Prima parte
L'alba a New York. Era tutta la vita che Dana ammirava quel panorama. Ogni mattina, quando il Sole iniziava a far capolino all'orizzonte, sopra l'immensa distesa di alti e scuri grattacieli che si stendeva a perdita d'occhio in ogni direzione, Dana saliva sul terrazzo del palazzo, proprio sopra il suo appartamento, per ammirare la luce sempre più intensa e calda riflettersi sulle superfici vetrose e dare il buongiorno all'intera città.
Dana, durante quei diciassette anni, aveva camminato per le strade affollate della Grande Mela solo pochissime volte. Il mondo al di là del suo appartamento le era quasi totalmente sconosciuto.
Un buco nero che ti risucchia, ti consuma e poi ti butta via.
Era così che sua madre lo aveva sempre descritto. Ed era per proteggerla che aveva deciso di tenerla chiusa nel loro appartamento, l'attico di un vecchio palazzo di dieci piani nella periferia di New York.
"Sei troppo bella e troppo ingenua per quei mostri lì fuori. Tra loro non dureresti un giorno, fidati del mio giudizio" aveva continuato a ripeterle per anni. E alla fine Dana le aveva creduto.
Eppure una piccola parte di lei continuava a chiedersi come fosse possibile che un mondo così brutto e crudele potesse apparirle così bello e splendente al sorgere del Sole.
E mentre il brusio delle voci e i rumori del traffico per le strade cominciavano ad aumentare d'intensità, Dana sognava di potersi librare nell'aria fresca del mattino, sopra la marea umana per metà ancora addormentata nei propri letti, e andare incontro al Sole, ed essere finalmente libera da quella prigione, fatta di pareti di mattoni, lucchetti alla porta e sbarre di metallo alle finestre.
E mentre questi pensieri le ronzavano in testa, quella mattina, come ogni altra, nascosta alla vista dei palazzi confinanti da un gazebo fatto di piante rampicanti che occupava tre dei quattro lati del terrazzo, Dana guardò l'alba e sognò di essere libera dalla paura.
Quando la madre la chiamò per la colazione, indugiò ancora alcuni secondi ad ammirare il panorama dinanzi a lei, poi fece un lungo respiro, ridiscese attraverso il lucernario che collegava il terrazzo alla sua stanza e la raggiunse.
Non appena ebbero finito di mangiare, la donna si affrettò ad andare al lavoro; ma prima di uscire non mancò di raccomandarsi con Dana.
«Ricorda: se qualcuno venisse a bussare, non devi rispondere! Se sapranno che sei qui, inizieranno a fare domande e ti verranno a cercare ancora, e a quel punto non sarai più al sicuro» le disse.
Dana conosceva quel discorso a memoria, ma lasciava che sua madre glielo ripetesse ogni mattina, convinta che la facesse sentire più tranquilla.
E dopo che la donna fu uscita ed ebbe dato tutte le mandate alle tre serrature che bloccavano la porta, Dana rimase ancora una volta sola.
Oramai c'era abituata. Le sue giornate trascorrevano lente, intreccio di una serie di attività ripetute con costanza e assiduità, come fossero dei rituali. Prima di ogni altra cosa c'era la sessione di studio: matematica, letteratura, storia, arte, scienze, e ogni altra materia che fosse sui libri che sua madre le procurava dal mondo esterno. Ma più di ogni altra materia, Dana amava la musica.
E dopo aver terminato di studiare e di rassettare la casa, ogni pomeriggio Dana saliva sul terrazzo e cantava, accompagnata dalla chitarra che la donna le aveva regalato quando aveva dieci anni.
Dal giorno in cui l'aveva ricevuta, non aveva mancato di suonarla neanche una volta. E qualunque cosa accadesse al di fuori della sua prigione, che ci fosse bel tempo oppure no, Dana era sempre lì, nascosta alla vista del mondo da muri di fitta e rigogliosa vegetazione, a cantare e suonare la musica che sentiva nel cuore.
Quella chitarra era la sua unica amica, eccezione fatta per Ermes, un gatto randagio dal manto color oro.
Un giorno di tre anni prima lo aveva sentito miagolare fuori dalla finestra della sua camera. Dana non riusciva a credere che un gatto avesse risalito l'intera scala antincendio, che affiancava la parete sud del palazzo fino al decimo piano. Ma da quella volta, il gatto era tornato a farle visita ogni giorno, ed era diventato suo amico.
