spada e l'impeto del colpo che cercai di infliggere mi fece roteare su me stesso, scivolare sulle scarpe, cadere col sedere per terra e quasi tagliare via un piede all'Alpha che mi faceva da istruttore.
«State bene?» mi domandò lui, allungando una mano verso di me, il braccio muscoloso che s'intravedeva attraverso la stoffa sottile ed umida di sudore della camicia bianca. Emanava leggermente i suoi feromoni, con quel loro profumo di mentolo e ginepro, ma riuscii a non stordirmi del tutto. Posai con cautela le mie dita sulle sue, lasciando che mi tirasse in piedi.
«Posso farcela! Devo solo riprovare!» esclamai, testardo, cercando di capire dove fosse finita la spada... E trovandola conficcata sul pavimento della palestra d'addestramento, a cinque metri da me. Com'era volata laggiù? Jörvar corrugò la fronte. Io, invece, alzai gli occhi sulle balconate che costeggiavano la grande sala, trovando il Falco appostato come una malombra: aveva le braccia incrociate, la schiena appoggiata ad una colonna e un sorriso d'ilarità appiccicato sulla faccia, come se godesse del mio fallimento.
Erano passati pochi giorni dalla sua assunzione e, da allora, avevo cercato in ogni modo di mettergli dei paletti e stabilire delle regole. Non starmi troppo addosso. Dormire fuori dalla mia stanza e non dentro. Non palparmi, non toccarmi e non avvicinarsi troppo a me. Ogni volta cercava un modo per beffarsi dei miei ordini, tipo dormire sul balcone perché era "fuori dalla stanza", fissandomi per tutta la notte.
Secondo l'opinione di chiunque nella corte, lui stava svolgendo un lavoro esemplare. Mi era stato revocato il permesso di abbandonare le mura del Palazzo Reale e lui, nonostante fossimo in ambiente protetto - si supponeva, considerato che un assassino era andato molto vicino all'ammazzarmi proprio nel palazzo - non mi toglieva gli occhi di dosso. Non era un ottimo esempio di dedizione lavorativa? La risposta era: no, proprio per niente!
I suo occhi mi soppesarono dall'alto e, accorgendosi che lo stavo guardando, mi fece l'occhiolino, non in maniera complice, piuttosto come se si stesse prendendo gioco della mia goffaggine durante l'allenamento. Arrossii violentemente.
«Vi serve una pausa.» disse invece Jörvar, analizzando con quei suoi algidi occhi celesti. Strinsi le labbra, in imbarazzo.
«Mi dispiace... Voi mi state insegnando così tanto e io sono completamente una frana.» sussurrai, mortificato, abbassando gli occhi. Ero più che altro deluso da me stesso: come potevo non dipendere dagli altri, se non riuscivo neanche ad imparare come usare una spada? Soprattutto, non potevo dipendere dal Falco. Ancora non capivo cosa volesse da me e cosa ci guadagnava. Temevo il giorno in cui avrebbe presentato il conto.
«Non dite così. Avete tenacia da vendere.» disse il Lupo, sollevandomi il mento fra pollice ed indice per rivolgermi un'occhiata di incoraggiamento, pur filtrata dalla sua espressione granitica e dura. A volte dava l'impressione di essere una statua di marmo: fiera e fredda, ma comunque con una sola espressione. «E poi, con quella faccia mi fate venire voglia di consolarvi.»
Non realizzai quello che intendeva finché non lo fece. Si chinò su di me e, inchiodandomi contro il tavolo pieno di pezzi d'armatura, mi baciò. Dopo la notte passata in camera sua, si era fatto più disinibito. Sgranai gli occhi, talmente preso in contropiede che non lo allontanai, né lo assecondai. Un suo braccio muscoloso mi avvolse la vita sottile, premendomi contro di lui.
«Mnh-» ansimai, avvertendo i suoi feromoni Alpha stravolgermi i sensi e trasformarmi le gambe di burro. Lasciai che mi sorreggesse, mentre la sua lingua accarezzava l'interno della mia bocca e i suoi denti mordicchiavano il mio labbro inferiore. Ero praticamente seduto sul tavolo quando mi scostai, reclinando il collo indietro, con una mano posata sul suo petto. «Ehm... Io... Ecco...»
