Capitolo 16

La professoressa di letteratura entrò nella classe con uno sguardo severo, non rideva come suo solito e intorno a lei aleggiava un silenzio tombale spaventoso, bussò piano alla porta e fece solo un cenno di saluto al suo collega di scienze che aveva lo stesso umore, gli alunni sentivano che qualcosa non andava ma non osavano chiedere, l'unica cosa che al momento suonava era che Zacchy non era presente. L'insegnate di letteratura si fermò di fronte alla cattedra, in mano aveva un foglietto piegato in quattro e il suo volto scuro pietrificò chiunque, solo in pochi riuscivano a reggere il suo sguardo, il resto delle persone si concentrarono sul foglietto; il docente di scienze sospirò, si grattò la fronte e abbassò la testa quando la professoressa guardò il banco vuoto, solo allora i più intelligenti si resero conto che era successo qualcosa e che riguardava la loro classe, ma doveva essere successo qualcosa di davvero orribile perchè quella giornata fosse così cupa e strana, tutte le classi sembravano avere paura di arrivare alla fine delle lezioni. L'insegnate si schiarì la voce, guardò il foglietto, rialzò lo sguardo inspirando profondamente e poi disse: "Ho delle comunicazioni da darvi, e non sono per nulla piacevoli."
Tutti si guardarono gli uni con gli altri, e sorprendentemente anche Troy in quel momento iniziò a sudare freddo, non sapeva dire perché ma sentiva che stava per succedere qualcosa di davvero brutto a lui e ai suoi amici. La professoressa continuò: "Voi non avete notato nulla di diverso oggi?"
Nessuno rispose.
"Broyle, a te che piace tanto parlare, dimmi cosa noti di strano di in questa classe." Il suo tono sarcastico fu così tagliente che a Carly vennero i brividi, si alzò in piedi, si guardò intorno e fermò gli occhi sul banco di Zacchy, vuoto, poi sospirando disse con voce tremante: "Andres non è presente prof."
"Esatto, vero, e mi sapete dire il perchè?"
Carly si risedette dato che la domanda era rivolta a tutti, le tremavano le mani e sentiva come una gran voglia di piangere. Nessuno parlò però, sembravano riflettere sul perché Zacchy non ci fosse, Lisa alzò timidamente la mano e, sentendo la sua malattia l'unica risposta plausibile, disse: "Per caso gli è successo qualcosa? Si è sentito male?"
"Gli è successo qualcosa." Fece eco la professoressa, "Si, questo e il termine giusto. Ma no, non come la pensi tu." Poi girando lo sguardo fermo i suoi occhi carichi di rabbia su Troy che smise di respirare; cambio posizione e assumendone una ancora più severa, braccia incrociate al petto, foglietto proprio sotto al mento bene in vista e la testa inclinata di lato, la classica posizione che gli adulti assumono quando hai fatto qualcosa di sbagliato e stanno per dirti cosa.
"Sigrif, hai una vaga idea di cosa sia successo?"
"Dice a me?"
"C'è qualcun'altro col tuo nome per caso?"
"No, direi proprio di no."
Troy abbassò la voce e lo sguardo insieme rispondendo a quella domanda, poi giocherellando con le pellicine delle dita cercò di dire: "Non lo perchè Andres non c'è."
"Ah no? Ne sei proprio sicuro?"
Troy fece spallucce tenendo lo sguardo basso, per la prima volta la classe vide quanto fragile poteva essere davanti ai docenti, quanto poteva essere piccolo di fronte a qualcuno più spaventosi di lui; anche Arthur, di fianco a lui, non osava parlare e dentro di sé sperava di non venire interpellato, la professoressa rimase in attesa di una risposta da Troy che però non accennava a parlare, così per prendere tempo si spostò verso Albert facendogli la stessa domanda: "E tu Maylor? Sai perché Andres oggi non c'è?"
"E malato forse?"
"Il vostro compagno e sempre malato, sempre se vi ricordate la sua patologia ovviamente." Precisò la professoressa alzando le mani, poi capendo che nessuno sapeva o voleva sapere io perché decise di togliere io velo di mistero che aleggiava tra loro, sospirò pesantemente e disse: "Ragazzi, ieri pomeriggio Zacchy Andres, il vostro compagno di classe, ha tentato di suicidarsi."
