Regola n.29: dimmi la verità


Era la prima volta che vedevo il Falco alla luce del sole: il bagliore pomeridiano faceva sembrare il bianco della sua pelle ancora più candido e il nero dei suoi capelli e vestiti ancora più profondo. All'improvviso, la sua esistenza aveva perso i contorni di un sogno ed era diventata realtà. Fu ancora più strano camminare al suo fianco per i corridoi del Palazzo d'Estate senza doverci nascondere: il criminale procedeva impettito sotto agli occhi di tutte le guardie, che lanciavano cenni rispettosi verso la nuova scorta, selezionata direttamente dalla Regina.

Ero sicuro che, dentro di lui, Zakhar si stesse divertendo un mondo. Che razza di furbo bastardo! Non mi sarei mai, mai aspettato che potesse arrivare a diventare la mia guardia del corpo. Lasciai che entrasse nella mia stanza e mi chiusi molto velocemente la porta alle spalle, ansioso di mettere distanza fra noi e la Regina Jelani. Dovevo urlargli contro che era pazzo e che, se credeva che non lo denunciassi, era anche stupido. Solo quando girai la chiave, mi resi effettivamente conto di ciò che stavo facendo.

Mi ero chiuso dentro con lo stesso uomo che aveva impalato lo squalo mannaro ai cancelli del Palazzo, infilzandolo per la bocca. Un brivido violento mi trapassò dalla testa ai piedi ed esitai a girarmi verso di lui. Ancora rivolto verso la porta, immobile, avvertii i suoi passi risuonare attutiti sugli sfarzosi tappeti orientali che coprivano i pavimenti.

«Ma guarda un po'...» gongolò, mentre io mi azzannavo il labbro inferiore e mi voltavo a guardarlo. I suoi feromoni Alpha, appena trattenuti, rendevano l'aria della mia stanza satura di testosterone. Non sapevo se sentirmi più desideroso o spaventato da lui. «Regola numero uno: niente paura.» Teneva fra le grandi mani il mio libro preferito: la Rivendicazione degli Omega, e ne stava sfogliando deliberatamente le pagine. Alzai un sopracciglio. «Regola numero due: tieni la testa alta. Mmmh... regola numero cinque: rialzati sempre.»

«Che diavolo stai facendo?!» esclamai, agitato, camminando spedito verso di lui con l'intenzione di strappargli di mano il volume che stava leggendo. Proprio quando fui sul punto di afferrarlo, lo sollevò in alto, lontano dalla mia presa. 

«Aspetta, sto per arrivare al capitolo migliore!» esclamò, con un sorriso maligno. «Regola numero otto: non baciare il nemico.» Abbassò le pupille su di me, in un'occhiata che ebbe il potere di folgorarmi. Si era nascosto con una lentina l'iride viola e sfoggiava uno sguardo totalmente azzurro, sebbene uno degli occhi fosse sempre più scuro rispetto all'altro. «E il nemico sarebbe?» sfiatò, facendo un passo avanti, incurvato sopra di me. Indietreggiai e lui avanzò, finché a dividerci ci furono soltanto un paio di centimetri d'aria. «Un Alpha?»

Inghiottii a vuoto. «O-ovvio.» cinguettai, con un filo di voce e la gola chiusa. Zakhar scoppiò a ridere.

«Che mucchio di frottole!» Chiuse il libro di colpo e lo buttò senza cura sul letto. Mi catapultai a raccoglierlo, irritato e offeso.

«Ah sì? Io in questo mucchio di frottole ci credo fermamente. Ma è normale che un Alpha consideri "una frottola" la lotta per i diritti Omega.» sibilai, schioccando la lingua mentre mi stringevo il volume al petto. Accarezzai la copertina quasi il libro fosse un cucciolo pesto che stavo cercando di consolare.

«Ecco che torna il principe dei sempliciotti.» Curvò le labbra peccaminose in uno dei suoi sorrisi criptici che potevano volerti sedurre o prendere per i fondelli. «Non è leggendo un libro, scritto da un Beta che si finge Omega, che imparerai come emanciparti. Certi traguardi si conquistano con i fatti. Con le azioni.» Incrociò le braccia sul petto, scrollando le spalle muscolose, per una volta tanto coperte dai vestiti. «A riempirsi la testa di parole vuote sono bravi tutti.»

Rosso di rabbia, strinsi i pugni e digrignai i denti. Stava praticamente insultando una delle mie istituzioni e icone. E poi, l'autore della Rivendicazione degli Omega non era un beta! Spinto da una ventata di ribellione, ricordandomi il vero motivo per cui mi ero congedato molto in fretta da mia madre e lo avevo trascinato qui, esclamai: «E tu che cosa volevi conquistare con l'omicidio di quel mannaro? Pensi di poterti presentare qui, a casa mia, dopo quello che hai fatto? Credi davvero che non ti sbatterò in galera?»