Alzai gli occhi sulla balconata, sentendo il cuore tamburellare non per il bacio appena avvenuto, ma per uno strano senso di angoscia che mi attorcigliava lo stomaco. Il punto dove prima era fermo Zakhar, adesso era vuoto.
«Devo andare.» tagliai corto, saltando giù dal tavolo con un movimento di fianchi che fece cadere sul pavimento dei parabracci di metallo: il rumore fragoroso riuscì ad ingigantire ancora meglio il mio imbarazzo. «Ops.» L'Alpha alzò un sopracciglio, mentre piegavo la bocca in un sorriso nervoso e un po' accaldato. «Grazie per l'addestramento! Mi impegnerò per il prossimo.»
Corsi via, lanciandogli solo un breve sguardo da sopra alla spalla, prima di salire i gradini verso le balconate vuote e proseguire oltre il corridoio. «Ma dove...»
«Pronto per stasera?» Zakhar spuntò dalla curva del corridoio, tagliandomi la strada tanto improvvisamente che sobbalzai.
«Per tutti gli spiriti animali...» Mi misi una mano sul cuore, un ottimo modo per tergiversare ed esaminare la sua espressione. Non ci aveva visto? No, solo fino a qualche minuto prima sorvegliava l'addestramento. Ci aveva visto eccome. Però non sembrava arrabbiato. Né scosso o turbato o infastidito. A dire la verità, sembrava che non gli importasse di meno.
Mi azzannai il labbro inferiore, non capendo per quale assurda ragione mi sentissi deluso. Poi il raziocinio tornò: era assolutamente un bene che il Falco, per una volta, non desse problemi. «Un attimo. Che cosa c'è stasera? Uno stupido evento di corte di cui mi sono dimenticato?»
La mia scorta, nonché il criminale peggiore di Samarcanda, mi rivolse un sorriso sensuale e perfido. «Molto meglio.»
⚜⚜⚜
«E' UNA PESSIMA IDEA! AAAAHHHH-!» gridai a squarciagola, mentre si abbassava di quota e scendeva in picchiata verso i tetti della città. Un vuoto d'aria mi scombussolò la pancia e con le mani mi tenni avvinghiato alle sue braccia, che mi circondavano il petto. Mi teneva sotto di lui e la mia schiena era a stretto contatto col suo petto nudo, mentre le sue ali erano così aperte da sembrare immense.
Planò dolcemente e io ripresi fiato, sospirando contro la stoffa della cappa nera che indossavo e che mi nascondeva dalla testa ai piedi. Non eravamo certo invisibili, ma col favore della notte era difficile notare che qualcuno stava volando ad alta quota. Quando volava con più gentilezza il viaggio diventava migliore.
Potevo vedere ogni edificio caratteristico della città, compresi i Templi mastodontici in onore degli spiriti animali più importanti di Samarcanda, situati ai quattro punti cardinali della città: il Tempio del Cervo Grigio a nord, della Tigre di Giada ad ovest, del Delfino Dorato a sud e del Dragone Rosso ad est. Ma si vedevano anche le sfarzose tenute nobiliari, le vie colorate del mercato, i giardini di gelsomino, il Casinò Amaryllis o la Via della Seta vicino al fiume, che sfociava, più lontano, verso il mare. Brillava all'orizzonte, sotto una luna gigantesca.
«Non immaginavo che volare fosse così bello...» sussurrai, affascinato. Chissà quanto in alto riusciva ad arrivare. Avevo l'impressione che il Falco sarebbe stato perfino in grado di raggiungere le stelle. Con la coda dell'occhio, lo vidi sorridere.
«E nuotare com'è?» domandò, scrutandomi mentre batteva lentamente le ali fino a scendere in una zona isolata di periferia, lì dove nessuno ci avrebbe visto. Quella domanda - così stranamente personale - mi colse di sorpresa.
«Quello lo puoi fare anche tu.» risposi, alzando le spalle. L'idea di parlare del mio elemento, argomentando e probabilmente annoiandolo, mi faceva sentire a disagio.
«Ma non nel tuo stesso modo. Anche la tua pinna è... be', bella.» disse, lasciandomi andare ora che eravamo in strada. Mi girai a guardarlo stupefatto e il Falco si limitò a distogliere lo sguardo, controllando il sentiero.