Quelle parole schiacciarono tutti, schiacciarono Carlo e Lisa che nonostante lo avessero quasi sempre ignorato non gli avevano mai fatto nulla se non parlargli alle spalle, schiacciarono Albert e i ragazzi della squadra e soprattutto schiacciarono Troy che iniziò ad ansimare, a sudare, a impallidire e iniziò a sentirsi davvero male; con un filo di voce, gli occhi pieni lacrime e le labbra tremanti chiese: "Come suicidarsi?"
"Te lo richiedo Sigrif, ne sai forse la ragione? Sai forse perché posa aver tentato una cosa del genere?"
"Io non lo so... cioè si ma non pensavo... io non..." Troy non riusciva a formulare una frase normale, nel suo cervello non si commetteva nemmeno una parola sensata. La professoressa a quel punto spiegò il foglietto che si rivelò la foto modificata da Troy e da altri ragazzi, la guardò per qualche secondo e poi la girò e la mostrò alla classe rimanendo sempre con lo sguardo su Troy: "Questo è tuo?"
"Si signora."
"E vedo che ti sei anche impegnato, non hai fatto nemmeno un errore di ortografia. Peccato solo che il tuo impegno dia servito per creare ciò, ne sei orgoglioso?"
"Ora non più prof."
"Ora? E prima si?"
"Be' credo."
"Sigrif, non hai pensato nemmeno per un secondo a come questa immagine avrebbe fatto sentire Andres?"
Troy non rispose, ma certo che no, perché avrebbe dovuto. Se ci avesse davvero pensato quella foto non sarebbe mai apparsa, niente di tutto quello che era successo prima non sarebbe mai accaduto, non lo avrebbe mai insultato, spinto, deriso, niente. Se solo ci avesse davvero pensato. Era strano ma sembrò che solo un quel momento Troy aprì gli occhi e riuscì a vedere quello che era diventato, a vedere quello che aveva fatto e le conseguenze che stava pagando, lui e altri ragazzi. Scosse la testa per rispondere alla prof, si morse il labbro e diede un veloce sguardo ai suoi amici come per far capire alla prof di non essere l'unico responsabile, ma forse non era il caso di dirlo sua perché la docente già lo sapeva e sia perchè tanto non era importante. La professoressa appoggiò la foto sulla cattedra con la parte dell'immagine verso il legno per nasconderla, poi tornando dai suoi alunni iniziò a dire: "Ve lo ricordate il primo mese di scuola? Quando vi ho chiesto di presentarvi, di conoscervi meglio? Vi ricordate che cosa ha detto Andres? La prima cosa in assoluto che ha detto?"
"Ha detto di avere una malattia del sangue." Rispose Lisa alzando la mano ma non la testa.
"Esatto Berpy, esatto. Ha detto di avere la profiria, una malattia del sangue, ha detto che cosa gli comporta, come questa malattia gli cambia l'aspetto e altre cose. Ora io vi chiedo, di tutto quello che ha detto a voi che cosa è arrivato?"
Nessuno rispose.
"Ve lo dico io che cosa vi è arrivato." Continuò l'insegnate, "Niente. A voi non è arrivato niente, ma dico io, come fate a ridere? Come fate trovare questo orrore divertente? Non ci pensate a lui? A quello che vive tutti i giorni, a quello che provava per colpa vostra?"
"Ma prof se è malato mica è colpa nostra." Si affrettò a dire Carly, tutti la guardarono feroci, insegnati compresi, la docente sbarrò gli occhi incredula: "Scusami? E questo vi giustifica? Questo dovrebbe giustificare il vostro vile comportamento?"
Carly non disse più una parola, nessuno parlò più, in quel preciso momento Troy desiderava scomparire sotto il pavimento. La professoressa guardò il suo collega, poi tornando con lo sguardo verso gli alunni disse: "Comunque sono stati presi dei provvedimenti, tutti i diretti responsabili verranno sospesi per una settimana e il concerto di fine anno è stato annullato, per quanto riguarda quelli che praticavano sport verranno avvisati a fine lezione di quello che è stato deciso per loro. È tutto."
