Capitolo uno


La vita è imprevedibile, ogni giorno ti sorprende. Puoi pianificare quanto vuoi la tua vita, ma certe cose arrivano senza preavviso e ti portano via, ti trasportano come farebbe il vento con una piuma. Ed è esattamente quello che mi è accaduto nei miei diciotto anni ricchi di momenti di felicità, tristezza, delusione, speranza e depressione. Man mano le persone che amo mi sono sfuggite dalla mano, non ho avuto neanche il tempo di salutarli né di memorizzarli bene nella mia memoria per poterne portare almeno il ricordo, ricordarne l'immagine, è sofferente, ma nella vita non bisogna mai lamentarsi. Mi ricordo che nel secondo anno delle superiori, una professoressa ci diceva sempre che dalle persone bisogna ottenere la stima, non la pietà, in quel momento non ne capivo il senso, o almeno, ascoltavo ma senza percepire per davvero e riflettere su quelle parole. Ero immersa nel mondo del dolore e la sofferenza, ho smesso di sognare, mi alzavo la mattina con lo scopo di ritornare a letto la notte, per poi dormire tardi dopo aver tentato di cercare conforto nel mondo virtuale, e risvegliarmi. In quel periodo, conobbi una persona stupenda, il mio migliore amico che nonostante la distanza, mi ha strappato sorrisi e risate, pian piano incominciai a crescere e maturare, la voglia di vivere iniziò a seminarsi pian piano nel mio cuore, iniziai a trovare più cose positive possibili, in mezzo ai volti sofferenti delle persone del mio paesino. Iniziai ad essere più presente nella vita delle persone che abbandonai nel momento più buio della mia vita, e quando vidi quanto sono contenti del controllo che presi di nuovo sulla mia vita, capii il senso delle parole della mia professoressa.

Il mio paesino, non è come gli altri. È un eccezione. Di solito quando si dice paesino, si pensa alla vita in mezzo alla pianura, i fiori e aria pulita, e in effetti il mio era così un tempo, da quel che mi ha raccontato nonna, però da una decina di anni non lo è più. È diventato il posto più sconsigliato, a volte ci svegliamo la mattina e respiriamo gas, persone che perdono i sensi, altri più fragili muiono.. purtroppo, mi ci sono abituata. All'inizio mi chiedevo perché, ero piccola, non capivo che l'essere umano era cosi terribile, mia zia mi diceva che quelli più grandi di me facevano brutti scherzi e giocavano in questo modo, e così giustificavano il perché non mi facevano uscire di casa.. per intenderci, per casa intendo uno spazio di sei metri quadrati. Poi crescendo capì che non era un gioco, era questione di vita e morte. Zia era un insegnante, fu lei a insegnarmi come leggere e come scrivere, ho letto con lei qualche libro infatti è proprio lei che mi ha trasmesso la passione della lettura. A scuola incominciai ad andare a otto anni, quando ero abbastanza capace di scappare e fuggire via quando era necessario. Perché si.. anche nelle scuole, licei e università venivano lanciate queste bombe di gas di tanto in tanto.

Ho perso papà all'età di quattro anni, mamma mi diceva che era partito e che di tanto in tanto la chiamava e gli diceva di salutarci però crescendo io e mio fratello Amir, abbiamo insistito perché non era possibile che non lo prendevano mai mentre era a telefono, abbiamo pensato addirittura che ci avesse abbandonato, ma poi mamma ci svelò che era partito per sempre da questo mondo.. e noi capimmo.

Poi dopo la vita ci portò via anche mamma, con la differenza che qualche volta di sfuggita mi sembrava lei, poi scompariva. Ed era cosi per tutti, poi ci arrendemmo ma quel dubbio è sempre rimasto.

< Ahed! > una voce mi suonò forte nelle orecchie.

< Ehiii! Vedi che almeno le orecchie mi funzionano ancora, non sono sorda. > risposi annoiata

< Come no.. ti sto chiamando da un bel po' ma mi sembravi in modalità aereo, a che pensavi? > mi chiese fissandomi negli occhi a mo di rimprovero, ma da un lato anche preoccupato.

