Regola n.17: sta' fermo
A volte sono i dettagli più vistosi che sfuggono all'occhio.
Quando tirai il cappuccio della mantella verso il basso e la folla poté vedermi in volto, nessuno mi riconobbe come il principe del regno di Smeraldo: la mia faccia e quella dei miei fratelli era spiattellata quasi ogni giorno sui giornali ma il fatto che io potessi essere lì, in quella città sotterranea fatta di dissolutezza e depravazione, era talmente assurdo da renderlo impossibile per loro.
Perciò non potevo essere io.
«AH!» esclamò il banditore, sgranando gli occhi che, adesso che gli ero vicino, potevo vedere avessero la pupilla sottile ed orizzontale, come quella di una capra. Era inquietante da guardare, ma quel dettaglio era nulla in confronto alla smorfia perversa che mi rivolse, afferrandomi immediatamente per il polso. «Offrirsi in cambio di due bambocci! E' proprio vero che gli Omega non hanno un cazzo nel cervello!»
Strinsi i denti soffocando un sibilo, mentre quello mi strattonava sul palco ed io cercavo di vedere dove fossero i bambini: in un angolo della caverna, il piccolo teneva la sorella dietro la propria schiena, mentre osservavano la scena spaventati. Intanto, il banditore mi aveva strappato via la mantella: avevo ancora i ricci umidi attaccati alla fronte e i pantaloni bagnati incollati alle gambe. A petto nudo, nell'oscurità di quella complessa rete di gallerie, sentivo persino un po' freddo.
Mi divincolai alla presa: volevo saltare giù dal palco, afferrare i gemellini e fuggire in cerca di una via d'uscita. Prima ancora che compissi un passo però, il banditore disse verso la folla di spettatori: «Tenetelo fermo!»
«NO!» urlai, mentre mi schiacciavano contro la piattaforma rialzata, due persone a stringermi le braccia e due a trattenermi le gambe, in quattro sopra di me. Non c'era bisogno di tutta quella premura, anche solo con due di loro mi sarebbe stato difficile, se non impossibile sfuggire. Immaginai fosse solo una scusa per mettermi le loro manacce addosso. «Lasciatemi immediatamente!» sibilai, agitando il collo e il bacino, le uniche cose che riuscivo a muovere.
«Ci hai fatto perdere tempo... E molto denaro.» esclamò il banditore, inginocchiato su di me, nel mezzo delle mie gambe tenute divaricate. «Il minimo che una sgualdrina come te possa fare è risarcire tutti quanti col suo corpo.» sogghignò, strisciando le dita sul mio petto nudo, pizzicandomi i capezzoli così forte da farmi gemere dal dolore.
«Fermo!» ringhiai, senza smettere di agitarmi. Se solo avessi potuto usare il tagliacarte... «Non sai cosa stai facendo!» La Regina avrebbe fatto ordinare di mozzare loro le mani solo per avermi toccato. In momenti normali l'avrei trovata una barbarie, ma in questo momento ero talmente furioso che me lo auguravo.
«So esattamente cosa sto facendo.» E per dimostrarmelo ordinò agli uomini che avevo intorno di chiudermi le gambe, in modo da potermi abbassare pantaloni ed intimo con un singolo strattone. Nudo sotto ai loro occhi, sapevo cosa sarebbe successo dopo, ma in nessun modo l'avrei permesso.
Presi un profondo respiro e mi concentrai: le gambe si sigillarono l'una con l'altra, mentre dalla pelle fuoriuscivano scaglie turchesi che si concludevano con una pinna finale, simile ad una mezzaluna. La mia coda, scivolosa, sfuggì dalle mani che mi forzavano contro al palco e schiaffeggiò il legno in movimenti spasmodici, in cerca dell'acqua.
«Ma che cazzo...» sibilò il banditore. Non avrei potuto trattenere quello stato per molto, senza acqua in cui immergermi, né avrei potuto mettermi a correre così. Non importava: mi limitavo a sfruttare i colpi di scena che si stavano svolgendo in quei brevi attimi.
Ruotai la testa in direzione dei bambini, cercandoli con lo sguardo. «SCAPPATE!» Perché se non potevano avere me, avrebbero preso loro. Un collerico ceffone mi piegò la faccia di lato, zittendomi, poi il proclamatore mi afferrò per le guance, prendendo dall'interno della giacca una boccetta. Qualsiasi cosa fosse, sentivo che non sarebbe stato niente di buono. Strinsi con forza le labbra, risucchiandole all'interno della bocca, mentre agitavo la faccia.
«Sta' fermo, stronzetto!» Premette la boccetta sulla mia faccia, strizzandomi le guance così forte che sentivo male, poi cambiò idea e mi tappò il naso. Avrei dovuto per forza aprire la bocca per respirare, ma resistetti, sbattendo con forza la coda contro al palco in segno di ribellione.