Qualcuno cercò di prestare in silenzio, gli altri invece non mossero più nemmeno un muscolo. Per quelli che facevano parte della squadra di football non era tanto difficile immaginare che cosa li aspettava, speravano solo che sarebbe finito tutto subito. L'insegnate prima di uscire disse che erano già stati avvisati tutti i genitori e che erano stati i genitori stessi a decidere delle sorti dei figli.

Zacchy ed Henry non si parlavano ancora, uno perchè era ancora depresso e si vergognava e l'altro perchè si sentiva ancora ferito, Zane rimaneva fuori da quel problema ed era libero di fare quello che voleva, ma per correttezza si era staccato dal gruppo per un po'. Annabeth continuava a telefonare a zia Katherine al lavoro per cercare di aiutare i ragazzi a riconciliarsi ma anche Katherine faceva fatica a discutere col figlio, Henry era diventato molto scontroso da quel giorno con tutti, era anche tornato a ignorare sua sorella cosa che non faceva da ormai cinque anni, in pratica erano tutti disperati. Anche Michael cercava di fare la sua parte, ma aveva concluso in fretta che questa discussione dovevano finirla i due cugini. Erano ormai passate tre settimane dal suo tentato suicidio, dai provvedimenti scolastici di cui Zacchy non era per niente a conoscenza e dalla discussione con Henry, tre settimane piene solo di dolore e sembravano addirittura infinite.
Alla fine Zane si stufò di tutto questo, gli sembrava assurdo che il loro gruppo così agguantato potesse sciogliersi così facilmente, così decise di risentire Zacchy che comunque era messo male, da cugino era suo dovere stargli vicino. Gli massaggiava e Zacchy rispondeva tipo mezz'ora dopo ogni volta, ma andava bene così, erano messaggi brevi ma almeno poteva sentirlo: 'Hey ciao, come stai oggi?' (16.00)
'Ciao... come sempre... uno schifo.' (16.30)
'Come vanno le lezioni online? Sono meglio della scuola normale?' (16.30)
'Vanno..  non hanno differenza secondo me.' (17.00)
Le loro conversazioni erano tutte così. Mentre Zacchy rispondeva a Zane, Annabeth entrò in camera sua con un piattino pieno di girelle di pastasfoglia e zucchine, si sedette accanto a lui mentre Zacchy appoghiava pesantemente il telefono sulle lenzuola e si girava verso di lei, aveva due occhiaie spaventose dato che ora poteva piangere senza nascondersi, sembrava davvero un panda: cerchi neri intorno agli occhi e pelle bianca. Sua madre gli massaggiò una spalla mentre appoggiava il piattino sulla sedia accanto al letto e gli disse: "Dai Zacchy, non ci pensare troppo adesso. Prima o poi gli passerà."
"No mamma, non gli passerà."
"Non essere così pessimista, pensa solo a riprenderti."
Annabeth si guardò intorno e notò che la chitarra non era più sotto la finestra, sospirando gli chiese che fine avesse fatto, e Zacchy rispose: "È tornata dove è giusto che stia. Chiusa nell'armadio."
"Ma è un peccato, si rovinerà di questo passo."
Zacchy non rispose, affondò la testa nel cuscino gemendo. Annabeth capì che il tempo della chiacchierata era scaduto, su alzò e gli diede un bacio sulla testa, poi massaggiandosi la schiena gli sussurrò di mangiare qualcosa prima della sua lezione pomeridiana.

"Dai Henry, non puoi continuare così non andrete da nessuna parte." Zane si era catapultato a casa del cugino per appianare le cose, non ci aveva messo così tanto dato che a separarli erano due strisce pedonali, "Almeno cerca di sbollirla."
"Ma si dai, tanto che ha fatto? Ci ha solo nascosto che lo procuravano da cinque mesi e poi ha bellamente deciso di andare all'altro mondo. Facile da digerire non credi?"
"Piabtala con questo sarcasmo tagliente, è depresso e per niente lucido."
