[ˢᶤᵈᵉ ˢᵗᵒʳʸ] 1. Se parli, sei un Omega morto


La sua mano sporca premette contro il mio viso. Sapeva di metallo. Metallo, sangue e fango, e mi soffocò mentre mi tappava le labbra e quasi mi copriva il naso, impedendomi di respirare. Cercai di urlare dentro la sua presa, cercai di scalciare, ma ero troppo debole, e l'orrendo beta col grugno da porco sulla faccia - maiale mannaro - aveva delle manone giganti. 

Diedi fiato alla gola, fino a farmi gonfiare le vene sul collo, artigliando il suo polso e agitando le braccia, ma mi avvinghiò con una forza che mi spezzò il fiato. Forse, stringendo di più, mi avrebbe ucciso lì sul posto. Mi avrebbe rotto le costole, o spezzato l'osso del collo. E nessuno l'avrebbe mai saputo. A nessuno sarebbe importato.

«Se parli, sei un Omega morto.» grugnì nel mio orecchio in un sussurro basso e minaccioso. Quelle parole mi trapassarono con un brivido gelido, un tremore acuto che mi fiaccò e mi fece afflosciare, annullando tutti i miei tentativi di lotta. «E ricorda che se io cado, tu cadi con me. Non avrai più niente al mondo, puttana.» sussurrò, con una risatina maligna. «Finirai a battere in mezzo alla strada ma nessuno ti vorrà, e morirai di fame.»

Quella prospettiva fece raccogliere lacrime di disperazione nei miei occhi. Che il mio magnaccia avesse ragione? Mi aveva sempre dato il cibo necessario a sopravvivere, un buco in una grotta dove dormire, e a volte puniva i clienti più violenti per impedire che mi uccidessero. Si assicurava anche che non rimanessi gravido. Non era un padrone così terribile, mi picchiava soltanto quando mi rifiutavo di lavorare.

Il clangore lontano delle spade, il fischio delle frecce e l'urlo degli schiavisti mi diede uno scossone mentale. Che cosa mi importava di sopravvivere nel Formicaio, se potevo vivere in superficie?

Avevo passato anni in un buco sotterraneo senza nemmeno poter uscire a guardare il sole, anni a svendere il mio corpo in cambio della vita, a lasciarmi umiliare, violare e picchiare. Avevo passato anni interi a sperare che, un giorno, qualcuno si sarebbe ricordato della mia esistenza e mi avrebbe restituito la libertà. E finalmente, finalmente erano venuti a distruggere questo posto.

Stavano attaccando il Formicaio.

Molti criminali, però, conoscevano il fitto dedalo di cunicoli che si distendevano come una ragnatela sotto Samarcanda e stavano fuggendo più velocemente di quanto le guardie riuscissero a fermarli. Il mio padrone era uno di loro: conosceva sentieri, scorciatoie e nascondigli. Sarebbe già scappato, portandomi al guinzaglio con il resto dei suoi schiavi, ma uomini armati avevano circondato la zona da tutte le parti e la stavano mettendo a ferro e fuoco.

Perciò, mentre schiavi più fortunati si erano messi in salvo, io ero stato acciuffato ed ora ero nascosto in una striminzita insenatura celata fra le rocce, appena visibile: già solo per entraci bisognava strisciare. Faceva venire la claustrofobia, e il mio disgustoso magnaccia era grasso e viscido. La sua pancia gonfia mi premeva contro la schiena e mi spiaccicava contro la parete di roccia che avevo di fronte.

Non c'era molto spazio per muoversi. Avevo paura che saremmo rimasti incastrati lì per sempre. Certo, se vivevi nel Formicaio imparavi a dimenticarti cosa fosse la claustrofobia, ma quello era molto peggio. Ero attorcigliato nelle sue braccia sudate, schiacciato fra le rocce, nascosto in un cunicolo. La cosa più terribile era sapere quanto i miei salvatori fossero vicini, eppure quanto lontani dal trovarmi. 

Così vicini.

Se fossi riuscito ad urlare, forse ci avrebbero individuato. Riuscivo a sentire lo scalpiccio di passi che si avvicinavano. Urla e rumori che rimbombavano in una eco tutta intorno a noi. Fu il segnale che mi servì per ritrovare la forza di lottare. Mi agitai, piantai i gomiti nella sua pancia, gli pestai i piedi e agitai le braccia. 

A quel punto, la sua mano scivolosa mi circondò la gola, mentre con l'altra continuava a tenermi le labbra tappate. «Ti avevo detto che ti avrei ammazzato. Posso sempre trovare un altro Omega.» sibilò. Ero il suo unico schiavo Omega, ecco perché aveva lasciato che gli altri fuggissero ma era stato molto attento a non perdere me. Valevo di più.