«Tanto non ha importanza. Finché non richiudono il tunnel subacqueo non mi lasceranno più fare il bagno nel cenote. Dovrò accontentarmi di una piccola vasca e non vale la pena tirare fuori le squame per questo.» bofonchiai, cercando di trattenere la delusione nella voce. Mi fissò di sottecchi, con le palpebre affilate, come se stesse pensando a qualcosa... Poi però, in fondo alla strada, spuntò un uomo incappucciato che ci fece un segnale.
«Andiamo.» La conversazione precedente sfumò. «Fra pochi minuti si va in scena.»
La bocca del mio stomaco si aggrovigliò, per nulla d'accordo. «L'ho già detto che è una pessima idea...?»
⚜⚜⚜
Perfino camminare nudo, con una lama puntata alla gola e sotto agli occhi della corte intera, era meno umiliante di questo. Io lo avevo detto che era una pessima idea, ma erano maggiori i pro che i contro, perciò mi ero lasciato trascinare dalle trovate strambe del Falco. Che stupido che ero stato! Dovevo ripassare la regola n.12 del mai fidarsi di un Alpha.
«Sei un po' troppo ingessato, mio caro principe Taye.» sfiatò Zakhar contro la mia gola, facendo strisciare le labbra morbide sul mio lobo. «Sciogliti. Sii la mia sgualdrina in maniera coerente.»
«Scusami se cerco di essere un Omega serio nella norma e non so come comportarmi in questi casi!» brontolai, ironico, mentre mi sistemavo meglio sulle sue ginocchia, seduto con le cosce un po' divaricate e con il suo volto appoggiato nell'incavo del mio collo.
La proposta assurda, imprevedibile e furba che il Falco mi aveva fatto, per questa notte, era di dichiarare al "mondo clandestino" che il principe ereditario fosse la sgualdrina del criminale più famoso del Regno di Smeraldo. Sì, una follia, sotto un certo punto di vista. Si supponeva che dovessimo tenere segreta la nostra piccola tresca. E così era, nella Samarcanda in superficie.
Ma noi eravamo nel Formicaio, un posto al limite dell'assurdo, dove la gente si drogava, ammazzava, fotteva e comprava altra gente - Omega, soprattutto - per ricominciare il loop. Tutti i brutti ceffi che volevano incassare la mia taglia, uccidendomi, erano quaggiù. Se l'assassinio dello Squalo mannaro non era un messaggio abbastanza chiaro per far capire che il Falco vegliasse su di me, allora Zakhar avrebbe dimostrato quanto fosse "intimo" il nostro rapporto e quanto potesse essere pericoloso fare del male al suo giocattolo. Cioè io.
Inoltre sosteneva che, recitando la parte dell'Omega sottomesso e dell'Alpha possessivo, avremmo potuto tendere una trappola per far uscire allo scoperto il mandante dei miei attentatori. Visto che nessuno sgherro sano di mente avrebbe più osato aggredirmi, avremmo messo il colpevole con le spalle al muro e sarebbe stato costretto a fare lui stesso il lavoro sporco. Potevamo stanarlo.
Odiavo dirlo, ma Zakhar aveva avuto un'ottima pensata. E poi, nessuno avrebbe creduto alle dicerie del Formicaio: il principe ereditario che si trastulla sulle gambe del famigerato Falco? Come no! Anche perché, per quanto ne sapeva la corte io ero chiuso al sicuro nelle mie stanze.
Purtroppo, Zakhar aveva pensato così attentamente ai dettagli che non si era fatto sfuggire l'imbarazzante completino intimo che Amnon, il mio governante, aveva conservato nel mio armadio tempo addietro, appena era stata annunciato che sei Alpha sarebbero arrivati a palazzo. Per il Falco dovevo seguire coerentemente la parte: fare la sgualdrina, l'omega civettuolo talmente succube dell'Alpha criminale da lasciarsi fare qualsiasi cosa.
E così, eccomi lì. In una grande caverna sotterranea piena di gente che ballava e si dimenava con spericolato abbandono, le fiaccole scintillavano e la musica tribale risuonava da ogni angolo. In alto, in un'alcova irraggiungibile se non sapevi volare ma sotto alla vista di tutti, c'era una poltrona - un trono? - di velluto nero.