"Che soldi sprecati allora, quei farmaci." Henry stava scarabbocchiando su un quaderno che usava per prendere degli appunti velocemente, era tutto pasticciato e pieno di ghirigori, disegnini e altre cose, alcune pagine erano anche strappate o rovinate. Noah, sua sorella, era seduta sul suo letto in silenzio assistendo alla loro conversazione, ognuno tanto lei e Zane si davano qualche occhiata esasperata, a volte Henry poteva essere davvero difficile da gestire. Zane camminò in circolo per la stanza per due volte, poi fermandosi a guardare il cugino ancora intento a disegnare male sul quaderno disse: "Ti piace così tanto essere stronzo?"
"Ma che cazzo vuoi da me? È lui quello che ha combinato il casino non io!"
"Però così non risolvi niente!"
"Ma di che cosa state parlando?" Noah alzò la mano come se fosse in classe interrompendo i due ragazzi, lei come il cugino Xander, il fratello minore di Zane, non era stata tenuta al corrente di quello che era accaduto, andando alle medie a cora aveva la sua compagnia di amiche con cui passava tutto il tempo dalla mattina a scuola fino a sera, perciò i suoi cugini li vedeva molto poco. La sua attenzione però era stata attirata dalla frase di Dio fratello che menzionava l'altro mondo, ed essendo molto affezionata a Zacchy non aveva potuto fare a meno di intromettersi.
"Cos'è successo a Zacchy? Sta bene?"
"Ah gia tu non lo sai, comunque no, non sta bene per niente."
"Perchè che cos'ha?"
"È depresso Noah, ha subito bullismo a scuola."
Noah rimase senza parole per un po', come tutti gli altri lei non sapeva niente di questa storia e sentì un forte dispiacere crescere dentro, come stava facendo Zane un quel momento anche lei iniziò ad intimare Henry di sentirlo e chiedergli come sta, solo che non sapeva nemmeno che i due avevano smesso di parlarsi. Era strano il fatto che non si fosse minimamente chiesta perchè Henry era tornato a comportarsi male con lei, lo faceva quando era piccolo per motivi di gelosia tra fratelli, ma eravamo lui dieci anni e lei sette, erano solo dei bambini quindi gli adulti non ci davano tanto peso, cercavano di correggerlo e a spingerlo a comportarsi bene ma erano sempre molto comprensivi, adesso no però, Henry come Zacchy e Zane aveva quindici anni e certe cose doveva smettere di farle a prescindere, Noah gli si avvicinò e parlando col suo solito 'tatto delicato e comprensivo' gli chiese: "Be' che cosa stai aspettando? Chiamalo no?"
"Nemmeni per sogno  ora lasciatemi tutti in pace grazie."
"Come no! Henry è nostro cugino! Non possiamo fare finta di niente."
"Ci ha lasciati fuori per così tanto tempo da questa storia, che cosa cambia se ci rimaniamo esclusi? Era quello che voleva infondo."
"Ma forse adesso che lo sappiamo vorrebbe del supporto morale non pensi?" Zane incrociò le braccia al petto e lo guardò storto, con quella frase riuscì a costringere Henry a girarsi e guardarlo in faccia, ma non riuscì a sostenere lo sguardo del cugino perché Henry dentro di sé sapeva che Zane aveva ragione, ma questa sensazione che sentiva dentro non voleva lasciarlo, loro tre si dicevano sempre tutto, erano nati e cresciuti sempre insieme e il fatto che Zacchy non avesse voluto confidarsi con loro gli fece male, si sentiva tradito e sentiva che in realtà Zacchy non si fidava di loro. Per tutti non era in realtà un mistero il fatto che non si fosse confidato, tutti in famiglia sapevano che Zacchy era molto riservato e chiuso rispetto agli altri cugini, solo bisognava in passato insegnarli il peso delle cose non dette: se non dici alla mamma che hai rotto il vaso forse te la cavi con una punizione ma niente di grave, se non dici alla tua famiglia che stai male e tenti il suicidio allora le cose cambiano, per tutti, e fa del male.
Anche Noah lo fissò in attesa di una risposta, non poteva davvero credere che suo fratello fosse così duro di comprendonio, Henry li guardò tutti e due, sospirò e riprendendo il suo atteggiamento scontroso chiese: "Che cavolo volete che faccia?"