Amir è il mio gemello, l'unica persona che mi è rimasta, l'unica spalla su cui posso appoggiarmi.

< Niente di che.. cosa vuoi dirmi a quest'ora? Dovresti essere a letto > gli risposi evitando la domanda che mi ha fatto.

< Anche tu saresti dovuta essere a letto > giustamente. < Comunque, ti va di uscire un po'? La situazione è abbastanza serena fuori, sono tre giorni che non esci. Ti aspetto fuori > mi disse prima di dirigersi verso la porta.

Stavo in tuta, quindi mi misi soltanto le scarpe e lo seguii subito dopo.

Appena uscii una folata di vento mi mosse i capelli che non persero occasione per cecarmi gli occhi. Amir mi stava aspettando, mi strinse per mano e iniziammo a camminare.

Faceva un po' freddo, infatti la tuta che mi ritrovavo addosso faceva ben poco. Amir avrebbe dovuto notar che tremavo perché si sfilò la felpa e me la fece mettere, poi mi posò la mano attorno alle spalle e mi strinse attorno a se.

< Non senti freddo ? > gli chiesi voltando un po' la testa verso di lui per guardarlo.

I nostri occhi si incrociarono, mi diede un bacio in fronte, è il suo modo per dirmi quanto sono importante per lui e poi mi disse : < con te nella mia vita, non ho mai sentito freddo > e mi sorrise.

Per lui ero tutto così come per me lui era tutto. La vita ci ha tolto pian piano tutto, anche la casa che poteva proteggerci in un certo senso, è caduta dopo un bombardamento. Fortunatamente, un amico di mio fratello ci ha ospitati a casa sua, altrimenti non so in che condizioni saremmo stati adesso.

Le vie erano deserte, si sentiva il rumore che il contatto delle nostre scarpe provocava con il suolo, quasi tutte le luci erano spente, tranne per qualcuna. Era l'inverno, così triste, forse l'unico momento dell'anno che combaciava con l'umore di tutte queste persone sole, malinconiche e sofferenti. Ci sta chi ha perso davvero tutti in famiglia, letteralmente, e pensandoci a volte mi ritengo fortunata ad avere una persona che mi ha accompagnata sin da quando ero nella pancia della mamma, a respirare insieme, nascere insieme, dormire vicini e come in questo momento darci coraggio e affetto a vicenda. Nonostante avessimo la stessa età mi faceva sentire una bambina, mi ha sempre protetta, e si è sempre incolpato per qualsiasi lacrima che mi è scesa anche se sapevamo entrambi che non era colpa di nessuno. Probabilmente, era il suo modo per sfogarsi, ma mi faceva stare male vederlo così. Era fragile e debole, ma doveva fingere di essere forte per me.

Mentre camminavamo, lo vedevo pensieroso, immerso nei suoi pensieri. Chissà a cosa pensava.. poi mi resi conto di dove stavamo andando. Era la via che portava verso il cimitero.. verso papà.

< Amir > lo chiamai

< Piccola > si fermò, sciogliendo il braccio che mi stringeva ma senza mai lasciarmi perché subito dopo mi prese la mano e mi attirò a sé per poi abbracciarmi.

Per quanto mi sforzai a non cedere, le lacrime iniziarono a scendere da sole.

< Shhh > solo questo mi disse, perché parole da dire non ce n'erano. < Forza vieni, ti devo dire anche una cosa importante > si allontanò il giusto, per cancellare le lacrime e prendermi in braccio.

< Ma non sono una bambina!! Fammi scendere daii! > provai a scendere ma alla fine mi arresi, era inutile è più forte di me.

< Quando fai così dubito> mi disse ridendo

< Di cosa ? > gli domandai non capendo

< Che non sei una bambina > disse ridendo, pur sapendo che non era il momento per farlo. E sorrisi..

Sorrisi perché nonostante tutto, avevo un motivo per sorridere.

Misi la testa sulla sua spalla e lo abbracciai, beandomi quell'attimo di felicità nonostante dove ci stavamo dirigendo.

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