Quando quel pomeriggio Dana smise di suonare e tornò in camera sua, trovò come al solito Ermes appollaiato sul davanzale della finestra.
«Vieni, piccolo, andiamo a prendere un po' di latte in cucina» disse, allungando un braccio tra due sbarre e afferrando il gatto per la collottola.
Ma non appena lo ebbe fra le sue braccia, Dana si accorse che al collo di Ermes c'era un bigliettino, arrotolato e legato con un nastrino blu.
Dana rimase sorpresa da quella scoperta, e ancor prima di leggerne il contenuto, si domandò chi potesse aver affidato un messaggio ad Ermes, ma soprattutto chi potesse esserne il destinatario.
"Certamente non io" pensò "poiché nessuno sa della mia esistenza".
Quando ebbe trovato il coraggio di aprire il misterioso bigliettino, scoprì che conteneva una citazione di Francis Scott Fitzgerald.
"Era il tipo di voce che le orecchie seguono come se ogni parola fosse un arrangiamento di note che non verrà mai più suonato."
E poi un'altra frase.
Non so chi tu sia o quale sia il tuo nome, ma vorrei tanto poter dare un volto alla voce che ogni pomeriggio fa perdere un battito al mio cuore. Braden
Dana fissò le parole scritte con inchiostro nero su quel pezzettino di carta dai contorni strappati per un tempo che le sembrò un'eternità.
Qualcuno l'aveva sentita cantare. Qualcuno sapeva che lei era lì, che anche lei era al mondo.
Tutto quello era per Dana elettrizzante e terrificante allo stesso tempo. Era consapevole che se sua madre l'avesse scoperto, sarebbe andata su tutte le furie e le avrebbe impedito di cantare ancora.
Così, troppo spaventata dalle possibili conseguenze di un contatto diretto con il mittente del messaggio, decise di rispondere un'unica volta, per troncare ogni comunicazione.
Ti ringrazio per le tue parole gentili, ma non possiamo incontrarci. Dimenticati di me e della mia voce.
Poi arrotolò il pezzetto di carta, lo legò al collo di Ermes e lo accompagnò oltre le sbarre della sua finestra, in modo che potesse ridiscendere la scala antincendio e consegnare la risposta.
Quella notte Dana non riuscì a dormire. Continuava a pensare a Braden, il suo misterioso ammiratore. Si chiese quale volto potesse avere, se fosse biondo oppure bruno, con gli occhi azzurri come il cielo oppure marroni come la cioccolata. Ed ogni minuto di quella notte, Dana desiderò di poter tornare indietro, di poter uscire da quella maledetta prigione, solo per una volta, per poter posare i suoi occhi verdi su di lui.
E il giorno seguente, quando tornò in camera dopo la sua solita sessione pomeridiana di canto, trovò ancora una volta Ermes davanti alla sua finestra, con un altro messaggio che diceva:
Ti prego, sono mesi che ti ascolto suonare e cantare e voglio conoscerti. Scendi in strada, ho bisogno di vedere il tuo volto, anche solo una volta. Non negarmi questo privilegio, ti scongiuro. Braden
Ancora una volta quel ragazzo. Dana non riusciva a credere che lui non volesse arrendersi. Così decise di dirgli la verità.
Mi dispiace ma non posso uscire di casa, sono bloccata quassù. Sarebbe piaciuto anche a me poterti vedere, ma non è possibile. Addio.
Dana legò la sua risposta al collo del gatto dal manto dorato e aspettò di vederlo scomparire lungo la scala antincendio fuori dalla sua finestra, immaginando come sarebbe andato l'incontro con il ragazzo se lei fosse stata libera di evadere dalla sua prigione.
E quando poco dopo sentì dei rumori provenire dalla strada, mai avrebbe potuto prevedere che da un momento all'altro si sarebbe trovata di fronte al suo misterioso ammiratore.
Braden impiegò diversi minuti ad arrampicarsi alla scala antincendio e a risalirla fino al decimo piano, e finalmente fu davanti alla finestra di Dana.
Non appena la ragazza lo vide, poggiato al davanzale, a pochi passi da lei, rimase basita. Mai avrebbe immaginato che il misterioso ragazzo fosse così bello. Aveva dei folti capelli neri, un po' spettinati, che gli ricadevano sulla fronte a nascondere appena due occhi di un blu profondo come il cielo notturno.