"Ma non lo so, magari gli messaggi e vi parlate a dovere? Comunque ti avverto, dovrai aspettare almeno trenta minuti per una risposta da parte sua."
"E tu come lo sai? Gli scrivi adesso?"
"Si, perché sono suo cugino e lui ha bisogno di aiuto. Henry almeno pensaci su bene, dici tanto del gruppo ma non stai nemmeno cercando di riunirci."
Henry non disse nulla, colpito e affondato. Spinse sulla scrivania il quadernetto chiuso e lanciò sopra la matita, poi sospirando roteò la sedia verso Noah e Zane e sdraiandosi sullo schienale chiese: "Ma non ho tutto questo coraggio, lo sai."
"Sono sicuro che per prima cosa apprezzerà il tuo gesto."
"Non lo so Zane, lasciami pensare ancora qualche giorno. Mi serve altro tempo ecco."
"Come vuoi tu, mi prometti che almeno prima o poi ci proverai?"
"Si si, te lo prometto." Henry alzò il mignolo in segno di giuramento e Zane intrecciò il suo, da sempre come facevano molti altri tutti e tre si intrecciavano i mignoli delle mani in segno di promesse.

Le lezioni online erano ancora poi noiose di quelle in presenza, l'unica cosa comoda era la solitudine e la possibilità di non doversi vergognare se per caso eri l'unico ad aver sbagliato esercizio. Le lezioni le aveva sempre al pomeriggio, quando mamma e papà erano entrambi al lavoro e Zacchy era a casa da solo; teneva sempre la telecamera spenta e il microfono attivo per far sentire al tutor che c'era ancora e che lo stava ascoltando. Nel mentre che venivano spiegate le lezioni però ogni tanto cazzeghiava per i fatti suoi, col telefono: andava a vedere YouTube, ogni tanto coccolava Beirut e ogni tanto quasi si addormentava sulla scrivania, aveva sempre dieci minuti di pausa al giorno per andare in bagno e poi si ricominciava. Tempo fa Zane gli scriveva dal bagno degli scuola mandandogli qualche messaggio, una volta i professori avevano anche pensato che soffrisse già di incontinenza oppure era diventato diabetico, così a quel punto decise di sfruttare gli intervalli e il cambio dell'ora. Infatti adesso riceveva si e no tre o quattro messaggi al giorno, ma andava bene così. Quel giorno le lezioni previste erano matematica e inglese, erano meglio fatte a casa, perchè il tutor era più attivo e più giovane dei suoi professori, a volte gli lodava il fatto che sapesse tante cose e alla fine di ogni lezione parlavano di quello che piaceva a loro, ovviamente Zacchy sapeva che il tutor faceva così perché i suoi genitori gli avevano parlato dei suoi problemi, forse pensavano che parlando con qualcuno delle sue passioni si sarebbe sentito meglio. Tipico dei suoi alla fine.
"Allora, spero ti sia tutto chiaro riguardo alla lezione, vero?"
"Si si, tutto chiaro."
"Molto bene, ti do dieci minuti per farmi questi due esercizi. Dopo me li fai vedere e mi dici il procedimento utilizzato d'accordo?"
"Si va bene."
Il tutor spense la video e si assentò per un secondo, anche Zacchy spense il microfono e iniziò a scrivere sul quaderno cosa doveva fare, finiti gli esercizi fece una foto e la caricò nella chat della lezione, poi approfittando del fatto che aveva ancora cinque minuti si buttò sul letto a spupazzarsi il suo cagnolone. Beirut gli aveva in un certo senso salvato la vita, senza di lui adesso non sarebbe stato li in camera sua, in un primo momento non sapeva dire se la cosa gli aveva fatto piacere oppure no, morire avrebbe significato smettere di soffrire, di essere vittima degli scherno altrui, smettere di avere la porfiria, smettere di essere lui. Aveva tentato di uccidersi perchè voleva farlo da una parte, sentiva di non avere più  una via d'uscita da tutto quello, era la via più facile; se ci pensava adesso però forse era anche la scelta più sbagliata, se fosse riuscito nel suo intento ora sua madre e suo padre starebbe piangendo sulla sua tomba, tutta la famiglia sarebbe stata così male per colpa sua. Forse adesso era convinto che l'eroico gesto del suo cane sia stata la cosa migliore che potesse succedergli, era fortunato ad avere un amico come lui.