Zakhar ci sedeva sopra come fosse il re dell'intera baracca. A petto nudo, i muscoli guizzanti e scolpiti proseguivano fino all'orlo dei pantaloni di pelle a vita bassa. La sua faccia era semi-nascosta dalla maschera e un sorriso perverso si mostrava in tutta la sua cattiveria. Io ero seduto sopra di lui, la schiena adagiata al suo petto, il sedere premuto sul cavallo dei suoi pantaloni, le gambe un po' aperte così che lui potesse appoggiare una mano nell'interno coscia con fare possessivo.
Indossavo solo un paio di pantaloni harem di velo trasparente, azzurro, e dello stesso materiale era il top che si allacciava intorno al collo, senza maniche. Non c'era molto altro, a parte un ridicolo tanga blu a coprirmi le parti intime e bracciali d'oro intorno agli omeri. Zakhar strusciò il bacino sotto di me ed io sussultai, con la pelle scura che si arrossava mentre lui sogghignava. Prese un acino d'uva dalla coppa vicino a lui e, freddo e umido, me lo fece scivolare sul collo, prima di portarselo alle labbra.
«Il prossimo è per te.» sussurrò, staccando un altro acino che mi premette sulla bocca. Non si limitò ad imboccarmi: mi spinse le dita a fondo, intrappolando la mia lingua, mentre l'altra mano esplorava l'interno delle mie cosce. Gemetti, sentendo quelle dita callose infilarsi sotto l'orlo dei pantaloni per giocherellare con l'elastico del mini-intimo che indossavo.
Gli afferrai il polso per allontanargli la mano con cui mi stava torturando la lingua e le labbra come un depravato. «... Finiscila.» Ero senza fiato e avevo paura che, molto presto, mi sarei eccitato fino al punto da non poterlo fisicamente nascondere.
«Vedi?» Sorrise sensuale, con gli occhi affilati e un'espressione di trionfo palpabile anche attraverso la maschera. «Non ti stai calando nella parte. Non ti vuoi proprio impegnare per salvarti la vita...» Srotolò con cura il tubo del narghilè posto sul tavolino su cui c'era anche la coppa di frutta. Si portò il boccaglio dorato alle labbra, aspirando profondamente, e una nuvola grigia-azzurra che profumava di tabacco e fiori essiccati ci avvolse.
Prima di espirare, piegò il viso e fece incontrare le nostre bocche. Mentre mi baciava con una passione tale da farmi girare la testa, spinse il fumo nella mia gola ed io mi scostai per tossire. Rise, un suono arrochito dal fumo e da quella solita vena cattiva che lo caratterizzava. «Dimmi la verità» mi schiarii la voce, ancora impastata da quel fumo «quanto di tutto questo è stato fatto per tendere una trappola a chi mi vuole morto e quanto per vendicarti di stamattina?»
Era un po' estremo - interpretare la sua sgualdrina, con i vestiti trasparenti e le sue mani addosso sotto agli occhi di tutto il Formicaio - solo per tendere una trappola che non era sicuro funzionasse. Ed era un po' strano che succedesse, fra tutti i giorni, proprio oggi. Stamattina aveva assistito al bacio col Lupo Bianco e ora aveva trovato un modo tutto contorto per farmela pagare.
«Ce ne hai messo di tempo ad arrivarci! Iniziavo a dubitare del tuo intelletto.» Sfiatò una risata suadente.
«Brutto bastardo... Hai fatto tutto questo solo per divertirti!» sbraitai.
«Mmhh no. Ho fatto tutto questo per tendere una trappola a chi ti vuole morto E per divertirmi.» Strinse gli occhi in un'espressione meschina. «Tu ti diverti con quegli Alpha. Non vedo perché non debba farlo anche io con te.» Alzò le spalle. «E poi, mi sto comportando così bene! Per adesso, non ho ancora ucciso nessuno.» Sogghignò, come se avesse una lunga lista mentale che però non aveva messo in pratica. Rabbrividii. Aveva detto ancora.
«E non lo farai, infatti!» sottolineai, stringendogli una mano sul ginocchio, forte. «Adesso, non farmi pentire di essere sceso quaggiù.» Presi un profondo respiro, inalando senza volerlo una boccata di fumo. Se voleva divertirsi, non gli avrei dato il divertimento che cercava.
Ero nel Formicaio per il piano e per osservare la tana del nemico: prima o poi, sarei riuscito a demolire questo posto. «Concentriamoci.» dissi, ma sapevo che sarebbe stato molto difficile, al suo fianco.
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