Poi, proprio mentre stavo per arrendermi e spalancare le labbra così da riprendere fiato, accadde. Esattamente come la prima volta che avevo incontrato Lui, vidi un guizzo argenteo. Poi, un coltello si conficcò nella gola dell'uomo che mi teneva bloccato il braccio destro. Il suo sangue mi schizzò sulla faccia. Il banditore mi mollò il naso e finalmente respirai a pieni polmoni: l'odore dei feromoni Alpha mi travolse tutto insieme, lasciandomi a boccheggiare stordito.
Gli uomini che mi circondavano, alla vista del loro compare che affogava nel proprio sangue lì al mio fianco, iniziarono a scappare. Uno dopo l'altro caddero a terra come tessere da domino: uno pugnalato il mezzo agli occhi, l'altro nella schiena, l'altro ancora in gola. Sbattei le palpebre, agghiacciato da tutta quella morte, ancora con la faccia sporca di sangue e la coda che si agitava sul palco. E finalmente Lui apparve.
Indossava un mantello scuro come la notte bordato di piume corvine. Il petto nudo, i pantaloni di pelle nera e gli stivali stringati al ginocchio lo facevano sembrare un Cavaliere Oscuro. Ricoprì la distanza fra il fondo della caverna e il palchetto in un batter d'occhio, fronteggiando il banditore con un pugnale per mano, ricoperte da guanti tagliati. Anche stavolta indossava una maschera, ma gli occhi diversi l'uno dall'altro scintillavano attraverso le fessure.
Il Falco. Il mio cuore sobbalzò.
«Che stai facendo, Gagi?» parlò con la sua voce cavernosa e sensuale verso il banditore, piegando le labbra in un sorriso che mi fece accapponare la pelle. Sembrava quello di un predatore che stava giocando col cibo. Il proclamatore, ancora inginocchiato sul palco sopra di me, scattò indietro come un bambino colto con le mani nel sacco. «Avevo detto a te e ai tuoi amichetti di smetterla con la tratta degli schiavi.» Sospirò, ma non sembrava per niente affranto, mentre faceva dondolare fra le dita abili i pugnali, neri anche quelli. Le impugnature avevano la forma di una vipera e di un cobra.
«Ma noi non-»
«Non c'è niente che non faresti per il denaro, vero?» lo zittì il Falco, incombendo sopra di lui. La sua ombra scurì il volto del banditore, che si era fatto pallido e ora tremava. Intanto, io strisciavo sui gomiti cercando di allontanarmi molto lentamente, senza dare nell'occhio. «Sfortunatamente, le tue dita per me non valgono niente, quindi non te ne staccherò un altro.» Mi si seccò il palato. «E poi, oggi hai perfino superato te stesso... Le dita non bastano per pagare.» Gli occhi del Falco saettarono su di me. Mi arrestai subito, bloccandomi come una statua di sale.
«E' stato lui! Quella puttana mi ha sedotto con i suoi feromoni e mi ha pregato di fotterlo! Mi ha pregato!!» gracidò Gagi - il proclamatore - fissandomi con gli occhi sgranati da capra e un ghigno terrorizzato mentre mi indicava con fare accusatorio. Rimasi a bocca aperta. Che lurido bugiardo! «E' colpa dell'Omega! E'... Argh!»
Lo stivale del Falco si era fiondato sul collo dell'uomo e ora lo schiacciava contro il palco, minacciando di schiacciargli e spappolargli la trachea. Tutto sotto ai miei occhi, mentre entrambi mi fissavano come un agnello sacrificale e la mia coda continuava a schiaffeggiare rumorosamente il legno. Non riuscivo a tenerla ferma, ero troppo agitato.
«Risposta sbagliata.» sibilò il corvino, premendo la scarpa sul collo dell'altro. Il banditore prese ad artigliargli lo stivale cercando di liberarsi da quella pressione pericolosa, ma senza successo. Gemeva e annaspava dal dolore. «E poi, Sua Altezza Reale non si tocca.»
Gli tolse la scarpa dalla trachea e il banditore tossì violentemente. Il mondo ballava sul filo del rasoio, mentre sia lui e che io osservavamo le mosse del Falco. Avevo un groppo alla gola, le mani sudate, il cuore che galoppava ed era difficile perfino respirare. Il criminale si voltò dandoci le spalle e camminando con fare pensoso con le mani dietro alla schiena, le due lame che si toccavano fra loro. Forse stava ponderando di risparmiare Gagi, visto che a quanto pare lo conosceva. «Ti prego! Non sapevo fosse lui! Abbi pietà, ti giuro che..!»
Non finì la frase. Il Falco si era già voltato e con un guizzo del pugnale gli aveva tagliato la gola da un orecchio all'altro. Il banditore stramazzò faccia in avanti in una pozza di sangue. Ce n'era così tanto intorno a me, talmente tanto che avevo preso a tremare irrefrenabilmente e avevo la nausea. Mi girava la testa e non riuscii a fare niente quando il Falco mi sollevò dal palco e mi gettò su una delle sue spalle muscolose.
«Mettimi giù! Assassino! Dannato assassino!» gridai, picchiandogli con forza la schiena, mentre lui scendeva dal palco senza dire niente, tenendomi il fianco con una mano per non farmi cadere. Penzolavo come un sacco di patate e con la pinna non facevo che colpirgli il petto, ma lui non batteva giglio, limitandosi a sbuffare una mezza risata divertita.