Parve colto di sorpresa. Alzò un sopracciglio, mentre la mia impudenza veniva velocemente scacciata via da quell'ondata orribile di ricordi: lo squalo mannaro che mi assaliva. Che mi puntava la lama al collo e la premeva, che mi umiliava, costringendomi a sfilare nudo per la corte, che mi minacciava di violentarmi e uccidermi. E poi, quello stesso individuo, che penzolava con una picca affilata del cancello infilzata in bocca. E il sangue dappertutto.

«Ma che diavolo ti passa per la testa?» sussurrai, lo sguardo obnubilato dall'orrore. «Uccidere un uomo in quel modo così... Così disumano, così mostruoso. Che cos'hai che non va?» Non riuscii a nascondere il disgusto nella mia voce.

I suoi occhi vennero attraversati da una vampata di collera. «Che cosa credi? Che sia uno dei tuoi principi?» Fece un passo avanti, sovrastandomi, minaccioso. «Credi che sia compassionevole? Che sia un criminale dal cuore d'oro?» Sbuffò dalle narici un verso sprezzante. «Stupido

Rimasi a bocca aperta, senza fiato, come se avessi ricevuto un pugno nello stomaco. «Questa non è una bella fiaba in cui puoi crogiolarti, principe.» continuò, con un tono velenoso. «Io sono ancora il Falco. Rubo. Rapisco. E uccido chi voglio e come voglio.» Mi afferrò il mento, stringendomi il viso in una presa ferrea. «E non sarai certo tu a cambiarmi.» disse, come se quel "tu" fosse un insulto.

Gli schiaffeggiai via le dita che mi toccavano, digrignando i denti. «Cambiarti? Perché sforzarmi a cambiare un mostro senza scrupoli, un macellaio come te?» schioccai la lingua, guardandolo dritto negli occhi. Un'ondata feroce di feromoni Alpha mi investì e mi contorse lo stomaco, facendomi tremare le ginocchia. Li stava emettendo lui. E lo stava facendo apposta per spaventarmi. Per minacciarmi.

Deglutii, cercando di non indietreggiare, ma ad un certo punto la pressione divenne insostenibile e caddi sulle ginocchia. Brutto bastardo. «Non te l'ho già detto? Sono pochi quelli che mi hanno provocato ad essere sopravvissuti.» Si chinò al mio livello, il peso del corpo sulla punta degli stivali, i talloni sollevati e i gomiti mollemente poggiati sulle ginocchia. «Dopo che ti hanno attaccato durante il tuo viaggio in carrozza, ho lasciato vivo solo uno di quei bastardi, così che diffondesse la voce di non avvicinarsi a te perché il Falco ti proteggeva.»

Mi proteggeva? Forse avevo sentito male.

«Ma se ne sono infischiati.» continuò, ritirando l'ondata di feromoni: ritornai a respirare correttamente. «Hanno provato ad ucciderti ancora e questo, nel mio mondo balordo, significa fregarsene dei miei avvertimenti e provocarmi.»

«Quindi... hai ucciso il mannaro per il tuo orgoglio?» volevo avere un tono sprezzante, ma ero a corto di fiato. Appoggiò una mano ruvida sulla mia guancia liscia, incarnato bianco contro pelle scura, come un abbraccio di latte e cioccolato. 

«Se ti piace pensarla così.» mi sorrise, anche se la sua espressione si era indurita, irrigidita, mentre il suo pollice passava sul mio labbro inferiore in un contatto persistente. Indelebile. Poi mi lasciò andare e si rialzò in piedi. «In ogni caso, quell'omicidio è stato talmente spettacolare che ha fatto il giro di tutta Samarcanda. Il messaggio adesso arriverà a destinazione. Qualsiasi pezzo di merda avrà troppo terrore ad avvicinarsi a te. Tutti nel regno sapranno che non ti toglierò gli occhi di dosso.»

Ritornai anch'io in piedi, il peso del corpo spostato da una scarpa all'altra. Ero quasi disorientato. «Ma perché? Che cosa vuoi da me? Cosa speri di ottenere?» Azzardai un passo in avanti, verso di lui. Ero combattuto: una parte di me voleva avvicinarsi, l'altra parte voleva allontanarsi. Una voleva toccarlo, l'altra voleva nascondersi. Una pensava che fosse un cruento assassino, l'altra che ci fosse qualcosa sotto a quel sorriso cattivo. «Perché non mi dici semplicemente chi mi vuole morto e non la facciamo finita?»

Si voltò di spalle, facendo vagare gli occhi celesti oltre il mio balcone. Le sue mani poggiarono sull'elsa dei suoi pugnali, accarezzandoli. Sembrava stesse temporeggiando. «Dimmi la verità!» Stavolta era lui che doveva sottostare alle mie regole. Dopo tutto questo tempo, tutte queste dimostrazioni sul mio essere meritevole del suo aiuto o meno, almeno la verità me la doveva

«Avanti! Dimmelo! Voglio sapere che cosa diamine vuoi da me e chi vuole uccidermi! Da chi è che sei stato assoldato per rapirmi?» incalzai, alle sue spalle, trattenendomi dal toccarlo e scuoterlo solo perché avevo troppa paura per farlo. Anche se non l'avrei mai ammesso. «Per chi lavori?»

