PROLOGO
Ad Emanuel,
che da quando ci conosciamo
mi ha sempre sostenuta
ed ispirata a scrivere.
Piangeva. Di notte piangeva, eppure non lo diceva a nessuno. Aveva paura di venir giudicata, anche di venir derisa in certi sensi, perché di notte era debole.
Sul cuscino lasciava cadere la sua maschera, quella che portava tutti i giorni, anche con le sue migliori amiche per l'assurdo, perché aveva paura.
Aveva paura che gli altri potessero vederla per quello che è realmente: una ragazza che ha tanto bisogno di... non di aiuto, ma di qualcuno che fosse disposto ad ascoltarla anche quando farneticava, quando era in preda ad una crisi, quando non riusciva a mettere le parole una dietro l'altra e quindi balbettava, quando era esaltata per qualcosa, o per un bel voto a scuola o per una nuovo evento nella sua seria TV preferita, quando aveva semplicemente voglia anche distare in silenzio, senza che questo diventasse pesante o imbarazzante.
Aiuto non ne chiedeva, aveva paura che le fosse negato o che le fosse data l'illusione di un aiuto, oppure che la gente la considerasse fragile.
Ai suoi genitori non parlava, erano troppo occupati ad azzuffarsi ed accapigliarsi fra loro, a litigare per cento dollari messi in meno dal padre nelle spese straordinarie piuttosto che ascoltare la loro unica figlia naturale.
Al suo fratellastro non parlava, era forse fin troppo grande per capire che la sorella non stava bene, che se rifiutava le sue piccole attenzioni non era per cattiveria, ma perché aveva bisogno di altro.
Alle amiche non parlava.
Non che non volesse sfogarsi con le sue "sorelline", come le chiamava lei, ma non potevano capire.
Forse potevano provarci, ma nemmeno con tutta la buona volontà di questo mondo avrebbero potuto capire lei e la sua situazione.
Ai nonni non parlava, una troppo occupata ad avere sempre tutti i mali del mondo, l'altro che purtroppo doveva correrle dietro.
Gli altri nonni non li aveva più, e parlare davanti ad un paio di tombe non le pareva il caso, anche se aveva l'impressione che a volte potessero capirla più loro chiusi dentro una bara sotto sette metri di terra di quanto non potessero farlo le persone con cui stava tutti i giorni.
L'unica persona con cui a volte parlava era sua zia, la sorella di sua madre, ma la vedeva talmente poche volte all'anno e troppo poco tempo che non poteva dirle tutto.
Nonostante ciò, erano diverse: ad una piacevano solo le donne, all'altra anche i ragazzi, ed anche per questo non poteva dirle tutto.
Non avrebbe capito i sentimenti soprattutto contrastanti che nutriva verso gli uomini, non li avrebbe mai capiti.
Di notte piangeva, ma non perché fosse triste.
Piangeva perché si sentiva sola anche in mezzo ad una folla,
si sentiva sola nell'abbraccio di sua madre,
si sentiva sola anche se stava in mezzo ad altri sette miliardi di persone,
e non avrebbe mai potuto immaginare che la persona che più l'avrebbe capita l'avrebbe conosciuta per caso, cadendogli addosso nel tragitto in autobus per tornare a casa.
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