Il ragazzo restò immobile per diversi secondi, dapprima disorientato nel trovare le sbarre alla finestra, e poi incantato nel notare la figura al di là di questa. La ragazza in pedi al centro della stanza era longilinea, con lunghissimi capelli biondi, lisci e sottili come fili d'oro, e due occhi verdi come foglie appena germogliate sul ramo più alto di una maestosa quercia.
«Allora sei tu l'angelo che sento cantare ogni pomeriggio» esordì Braden, rompendo il silenzio carico di sorpresa ed emozione.
«Sono Dana» disse lei, a voce così bassa da essere un sussurro.
«Piacere Dana, io sono Braden. Mi dispiace importunarti, ma dato che mi hai detto che non potevi muoverti, ho pensato di raggiungerti io. È un problema?» chiese lui, temendo di metterla in difficoltà.
Dana rimase impalata a fissarlo, con mille pensieri a saettarle per la testa e nessuna parola pronta a fuoriuscire dalle sue labbra.
Le ci volle un po' prima di essere in grado di rispondere.
«Non dovresti essere qui. Se mia madre ti scoprisse, se la prenderebbe con me» balbettò la ragazza, mentre continuava a spostare lo sguardo dalla porta della sua stanza alla finestra.
«Perché a tua madre dovrebbe dare fastidio che io sia qui?» chiese Braden, curioso. «Ma soprattutto, cosa ci fa questa grata alla finestra? È per i ladri?»
«Non solo per i ladri. È per tenere le persone fuori, e me qui dentro, al sicuro» replicò Dana, sperando di essere stata convincente.
«Mi stai dicendo che sei sempre chiusa qui? Non esci mai di casa? Neanche per andare a scuola?»
Braden era sbalordito. Non riusciva proprio a credere che la bella ragazza dinanzi a lui fosse prigioniera in casa sua.
«No, non esco mai. Mia madre dice che il mondo fuori è cattivo e crudele, e io sono troppo ingenua per poterci vivere» ammise Dana, abbassando lo sguardo sulle sue mani intrecciate sul grembo.
«Beh, Dana, direi che tua madre si sbaglia. Non tutti qui fuori sono brutte persone. Guardami negli occhi. Secondo te sono una persona cattiva e pericolosa?»
Dana alzò lo sguardo e lo puntò sul volto del ragazzo. I suoi lineamenti erano delicati, la sua carnagione leggermente ambrata, i suoi occhi blu erano profondi e limpidi. Lo fissò per un tempo che le parve lunghissimo, e quando lui allungò una mano nella sua direzione, attraverso le sbarre, Dana sentì una forza magnetica attrarla verso di lui, come fosse un chiodo di metallo dinanzi ad una calamita.
E non appena la sua mano sfiorò quella di Braden, sentì un calore infiammarle la pelle e diffondersi in tutto il corpo, arrivando fino al centro del suo petto.
Dana non aveva mai toccato nessun altro, né da piccola né tantomeno in tempi recenti. L'unico contatto umano nel corso della sua vita era stato quello con sua madre.
Poter stringere la mano di Braden le fece sentire improvvisamente il peso di tutto quello che non aveva mai vissuto, di tutto quello che il mondo fuori dalla sua stanza aveva da offrirle e che lei stava inevitabilmente perdendo.
«Visto? Non mordo» disse il ragazzo, tirando piano la mano di Dana verso di sé e posandovi sul dorso un delicato bacio.
In un lampo le guance di Dana si dipinsero di una tinta purpurea molto intensa e il cuore accelerò il suo passo.
Aveva letto molti romanzi d'amore negli ultimi anni, tutti quelli che sua madre le aveva portato. Ma mai avrebbe immaginato che un giorno sarebbe capitato a lei di provare quelle sensazioni.
Mai avrebbe immaginato che un giorno sarebbe stata lei la ragazza innamorata.
Vedendola arrossire, il volto di Braden si illuminò di un sorriso splendente, in grado di comunicare tutta la sua felicità per aver finalmente trovato la ragazza dalla voce angelica che per così tanto tempo aveva desiderato incontrare.
E proprio mentre stava per condividere con lei la sua gioia, dei rumori di chiave nella serratura segnalarono che il tempo a loro disposizione si era esaurito.
«Oddio, mia madre è tornata, devi andartene immediatamente, o ci scoprirà» disse Dana, a voce bassa e concitata, in preda al panico.
«D'accordo, ora vado, ma tornerò domani» le promise Braden, prima di lasciar andare la sua mano e sparire lungo la scala antincendio.
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