Si voltò di scatto ad affrontarmi, i suoi occhi lampeggiavano. «Io lavoro solo per me stesso.» sibilò e io, per la sorpresa, feci un passo indietro.  

«Allora qual è la verità?» chiesi, con meno enfasi di prima, ma non intenzionato a lasciar perdere. «Voglio saperlo.» Mi mordicchiai nervosamente il labbro inferiore. Gli incisivi premettero nella carne morbida, mentre lottavo contro me stesso: restare dov'ero? Avvicinarmi? Allontanarmi? Optai per fare un cauto passo avanti, come un equilibrista che camminava su una fune fin troppo sottile. «Ne va della mia vita, Zakhar.» sussurrai, appoggiando una mano sul suo petto e rilasciando un pizzico dei miei feromoni. 

Dilatò le narici, inchiodandomi con lo sguardo. «Non mi ha ingaggiato nessuno per rapirti quella notte.» Rimasi di sasso. «Due giorni prima, è stata messa una taglia incredibilmente costosa sulla tua testa. Al Formicaio, tutt'oggi, non si parla d'altro. Sapevo che sarebbe stata questione di tempo prima che qualcuno ti prendesse di mira.» 

Si posò le mani sui fianchi muscolosi. «Così ho ingaggiato quegli stupidi topi mannari e ho deciso di giocare d'anticipo. Ti ho rapito perché volevo mettere alla prova le misure di sicurezza delle guardie intorno a te. E poi, cosa più importante» mi rivolse un sorriso furbo «volevo vedere che genere di persona fossi. Capire se dovessi ammazzarti ed intascare la taglia, oppure se andare contro tutti e stare dalla tua parte.»

Mi sentii gelare il sangue nelle vene e ritrassi velocemente la mano. Sapevo che avrebbe potuto uccidermi per soldi, ma non volevo metterlo alla stregua degli uomini che mi avevano attaccato in carrozza o dello squalo mannaro. Sentivo che il Falco, nonostante i suoi modi di fare sanguinari, avesse qualcosa di diverso dai semplici criminali. Doveva esserci qualcosa di diverso. «E adesso l'hai capito?» domandai, sorpreso che non mi tremasse la voce.

Mi afferrò il polso, attirandomi di colpo vicino a sé, petto contro petto, faccia a faccia, ad un palmo dal suo naso. «Adesso ho capito molte cose, Taye.» Il suo odore di tabacco da narghilè e spezie mi invase come il migliore degli afrodisiaci, ma non lasciai che mi distraesse o che mi facesse abbassare la guardia. Il modo in cui mi scrutò - come se mi guardasse in fondo all'anima - accelerò il ritmo del mio cuore, fino a farlo diventare un tamburellare frenetico. «Ma ci sono ancora troppi elementi che mi mancano.» 

Volevo chiedergli cos'era che avesse capito, ma lui mi avvolse la vita fra le braccia e continuò: «La verità è che non so chi ti vuole morto. Per quante indagini io faccia, vengo costantemente depistato. Chiunque abbia messo la taglia sulla tua testa, è meticoloso. Ha usato talmente tante vie traverse da far perdere le proprie tracce. Ho torturato quei bastardi che ti hanno attaccato e l'unico risultato è stato scoprire che c'è uno schiavista nel palazzo e che, probabilmente, potrebbe c'entrare qualcosa con chi ti ha preso di mira. Ciò lascia immaginare che il colpevole si nasconda sempre dentro al castello.» Stirò le labbra carnose in un sorriso sardonico. «Quindi, eccomi qui.»

«Non mi hai ancora detto che cosa ci guadagni.» borbottai, con le palpebre strette. Non mi fidavo del Falco: ogni volta che abbassavo la guardia, faceva qualcosa di imprevedibile.  E intanto cercai di divincolarmi da quella stretta, anche se ora le sue mani mi stavano accarezzando morbidamente i fianchi, in maniera insidiosa. 

«Tu fai davvero troppe domande, principe...» snocciolò, continuando a sorridere con aria arguta, come se avesse sempre la vittoria in tasca. Se non avessi saputo che fosse un falco mannaro, avrei creduto fosse una specie di volpe. «Ti basti sapere che, se vuoi salva la vita, non ti conviene denunciarmi. Invece, fidati di me.» Per poco non scoppiai a ridere. Fidarmi era l'ultima cosa che avrei fatto e lui lo sapeva, vista l'espressione burlesca che aveva. Eppure, quando appoggiò le labbra nell'incavo fra la mia spalla e il collo, riempiendomi di brividi, quasi credetti di poterlo fare. «Adesso siamo una squadra.» 

«No che non lo siamo...» bofonchiai, malleabile fra le sue mani. Squadra o meno, adesso che era diventato la mia guardia, molte cose sarebbero cambiate. 

E forse, invece che al sicuro, sarei stato ancor più in pericolo di prima.


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