Il tutor tornò a chiamarlo e corresse i suoi esercizi, ascoltò il suo procedimento e poi si salutarono chiudendo la chiamata, Zacchy rimase per qualche secondo davanti al computer spento, con la sua solita espressione da gufo, con gli occhi quasi spalancati; tamburellava la scrivania con le dita e sembrava pensieroso. Ogni tanto gli succedeva di bloccarsi così, senza un reale perchè, non pensava proprio a nulla, la sua testa era completamente vuota.

"Perchè non esci fuori a fare due passi? È molto nuvoloso e in giro non c'è nessuno." Michael oggi ai era preso un giorno di riposo, stava aiutando Annabeth ad asciugare i piatti del pranzo, non avevano fatto partite la lavastoviglie e non ci entrava più ninete dentro.
"Potresti anche prendere la chitarra e suonare qualcosa, la musica è terapeutica sai?"
"Io non suono più papà."
"Ma come no? Eri così bravo, quel tuo insegnante ci ha detto tante cose belle su di te."
"Si ma ora non più. E poi quando avete parlato col signor Ebbrill?"
"Quando eri in ospedale Zacchy, il giorno dopo per la precisione." Si sedette sul divano accanto a Zacchy che stava scorrendo i video di YouTube senza guardarli, voleva fare qualcosa che lo aiutasse a non guardare in faccia i suoi genitori, Michael non si fece schiacciare dalla sua ostilità e facendogli oscillare il ginocchio affettuosamente con la mano riprese il suo discorso: "Allora? Perchè non suoni più?"
"Papà, per favore."
"Che ti costa rispondermi?"
"Non suono più perchè non ne ho voglia ecco." Zacchy sospirò e spense il telefono, abbassò una mano per invitare Beirut a leccargliela e prendere qualche coccola e pensando a cosa dire di altro, come risposta ovviamente non era abbastanza per suo padre perché era vero solo a metà, in realtà non sapeva che cosa gli stesse impedendo di continuare a suonare la chitarra, aveva pensato per quel breve tempo di poter avere una vita parallela migliore di quella che stava vivendo in quel momento, e per un po' era stato così, finalmente qualcuno lo apprezzava, qualcuno che non fosse ovviamente la sua famiglia, tra cugini e zii nessuno lo avrebbe mai offeso, lo conoscevano così e per loro la porfiria non era un difetto. Instagram gli aveva fatto credere che avrebbe potuto sentirsi diverso e appagato, non aveva fatto i conti con il fatto che i followers dietro a quei commenti non erano solo dei computer, erano persone reali con desideri reali, e prima o poi quel senso di gioia avrebbe potuto finire. Solo non pensava così presto.
Suo padre prese la palla al balzo interpretando i suoi pensieri, si accasciò vicino al cane nascondendo la faccia dietro alle orecchie di Beirut e disse grattandogli la testa: "Zacchy come va con il tuo profilo?"
"Non lo guardo più, ho smesso anche con quello."
"Perchè?"
"Papà!"
"Rispondi a Beirut, anche lui vuole sapere."
A Zacchy scappò una risatina, era così buffo suo padre quando faceva finta di far parlare Beirut, ma la sua risata si spense subito perché aveva capito che dentro a quella battuta suo padre voleva sapere fino in fondo i veri motivi per cui stava gettando nel cesso certe opportunità, Michael tornò seduto accanto a lui e gli rifece la stessa domanda, questa volta Zacchy sospirò pesantemente ma rispose subito senza troppi giri di parole: "Sai, pensavo che almeno mi sarei sentito una persona normale, ma non aveva fatto i conti con una cosa chiamata curiosità."
"Zacchy, ma tu sei normale, che cosa stai dicendo?"
"Non per i miei compagni di scuola! Te lo ricordi vero? Ormai lo sai."
"Zacchy, tu stai rendendo una tua caratteristica un grosso limite, ma non è così, non deve essere così."
"Papà non me la sento di riprovarci, cerca di capirmi almeno un po'."
"Io ti capisco figliolo, ma ti dico solo che sbagli a pensarla così."

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