Se per uno sciocco momento avevo pensato che non mi avrebbe fatto del male, per via dei suoi affari, adesso che stavo soffocando, mi ricredetti. Iniziai a prendere a calci la parete davanti a me, artigliandogli la mano. Poi gli affondai i denti nel palmo, così tanto in fondo da sentire il sapore acre del suo sangue in bocca. Ringhiò un verso di dolore.

 «AIUTATEMI! SONO QUIII!» Non era proprio un urlo. Piuttosto pareva un miagolio distorto, perché il fiato mi passava a stento attraverso la gola, stritolata nella sua presa. Mi mancava l'aria e il campo visivo iniziava a riempirsi di tanti piccoli pallini danzanti, bianchi e neri. 

Morirò, mi resi scioccamente conto. Moriròmoriròmorirò. 

Il terrore e lo shock mi diedero l'ultima scarica di adrenalina. Graffiai, urlai, diedi pugni, gomitate e calci. Non potevo fermarmi finché l'ultimo respiro non avesse abbandonato il mio corpo. Perché io volevo vivere. Volevo essere libero. Volevo una vita vera

Poi, una mano artigliata spuntò attraverso l'insenatura di rocce in cui c'eravamo ficcati. Riuscii a vedere a stento il suo proprietario, prima che il mio magnaccia venisse afferrato per un braccio e tirato fuori dal nostro nascondiglio con uno strattone violento. Venni sballottato fuori anche io: caddi a terra rotolando.

Rimasi giù, carponi. Stordito, con la gola rossa e dolorante, la bocca insanguinata per i morsi, a tossire e a riprendere fiato. Il maiale mannaro lanciò un grido terribile ed io alzai la testa di scatto, con l'orrore dipinto sul volto, quando spruzzi di sangue mi finirono in faccia e sugli stracci che indossavo. Una spada lo aveva appena infilzato da parte a parte e la punta della lama sporgeva da dietro alla sua schiena.

L'arma venne ritratta, il corpo del beta crollò davanti a me, senza vita. Solo un cadavere sbudellato, accompagnato dall'orrendo puzzo di sangue e morte. Avrei dovuto essere terrorizzato. Avrei dovuto urlare. Invece non sapevo se piangere commosso o ridere di gioia. Lo stronzo era morto.

Quelle sensazioni scemarono nel preciso istante in cui sentii un profumo. Un odore irresistibile. Mentolo e ginepro nero e... ghiaccio, se avessi potuto percepirlo con l'olfatto. Ma quello non era un semplice profumo. Erano feromoni Alpha e davano alla testa, inebriavano. 

I miei occhi strisciarono lentamente dalla punta della spada insanguinata alla mano artigliata che la stringeva. E poi più su, lungo il braccio muscoloso, sulla casacca blu notte, verso i capelli biondo platino che gli sfioravano le spalle e poi sul volto di quello che era l'uomo più bello che avessi mai visto. 

Spiriti, quanto era bello.

Sottili occhi di ghiaccio, labbra così perfette da sembrare cesellate e una leggera fossetta sul mento. Perfino le lunghe ciglia erano chiare. Era etereo, eppure sembrava forte e spietato, ruvido come la pietra. Uno sciocco pensiero si fece strada dentro la mia testa, come se qualcosa di profondo e nascosto dentro di me si fosse appena risvegliato, dopo lunghi anni di sonno. Una parte animale che era stata sottomessa con dolore, che adesso si innalzava timidamente e si chiedeva...

... Compagno? 

O forse era solo lo shock di essere davanti al mio salvatore. 

«Ti ho sentito, Omega.» fu la prima cosa che mi disse, con un forte accento che non avevo mai sentito fra i frequentatori o gli schiavi del Formicaio. "Ti ho sentito", perché lui era un Alpha. Aveva un udito migliore degli altri... E se non fosse stato per lui, forse sarei rimasto incastrato in quella nicchia col mio padrone. Che ora era morto. 

Tremai forte, rendendomi improvvisamente conto di quel dettaglio. «E' finita.» disse il biondo. «L'evacuazione è quasi completa. Usciamo di qui.»

Uscire? Uscire sul serio? 