«Lo trovi divertente?! Sei un sadico!» urlai, divincolandomi. Ovviamente gli spettatori dell'asta clandestina se l'erano data a gambe alla prima uccisione, perciò nella caverna eravamo rimasti solo noi due. E, notai dopo, un individuo incappucciato che teneva per i polsi i due piccoli Omega terrorizzati, che cercavano di tirare via il braccino senza successo. Immaginai che fosse un secondino del Falco, visto che ci stava seguendo. «Non i bambini! Non osare far del male anche a loro!» Non sapevo se stavo parlando con l'incappucciato o l'Alpha che mi portava in spalla.
«Rilassati.» rispose lui, iniziando a camminare per le gallerie. «Sarò anche un dannato assassino, ma non di mocciosi.» disse, con una risata sprezzante, mentre superavamo un tunnel con tante alcove dove la gente fumava oppio. Intanto le mie gambe erano tornate normale e la mia nudità premeva contro la sua spalla, così come le mie natiche nude gli stavano a portata di guancia. Ora potevo fuggire.
Quasi avesse indovinato il mio pensiero, attorcigliò un braccio intorno alle mie cosce. Un'ondata di feromoni alpha - che ero sicuro avesse volontariamente rilasciato - mi stordì abbastanza da farmi accasciare contro al suo corpo. «Dove stiamo andando...?» mormorai. Non rispose. Ad ogni passo il suo corpo possente guizzava sotto il mio e i punti di contatto fra la mia pelle nuda e la sua mi dava alla testa. Riuscivo a soffocare l'eccitazione solo perché la paura la superava di gran lunga. E poi, dietro di me ci stava ancora tallonando l'incappucciato coi due piccoli, che mi fissavano con occhioni spaventati.
"Andrà tutto bene" mimai con le labbra, sorridendo rassicurante anche se ero io quello nudo, con le guancia livida per via del ceffone ricevuto, spaventato e fra le braccia di un famigerato criminale. Colui che, intanto, saliva gradini e sgusciava in quella rete sotterranea come se la conoscesse quanto le sue tasche.
L'odore sgradevole mi fece intuire che eravamo saliti fino alle fogne. Non mi lasciò andare nemmeno quando si trattò di salire una scala a pioli che conduceva ad un tombino: permise al suo sgherro di salire per primo coi bambini. Poi fu il nostro turno: spuntammo in una traversa che riconobbi subito, visto che era molto vicina al Palazzo d'Estate. Mi mise a terra, poggiandomi contro il muro.
«Ma chi sei tu?!» sibilai, coprendomi le nudità con le mani e tremando per il freddo. Freddo, paura e una strana sensazione di torpore che mi assaliva mentre i suoi occhi mi scandagliavano il corpo senza pietà, come se potesse guardare anche dietro alle mani con cui celavo tutto.
«Non fare domande di cui conosci già la risposta.» disse, con un sorrisetto tracotante, toccandomi la guancia col pollice in una sorta di dispettosa carezza. Poi però fece scivolare le dita sulla mia fronte. «Stai scottando.» Si tolse il mantello dalle spalle e me lo avvolse intorno al corpo, anche mentre io indietreggiavo e prendevo le manine dei bambini.
«Che razza di postaccio era quello? Perché mi hai attirato lì?» sibilai, arretrando verso l'uscita della stradina.
«Perché potessi vederlo coi tuoi occhi.» disse, col sorriso suadente, senza inseguirmi. I pugnali erano rinfoderati accanto ai fianchi e le braccia muscolose incrociate davanti al petto nudo.
«Vedere cosa, di tutti quegli orrori?!» ringhiai, sentendo l'indignazione montare. Voleva dimostrassi di che pasta fossi fatto, ma era lui ad avermi mostrato di che mondo scabroso faceva parte. Solo, non capivo dove volesse arrivare.
«Quello che la mammina ti ha sempre nascosto.» Non smise di sorridere, mentre io sgranavo gli occhi. Fece un passo avanti. «Prova a chiederglielo.» E un altro, ancora, finché non mi fu di fronte. I bambini si nascosero dietro di me. Il Falco incombeva ed io ero come congelato. Cosa c'entrava mia madre? Le sue labbra scivolarono fino al mio lobo, lì dove sussurrò: «Prova a chiederle il perché.»
Lo spintonai via, ma era come colpire un muro di mattoni. «Sei un bugiardo!»
«Un bugiardo e un dannato assassino, ma che ti ha salvato la vita...» Rise, raddrizzandosi la maschera sul viso. «Ci rivedremo molto presto, principe.»
Si voltò di spalle e fu allora che dalle sue scapole fuoriuscirono delle enormi e maestose ali piumate, corvine ma ricche di screziature grigio fumo, esattamente come quelle di un Falco nero. Rimasi a bocca aperta, impressionato davanti a quello spettacolo.
Il suo sgherro si era già dileguato e a lui bastò sbattere le ampie ali per spiccare il volo e sparire fra i tetti di Samarcanda, lasciandomi solo coi due bambini, febbricitante e stordito.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top