L'idea mi destabilizzò al punto che non riuscivo a muovermi. Non riuscivo a parlare. Ero solo seduto a terra, come pietrificato nel mio stesso corpo, e il mio aspetto era solo un pallido indizio rispetto a ciò che avevo passato. La pelle color caramello era piena di lividi e ammaccature, i miei capelli - lisci e neri con delicati riflessi ramati, corti sino alle orecchie da lince - erano sporchi e scarmigliati. Avevo gli occhi neri iniettati di sangue, la gola gonfia e vestivo stracci luridi.

L'Alpha mi guardò, una lunga occhiata silenziosa, poi avanzò lentamente, con la grazia di un predatore che si avvicina con cautela alla preda per non farla fuggire. Si inginocchiò davanti a me e, con una delicatezza inaspettata, mi pulì il sangue dalla faccia con la manica della sua casacca. Il mio istinto gridò di nuovo "compagno, compagno!

«Come ti chiami?» chiese.

Aprii le labbra, ma le richiusi un istante dopo. Non mi uscivano le parole. Le emozioni mi attraversavano e mi scorrevano addosso come un fiume in piena. La prigioniera era finita. Il maiale era morto. La libertà mi attendeva. E in tutta quella situazione, non riuscivo ad abbandonare lo sguardo di quegli intensi occhi di ghiaccio.

«Io sono Jörvar.» riprese lui, con un tono estremamente calmo e pragmatico. «Riesci a camminare?» Avevo voglia di correre come un pazzo verso la libertà, ma, mi resi conto, le gambe non volevano rispondere ai comandi. Ero troppo sbigottito. Perciò scossi la testa. «Mi permetti di toccarti?»  

Le mie orecchie feline ebbero un sussulto. La mia mente venne attraversata dalla visione fugace di mani viscide che mi strappavano di dosso i vestiti, che mi ghermivano, mi schiaffeggiavano e che facevano cose ancor peggiori. Ma i suoi occhi di ghiaccio mi guardavano ancora, in attesa. Tranquillizzanti. Mi aveva salvato, lui mi aveva salvato. 

Perfino il suo odore era un balsamo per il mio cuore spaventato. Perciò annuii e lui, senza altri giri di parole, rinfoderò la spada e mi cinse con un braccio intorno alle spalle e uno sotto le ginocchia. Sollevato, contro il suo petto, come un principe ferito scortato dal suo cavaliere.

Guardie e soldati sciamavano intorno a noi, alcuni caricarono il cadavere del mio magnaccia su una cassa, altri tenevano legati schiavisti e li trasportavano avanti ed indietro. Ma l'evacuazione era veramente alla sua fine, perché il Formicaio era già quasi vuoto. Di sfuggita mi sembrò di sentire che volessero usarlo come prigione, o come avamposto militare. 

Jörvar seguì i cunicoli che conducevano verso l'esterno, sentieri che se all'inizio mi erano familiari, poi diventavano via via sconosciuti. Li avevo percorsi solo una volta, quando ero stato portato con la forza nel Formicaio, anni prima. Non avrei saputo stabilire quanti, perché il tempo era uno strano concetto in un posto dove non vedevi mai sorgere o tramontare il sole, dove non ti davano un calendario o un orologio. 

Sapevo, però, che quando ero entrato ero solo un bambino.

L'Alpha si infilò in una stradina che saliva, la pietra iniziò a diventare più chiara, sabbiosa rispetto al rugginoso colore del Formicaio. Poi, i primi frammenti di sole iniziarono a picchiettare il pavimento. Pulviscolo d'oro e una tromba di scale che salivano, in una cornice di grotte che si aprivano ad arco sul mondo esterno. 

Il biondo salì l'ultimo gradino, mentre il mio cuore iniziava a battere più forte. Molto più forte di prima. E finalmente lo vidi.

Cielo azzurro sconfinato - infinito, senza limiti, in maniera sconcertante - e un sole enorme che brillava e accecava, illuminando ogni cosa di dorato. Di fronte a me il deserto. Deserto, cammelli, tende, persone, guardie. Davanti a me libertà, gigantesca libertà, che mi veniva offerta senza chiedere niente in cambio.

Il nodo di pianto che mi si era formato in gola si sciolse. Lasciai andare le mie lacrime, i miei singhiozzi e la mia voce, mentre il braccio di Jörvar mi nascondeva alla vista di chiunque altro, dandomi una privacy che non avevo mai avuto. 

Fra i singhiozzi, sussurrai: «G-grazie... per avermi sentito.»

Ed ebbi l'impressione che le sue mani mi stringessero più forte.








*N D A*


Hola a tutti!
Primo capitolo della storia extra, che non so quante parti avrà, ma saranno pochine, giusto un antipasto prima dell'arrivo della storia di Taro.
Spero vi piaccia, alla prossima! <3

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